PAESAGGI SENSORIALI
Come non vedere nell’antico canto delle sirene e
nella conchiglia che il bambino porta all’orecchio due forme di soundscape?
Il paesaggio è un’invenzione degl’uomini e esso riflette l’identità di chi lo vive.
È un concetto antico, almeno in pittura, in Europa lo
possiamo far risalire al quindicesimo secolo.
Come dice la Convenzione
Europea sul Paesaggio va tutelato perché è un elemento del benessere
individuale e sociale di un luogo.
Il concetto di paesaggio sonoro è più recente. Nell’ambito delle “scienze del suono” questo landscape
compare negli anni ’60 in California, all’interno dei dibattiti sulla
salvaguardia dell’ambiente.
Di fatto, è solo da un paio di decadi che antropologi e
etno-musicologi si occupano di questa dimensione
del sensibile definita paesaggio
sonoro o paesaggio musicale, anche se l’antropologia culturale ha fin dalla
sua nascita nel suo campo di studi la musica come arte del suono.
Ricordiamo che il suono,
in sé, è uno dei materiali della musica, un artefatto, un oggetto fabbricato dall’uomo
con o senza utensili (gli strumenti musicali), ma non senza regole precise, culturalmente definite.
Prodotta in moltissimi modi, con gli scopi più diversi, la musica è dovunque nel mondo come una sua espressione. Per comprenderne il perchè è sufficiente domandarci:
Che cosa la musica ci permette di fare
che noi possiamo fare diversamente?
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Una parentesi. I
paesi che aderiscono all’UNESCO,
nel 2003, a Parigi, hanno firmato una Convenzione
per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale.
L’articolo due di questa Convenzione definisce che cosa sono
i patrimoni culturali immateriali:
Sono le prassi, le
rappresentazioni, le espressioni, le conoscenze, il know–how –
come pure gli strumenti, gli oggetti, i manufatti e gli spazi culturali
associati agli stessi – che le comunità, i gruppi e in alcuni casi gli
individui riconoscono in quanto parte del loro patrimonio culturale.
Questo patrimonio
culturale immateriale, trasmesso di generazione in generazione, è costantemente
ricreato dalle comunità e dai gruppi in risposta al loro ambiente, alla loro
interazione con la natura e alla loro storia e dà loro un senso d’identità e di
continuità, promuovendo in tal modo il rispetto per la diversità culturale e la
creatività umana.
La Convenzione precisa inoltre come tali prassi devono
essere compatibili con i diritti umani, il rispetto reciproco tra le persone e
lo sviluppo sostenibile.
Viene anche presentata una casistica, tipica ma non
esaustiva, dei possibili patrimoni:
– tradizioni ed espressioni orali, ivi compreso il
linguaggio, in quanto veicolo del patrimonio culturale immateriale.
– arti dello
spettacolo.
– consuetudini sociali, eventi rituali e festivi
– cognizioni e prassi relative alla natura e all’universo
– artigianato tradizionale.
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Dal punto di vista antropologico possiamo aggiungere che, nel
suo significato più ampio, tutta la
produzione sonora intenzionale (dell’uomo) è musica.
È in quest’ottica che da qualche tempo il campo semantico del temine musica si è arricchito dell’espressione di paramusica
per indicare, per fare qualche esempio, il suono del tric trac o della raganella delle feste paesane, i suoni degli
animali domestici o quelli che l’uomo produce giocando con gli elementi
naturali, come i suoni dell’arpa eolica (Aeolian
Harp).
Con paramusica si indica anche lo charivari, anche se per
questo “frastuono musicale” si preferisce il termine di contromusica. Termine più appropriato per le
manifestazioni musicali che esprimono la contestazione o il disordine del
carnevale.
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U zirru (più conosciuto come raganella o tric trac) è costituito da una scatoletta di legno a
forma di parallelepipedo di cui una faccia viene trasformata in una lamina di
legno fatta vibrare da una ruota dentata che gira attorno a un perno che funge
anche da impugnatura dello strumento.
In questo modo si riesce a produrre un suono secco e
prolungato udibile anche da notevole distanza.
La tradizione ne attribuisce l’invenzione ad Archita di
Taranto, filosofo, matematico e scienziato vissuto tra i V e il IV secolo
avanti Cristo.
La trena è una variante molto più
rumorosa dello zirru. È costituita da una cassa di legno sulla
quale vengono fissati dei martelletti di legno vibranti azionati,
alternativamente, da una manovella.
Ogni volta che uno o più martelli colpiscono la cassa
producono un suono cupo e forte, amplificato dalla cassa come la cassa armonica
di un contrabbasso.
L’arpa eolica è uno strumento musicale cordofono ad aria, molto particolare
nel suo genere, in quanto le corde non vengono fatte vibrare meccanicamente
dall’uomo, ma dal vento.
Una caratteristica che comporta che le melodie prodotte da
un’arpa eolica siano sempre diverse e
casuali.
Secondo la mitologia greca, ad inventarla fu il Dio dei
venti, Eolo, ma strumenti simili ad esso, erano già noti oltre che alla civiltà
greca, anche ad altre società primitive.
Il primo a descrivere questo strumento fu il filosofo e
gesuita tedesco Athanasius Kiecher (1602–1680),
autore del libro Phonurgia nova,
sive conjugium mechanico-physicum artis & natvrae paranympha phonosophia
concinnatum del 1673.
La produzione e diffusione “moderna” dello
strumento nel mondo occidentale, risale al XVII secolo.
Lo charivari è un termine francese
(dal greco καρηβαρία, pronuncia “scerivari”), in italiano è capramarito o anche chiavramarito (alterazioni
popolari del latino medioevale charavaritum o
chalvaritum).
Lo charivari era una manifestazione di
protesta rumorosa, una manifestazione di rabbia o irrisione collettiva, contro
individui responsabili di atti ritenuti offensivi verso la morale comune o le tradizioni.
Spesso consisteva in assembramenti di persone, il più delle
volte travestite, utilizzando
oggetti qualunque – pentolame e/o utensili di lavoro – producevano del chiasso
presso l’abitazione della persona verso la quale la protesta era indirizzata,
in tal modo veniva simbolicamente esclusa dalla comunità e spinta, di fatto, ad
abbandonare il gruppo o a fare ammenda.
Non era raro che l’evento poteva ripetersi anche per diverso
tempo fino a che le motivazioni della protesta non venivano soddisfatte.
Le chiarificazioni più comuni riguardavano i matrimoni tra
risposati, i matrimoni tra persone di età molto diverse o i matrimoni di vedovi,
oppure fatti specifici, come la scoperta di relazioni adulterine o omosessuali.
Poteva avere anche una funzione inversa, non di
disapprovazione esplicita, ma di invito, ad esempio verso coppie non ancora
sposate.
Un esempio moderno di charivari, qualche anno fa, è stato il
suono delle pentole delle Madri di Plaza de Mayo a Buenos Aires che
disapprovavano l’autoritarismo del governo e la violenza della polizia. _____________________________________________________________________________
Per tornare in argomento, l’espressione di polimusica,
infine, definisce la giustapposizione di musiche che non sono
fatte per essere suonate insieme.
In questo contesto, l’etnomusicologia ha come obiettivo quello
di descrivere tutte le forme di musica e come gli uomini le realizzano – rispondendo
alle domande “quando”, “come” e “perchè” – in modo da enucleare e comprendere la natura dei legami sociali e il senso
che la comunità da alla forma musicale.
Di recente sono state avanzate delle nuove classificazioni che hanno dilatato i confini
dell’etnomusicologia.
– la Geofonia, intesa come l’insieme delle
fonti (sonore) naturali, non animali, come il vento, la pioggia, il
tuono, il torrente.
– la Biofonia, che
comprende le fonti animali.
– l’Antropofonia,
vale a dire i suoni degl’esseri umani e degli artefatti che costruisce.
In questa
classificazione la geofonia è il solo paesaggio sonoro concomitante con
l’apparizione della vita sulla terra.
C’è anche una disciplina, l’etnologia cognitiva della percezione – teorizzata da
Olivier Wathelet (Laboratorio di
Antropologia e di Sociologia dell’Università di Nizza) – che ha l’obiettivo di rendere comprensibili i
meccanismi cognitivi e sociali che contribuiscono alla formazione dei paesaggi
sensoriali, qualunque sia la loro natura e le loro modalità di percezione.
Prima di procedere dobbiamo considerare la nostra capacità ad
alternare o a mescolare la percezione
olistica (o analitica) di un
ambiente sonoro, descritta dal fenomeno definito cocktail party problem.
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Qui, l’approccio
olistico sottolinea come nel prendere in
considerazione una qualunque situazione umana occorre necessariamente
considerarla nelle sue relazioni con l’insieme di cui fa parte, pena
l’impossibilità di comprenderla e di affrontarla in modo corretto ed
efficace.
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Gli scienziati chiamano effetto
cocktail party (cocktail party problem) la capacità del cervello di azzerare il rumore e concentrarsi su un
qualcosa in particolare.
Questo processo, però, non è facile come sembra.
Per sentire quello che qualcuno ci dice in una sala affollata
il nostro cervello deve essere in grado di discriminare quel preciso suono dal
resto dei suoni che entrano dalle nostre orecchie.
Allo stesso tempo, dobbiamo saperci concentrare
su quel suono, anche se c’è altra gente che chiacchiera e ride
attorno a noi e/o con la musica ad alto volume.
Lo psicologo Frédéric Theunissen
dell’Università di Berkeley afferma che vi sono aspetti della voce di una
persona che si possono distinguere e ognuno di noi è in grado di focalizzare la
propria attenzione proprio su queste caratteristiche, per ascoltare una voce in
una stanza piena di rumori.
Ad esempio, l’ascoltatore si può concentrare sul tono e
il timbro di chi parla, oppure sul suo accento.
Anche il modo in cui chi parla mette insieme le varie parole
che compongono una frase può influenzare la percezione di chi ascolta. Naturalmente, si riesce meglio ad identificare
le parole se queste formano una frase sensata, rispetto a una serie di parole a
caso.
Poiché non vi è alcun modo per escludere totalmente certi
suoni dalle nostre orecchie e farne passare altre, tutti i suoni di un ambiente
entrano nelle nostre orecchie e vengono tradotti in segnali elettrici nel
cervello.
Questi segnali si muovono in diverse aree cerebrali prima di
raggiungere la corteccia uditiva, cioè la parte del cervello che elabora il
suono.
Secondo una ricerca della Columbia University, il
nostro cervello elabora tutti i tipi di suono che le nostre orecchie
percepiscono (quindi i segnali arrivano tutti alla corteccia
uditiva), ma solo quelli su cui ci
concentriamo raggiungono anche le aree del cervello coinvolte nell’elaborazione
del linguaggio e nel controllo dell’attenzione.
I suoni su cui non prestiamo attenzione, invece, non
raggiungono la nostra consapevolezza.
Con l’età, questa nostra capacità di focalizzarci sui suoni
che ci interessano si indebolisce. Non
si tratta però di una semplice perdita dell’udito, quanto di una diminuzione
dell’attenzione.
Negli anziani è stato rilevato una progressiva riduzione questa
attenzione selettiva con la conseguente attenuazione della capacità di seguire
un discorso in una stanza piena di suoni.
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Theunissen dirige
L’Auditory Scienze Lab.
Così ha descritto il
suo lavoro: L’obiettivo primario del nostro laboratorio è quello di capire come
dei suoni naturali complessi come sono quelli del linguaggio umano, della musica
e degli animali vengono individuati e riconosciuti dal cervello.
In sostanza studiamo
la natura dei segnali di comunicazione utilizzando approcci comportamentali e
statistici e, parallelamente, studiamo il sistema uditivo degli esseri umani e degli
uccelli canori utilizzando tecniche neurofisiologiche.
In queste ricerche usiamo
metodi computazionali applicati alle
neuroscienze per generare teorie di
audizione, per studiare i suoni e per analizzare i nostri dati neurali.
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Per tornare in argomento, va notato a proposito di questa capacità di
focalizzare i suoni che è sull’opposizione tra un rumore di fondo e
degli avvenimenti sonori singolari che si fonda il fenomeno della territorializzazione.
Un’opposizione che ci consente di riconoscere un alpeggio di
montagna con le sue mandrie di bovini o una zona di un quartiere popolare di
una metropoli.
Un esempio specifico e curioso di territorializzazione è considerato il suono continuo dei campanelli
delle biciclette senza freni dei portatori di pane del Cairo, un suono che si
può dire identitario di questa
città.
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Bike for Bread è un
documentario di ventisei minuti che racconta la stupefacente storia dei BahiaAlaheich, gli straordinari ciclisti portatori di pane del Cairo. Nel traffico
infernale della megalopoli egiziana, passano come stelle filanti, risalgono
contromano interminabili code di automobili, scivolano leggeri tra le file dei
tavolini di un caffè all’aperto per scomparire dentro un bazar. Sulla loro
testa, in miracoloso equilibrio, tengono centinaia di pane Baladi, che
arrivano a pesare anche 50 kg. Con una mano tengono il vassoio con il pane a
strati, con l’altra il manubrio della bici. Ogni giorno, sfrecciando lievi
nella bolgia del Cairo, consegnano migliaia di pani, dai forni alle rivendite
dei negozi.
[vimeo]http://vimeo.com/46173524[/vimeo]
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Alcuni studi di antropologia hanno dimostrato come una
diminuzione della diversità biologica di un luogo comporta nel breve termine una
diminuzione della diversità biofonica.
Su questo tema molti viticultori in Francia hanno costatato
come l’introduzione del trattamento chimico delle vigne hanno fatto sparire
alcuni suoni di fondo naturali – come quelli dei grilli o delle cicale –
e aumentato quello degli automezzi e, di conseguenza, dell’inquinamento sonoro.
È una delle
motivazioni che ha contribuito a promuovere gli archivi dei natural soundscapes che non esistono più e
ha convinto molti paesi, come il Giappone, a tutelare il loro patrimonio biofonico.
En passant notiamo, di contro, che ordine e silenzio siano considerati strumenti di controllo sociale e come,
nei “luoghi comuni” della conversazione sono associati insieme.
In ogni modo la crescita demografica e il moltiplicarsi
degli artefatti, che caratterizzano la modernità, ha moltiplicato le sorgenti
di suono, soprattutto nei centro urbani.
Il problema è verificare in quale misura questa
moltiplicazione corra parallela a una standardizzazione e a una omogeneizzazione
sonora.
Resta il fatto che un
ambiente sonoro è sostanzialmente inseparabile dal suo contesto sociale e che
rappresentano le due facce dello stesso paradigma, quello dell’antropologia del
sonoro.
Il concetto di paesaggio
sonoro, in sede universitaria, diventò popolare in Europa a partire dal 1977
quando Robert Murray Schafer pubblicò
The tuning of the world, in cui
compare per la prima volta il concetto di soundscape.
Il titolo del libro si pu tradurre con “Accordare il mondo”.
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Raymond Murray Schafer (1933) è un compositore e un
ambientalista canadese particolarmente noto per il World Soundscape Project, da lui ideato negli anni Sessanta del
secolo scorso al fine di promuovere una nuova ecologia del suono, sensibile ai
crescenti problemi dell’inquinamento acustico.
Schafer ha
studiato al Royal Conservatory di
Londra e all’Università di Toronto.
Ha poi per molti anni ha insegnato alla Simon Fraser University di Vancouver.
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Il paesaggio sonoroper
le leggi dell’acustica è composto da diversi elementi, come le toniche (keynote sounds), i segnali (sound signals)
e le impronte sonore (soundmarks).
– Tonica: è un
termine musicale riconducibile all’armonia tonale che indica sia la prima nota
di una scala, sia una funzione armonica di stasi.
Nella terminologia elaborata dal World Soundscape Project sta ad indicare una sonorità che potrebbe non essere sempre
udito coscientemente, ma che
evidenzia il carattere generale di un luogo.
Le toniche sono
create dalla natura, cioè dal vento, dall’acqua, dalle foreste, dagli uccelli, dagli
insetti, dagli animali in genere.
In molte aree urbane lo
stesso traffico è diventato una tonica così come il borbottare di un
frigorifero in un appartamento.
– Segnali: i
segnali sono suoni in primo piano, uditi coscientemente.
Ad esempio: i dispositivi d’allarme, la sirena dei pompieri
o delle forze dell’ordine, le campane, i fischietti, le sveglie degli orologi,
eccetera.
Impronte sonore: l’impronta
o marca sonora è un suono caratteristico di un’area.
Una volta che un’impronta sonora è stata identificata, ha
scritto Schafer, meriterebbe di
essere protetta, perché le impronte
sonore rendono unica la vita acustica di una comunità.
Per i berlinesi, ad esempio, il rumore della metropolitana
al momento della chiusura delle porte è una impronta sonora che è divenuta un soundmark
che definisce Berlino.
Oggi molti studiosi del suono sostengono che certe impronte sonore possono rappresentare sia gli aspetti naturali che quelli
culturali e storici di un luogo. In
senso lato non sono solo forme di sapere, ma anche di poesia.
Sempre per esempio, è il caso del
rumore dei cancelli in ferro dei vecchi palazzi storici o il rumore dei treni sul
Pont du Bois Monzil a Villars, alla
periferia di Saint Etienne.
È il ponte ferroviario più antico nell’Europa continentale,
costruito nel 1827 e classificato come monumento storico.
Il fascino dei paesaggi sonori, da qualche anno a questa
parte, è anche testimoniato dal loro crescente utilizzo nelle performance musicali. ____________________________________________________________________________
In linea generale diciamo che il paesaggio sonoro è delimitato
dalla percezione uditiva come il paesaggio naturale è delimitato dal
campo visuale.
Non a caso, per Schafer, prima di essere sonoro il paesaggio è uno spazio acustico.
Questo spazio rappresenta la globalità del campo auditivo. In pratica tutto ciò che l’orecchio è capace
di percepire di un luogo.
Dentro questo spazio, poi, c’è una moltitudine di oggetti sonori che compongono l’ambiente sonoro.
Secondo l’importanza della tonalità e/o dei segnali il
paesaggio sonoro può essere definito “lo-fi” (abbreviazione di low fidelity), vale a dire povero o
confuso a livello di tonalità e segnali o,“hi-fi” (hight fidelity), che indica un rapporto
di segnali e tonalità soddisfacenti.
Questa divisione in qualche modo serve a definire l’estetica acustica, intesa come la
ricerca di quei principi che consentirebbero di migliorare la qualità estetica
di un ambiente acustico o di un paesaggio
sonoro.
Se provassimo a pensare il paesaggio sonoro come a una
gigantesca composizione musicale in perpetua evoluzione e se riuscissimo a comprenderne l’orchestrazione
e le sue forme potremmo modificarlo o arricchirlo senza danneggiarlo o nuocere
agli uomini.
Più prosaicamente, l’estetica acustica potrebbe avere un
grande ruolo nell’eliminare o ridurre il rumore nocivo, nel controllare i nuovi
rumori e soprattutto nel conservare le impronte sonore che rendono piacevole un
luogo e proteggono la sua identità.
Quest’ultimo punto si salda con quella che si definisce l’ecologia acustica, vale a dire lo
studio dei rapporti tra gli esseri viventi e l’ambiente dal punto di vista dei
suoni e del silenzio.
Un altro tema a
cavallo tra estetica e ecologia è quello della protezione dei suoni minacciati
di sparizione.
Questi suoni dovrebbero essere registrati con molta cura è
considerati come dei preziosi reperti storici.
Per l’UNESCO il flamenco è un soundscape.
Un’espressione della comunità acustica dell’Andalusia che ne
condivide la tradizioni e ne conosce il significato.
In questo senso è parte del patrimonio culturale intangibile
di questa regione.
La sua impronta sonora rinvia alla “battaglia figurata tra i
sessi” e al ruolo dei gitanos nella
società spagnola.
Da qualche anno ci sono molti antropologi che si stanno
battendo anche perchè siano mantenuti in vita dei complessi sonori unici e
irripetibili o, perlomeno, che il loro
ricordo non sia perduto.
Che cosa sarebbe
Salisburgo senza le campane del suo Duomo, Stoccolma senza il carillon
dello Stad-Huset o
Londra senza il Big Ben?
In altri termini, ogni impronta sonora è carica di una
particolare valenza simbolica, culturale e (in genere) sociale.
Alcune impronte sonore, come abbiamo già visto, sono
monolitiche e costituiscono il marchio
su un’intera comunità.
A Vancouver, ad esempio, un cannone, costruito nel 1816,
viene sparato ogni sera nel porto a partire dal 1894.
Originariamente
serviva a indicare l’ora ai pescatori, oggi viene invece conservato come
souvenir sonoro.
Come abbiamo visto Schafer distingue tra eventi sonori e oggetti
sonori.
Un oggetto sonoro è un oggetto acustico astratto.
Un evento sonoro è invece definito dalla sua dimensione
simbolica, semantica e strutturale.
Differente, invece, è
il rapporto tra musica e paesaggio sonoro.
Una composizione musicale può sfruttare i suoni del
paesaggio sonoro così come può partecipare a definire la sua identità.
Un caso di particolare interesse è quello della musique
d’ameublement e dei suoi sviluppi, negli anni Settanta, con il
diffondersi della ambient music.
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Musique d’ameublement è un’espressione coniata dal
compositore francese Erik Satie per
definire una stagione della sua produzione musicale (1916-1925).
Letteralmente significa “musica da arredamento” e
viene talvolta tradotta con “musica da tappezzeria”.
Lo stesso Satie la definiva come “musica che non ha
bisogno di essere ascoltata”, suscitando numerose polemiche.
Esempio della musique
d’ameublement è il balletto in due atti Relâche (1924) con
il celebre inserto cinematografico Entr’Acte, firmato da René Clair.
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Un aneddoto: Un giorno Erik Satie, seduto al tavolino di un
caffè parigino, disse a Fernand Leger che era con lui: “Sai, bisognerebbe creare della musica
d’arredamento, cioè una musica che facesse parte dei rumori dell’ambiente in
cui viene diffusa, che ne tenesse conto. Dovrebbe essere melodiosa, in modo da
coprire il suono metallico dei coltelli e delle forchette senza però
cancellarlo completamente, senza imporsi troppo. Riempirebbe i silenzi, a volte
imbarazzanti, dei commensali. Risparmierebbe il solito scambio di banalità.
Inoltre, neutralizzerebbe i rumori della strada che penetrano indiscretamente
dall’esterno”.
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Più vicino a noi fu John
Cage il primo compositore a
comprenderne il senso innovativo, affermando che la musique d’ameublement offre la possibilità di “fare
uscire il compositore dalla sua individualità, restituendo ai suoni la libertà
di essere se stessi”.
Si può definire con musica d’ambiente anche quella del compositore
inglese Brian Eno, che negli anni
’70 “arreda” di suoni gli aeroporti utilizzando una strumentazione
elettronica.
Diceva Satie: “L’abitudine
e l’uso vogliono che si faccia musica in circostanze con le quali la musica non
ha niente a che vedere.
In queste occasioni si suonano Fantasie d’Opera, valzer
e simili, lavori composti per ben altro fine.
Noi vogliamo produrre una musica dichiaratamente adatta a
questo scopo. L’Arte è un’altra cosa.
La Musique
d’Ameublement crea una vibrazione, non ha altro scopo. Ha la stessa funzione della luce, del calore e
del comfort in tutte le sue forme. Sostituisce
vantaggiosamente Marce, Polke, Tanghi, Gavotte e via
dicendo. Esigete la Musique d’Amebulement. Disertate le case che non adottano la Musique d’Ameublement”.
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In realtà da sempre la musica accompagna le pratiche sociali, partecipando ad innumerevoli riti e forme di
intrattenimento, mentre un ascolto composto e attento appartiene ad una
fruizione consapevole relativamente recente.
Innovativa e commerciale, per molti, è l’idea di comporre
specificatamente per degli ambienti, di dare un arredamento sonoro
assolutamente non intrusivo con una specifica estetica.
Oggi, del resto, nella progettazione di spazi di
qualsivoglia natura (pubblici, privati, aperti, chiusi, etc.) l’elemento acustico è di particolare
importanza.
Tendenzialmente si tende a ridurre il rumore, ossia tutto il
suono invadente è non desiderato, e a amplificare gli eventi sonori.
Qui, amplificare non significa mettere in primo piano, ma
piuttosto consentire l’intelligibilità dell’evento sonoro.
Esiste dunque un’estetica del cambiamento del paesaggio
sonoro e riflettere su di esso vuol dire rilevare i cambiamenti intervenuti
nella percezione e nel comportamento di quelli che lo abitano.
Per concludere, il primo suono che gli uomini intesero fu
quello delle acque che scorrono, ma il mondo stesso è un’immensa composizione
musicale che si dispiega senza soste.
Da qualche tempo a
questa parte conservarlo è diventato un impegno culturale e politico soprattutto
quando è specifico e unico come coloro che l’hanno creato e lo abitano.
(Febbraio2020)