PAESAGGI SENSORIALI
Come non vedere nell’antico canto delle sirene e
nella conchiglia che il bambino porta all’orecchio due forme di soundscape?
Il paesaggio è un’invenzione degl’uomini e esso riflette l’identità di chi lo vive.
È un concetto antico, almeno in pittura, in Europa lo possiamo far risalire al quindicesimo secolo.
Come dice la Convenzione Europea sul Paesaggio va tutelato perché è un elemento del benessere individuale e sociale di un luogo.
Il concetto di paesaggio sonoro è più recente. Nell’ambito delle “scienze del suono” questo landscape compare negli anni ’60 in California, all’interno dei dibattiti sulla salvaguardia dell’ambiente.
Di fatto, è solo da un paio di decadi che antropologi e etno-musicologi si occupano di questa dimensione del sensibile definita paesaggio sonoro o paesaggio musicale, anche se l’antropologia culturale ha fin dalla sua nascita nel suo campo di studi la musica come arte del suono.
Ricordiamo che il suono, in sé, è uno dei materiali della musica, un artefatto, un oggetto fabbricato dall’uomo con o senza utensili (gli strumenti musicali), ma non senza regole precise, culturalmente definite.
Prodotta in moltissimi modi, con gli scopi più diversi, la musica è dovunque nel mondo come una sua espressione. Per comprenderne il perchè è sufficiente domandarci: Che cosa la musica ci permette di fare che noi possiamo fare diversamente?
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Una parentesi. I paesi che aderiscono all’UNESCO, nel 2003, a Parigi, hanno firmato una Convenzione per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale.
L’articolo due di questa Convenzione definisce che cosa sono i patrimoni culturali immateriali:
Sono le prassi, le rappresentazioni, le espressioni, le conoscenze, il know–how – come pure gli strumenti, gli oggetti, i manufatti e gli spazi culturali associati agli stessi – che le comunità, i gruppi e in alcuni casi gli individui riconoscono in quanto parte del loro patrimonio culturale.
Questo patrimonio culturale immateriale, trasmesso di generazione in generazione, è costantemente ricreato dalle comunità e dai gruppi in risposta al loro ambiente, alla loro interazione con la natura e alla loro storia e dà loro un senso d’identità e di continuità, promuovendo in tal modo il rispetto per la diversità culturale e la creatività umana.
La Convenzione precisa inoltre come tali prassi devono essere compatibili con i diritti umani, il rispetto reciproco tra le persone e lo sviluppo sostenibile.
Viene anche presentata una casistica, tipica ma non esaustiva, dei possibili patrimoni:
– tradizioni ed espressioni orali, ivi compreso il linguaggio, in quanto veicolo del patrimonio culturale immateriale.
– arti dello spettacolo.
– consuetudini sociali, eventi rituali e festivi
– cognizioni e prassi relative alla natura e all’universo
– artigianato tradizionale.
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Dal punto di vista antropologico possiamo aggiungere che, nel suo significato più ampio, tutta la produzione sonora intenzionale (dell’uomo) è musica.
È in quest’ottica che da qualche tempo il campo semantico del temine musica si è arricchito dell’espressione di paramusica per indicare, per fare qualche esempio, il suono del tric trac o della raganella delle feste paesane, i suoni degli animali domestici o quelli che l’uomo produce giocando con gli elementi naturali, come i suoni dell’arpa eolica (Aeolian Harp).
Con paramusica si indica anche lo charivari, anche se per questo “frastuono musicale” si preferisce il termine di contromusica. Termine più appropriato per le manifestazioni musicali che esprimono la contestazione o il disordine del carnevale.
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U zirru (più conosciuto come raganella o tric trac) è costituito da una scatoletta di legno a forma di parallelepipedo di cui una faccia viene trasformata in una lamina di legno fatta vibrare da una ruota dentata che gira attorno a un perno che funge anche da impugnatura dello strumento.
In questo modo si riesce a produrre un suono secco e prolungato udibile anche da notevole distanza.
La tradizione ne attribuisce l’invenzione ad Archita di Taranto, filosofo, matematico e scienziato vissuto tra i V e il IV secolo avanti Cristo.
La trena è una variante molto più rumorosa dello zirru. È costituita da una cassa di legno sulla quale vengono fissati dei martelletti di legno vibranti azionati, alternativamente, da una manovella.
Ogni volta che uno o più martelli colpiscono la cassa producono un suono cupo e forte, amplificato dalla cassa come la cassa armonica di un contrabbasso.
L’arpa eolica è uno strumento musicale cordofono ad aria, molto particolare nel suo genere, in quanto le corde non vengono fatte vibrare meccanicamente dall’uomo, ma dal vento.
Una caratteristica che comporta che le melodie prodotte da un’arpa eolica siano sempre diverse e casuali.
Secondo la mitologia greca, ad inventarla fu il Dio dei venti, Eolo, ma strumenti simili ad esso, erano già noti oltre che alla civiltà greca, anche ad altre società primitive.
Il primo a descrivere questo strumento fu il filosofo e gesuita tedesco Athanasius Kiecher (1602–1680), autore del libro Phonurgia nova, sive conjugium mechanico-physicum artis & natvrae paranympha phonosophia concinnatum del 1673.
La produzione e diffusione “moderna” dello strumento nel mondo occidentale, risale al XVII secolo.
Lo charivari è un termine francese (dal greco καρηβαρία, pronuncia “scerivari”), in italiano è capramarito o anche chiavramarito (alterazioni popolari del latino medioevale charavaritum o chalvaritum).
Lo charivari era una manifestazione di protesta rumorosa, una manifestazione di rabbia o irrisione collettiva, contro individui responsabili di atti ritenuti offensivi verso la morale comune o le tradizioni.
Spesso consisteva in assembramenti di persone, il più delle volte travestite, utilizzando oggetti qualunque – pentolame e/o utensili di lavoro – producevano del chiasso presso l’abitazione della persona verso la quale la protesta era indirizzata, in tal modo veniva simbolicamente esclusa dalla comunità e spinta, di fatto, ad abbandonare il gruppo o a fare ammenda.
Non era raro che l’evento poteva ripetersi anche per diverso tempo fino a che le motivazioni della protesta non venivano soddisfatte.
Le chiarificazioni più comuni riguardavano i matrimoni tra risposati, i matrimoni tra persone di età molto diverse o i matrimoni di vedovi, oppure fatti specifici, come la scoperta di relazioni adulterine o omosessuali.
Poteva avere anche una funzione inversa, non di disapprovazione esplicita, ma di invito, ad esempio verso coppie non ancora sposate.
Un esempio moderno di charivari, qualche anno fa, è stato il suono delle pentole delle Madri di Plaza de Mayo a Buenos Aires che disapprovavano l’autoritarismo del governo e la violenza della polizia. _____________________________________________________________________________
Per tornare in argomento, l’espressione di polimusica, infine, definisce la giustapposizione di musiche che non sono fatte per essere suonate insieme.
In questo contesto, l’etnomusicologia ha come obiettivo quello di descrivere tutte le forme di musica e come gli uomini le realizzano – rispondendo alle domande “quando”, “come” e “perchè” – in modo da enucleare e comprendere la natura dei legami sociali e il senso che la comunità da alla forma musicale.
Di recente sono state avanzate delle nuove classificazioni che hanno dilatato i confini dell’etnomusicologia.
– la Geofonia, intesa come l’insieme delle fonti (sonore) naturali, non animali, come il vento, la pioggia, il tuono, il torrente.
– la Biofonia, che comprende le fonti animali.
– l’Antropofonia, vale a dire i suoni degl’esseri umani e degli artefatti che costruisce.
In questa classificazione la geofonia è il solo paesaggio sonoro concomitante con l’apparizione della vita sulla terra.
C’è anche una disciplina, l’etnologia cognitiva della percezione – teorizzata da Olivier Wathelet (Laboratorio di Antropologia e di Sociologia dell’Università di Nizza) – che ha l’obiettivo di rendere comprensibili i meccanismi cognitivi e sociali che contribuiscono alla formazione dei paesaggi sensoriali, qualunque sia la loro natura e le loro modalità di percezione.
Prima di procedere dobbiamo considerare la nostra capacità ad alternare o a mescolare la percezione olistica (o analitica) di un ambiente sonoro, descritta dal fenomeno definito cocktail party problem.
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Qui, l’approccio olistico sottolinea come nel prendere in considerazione una qualunque situazione umana occorre necessariamente considerarla nelle sue relazioni con l’insieme di cui fa parte, pena l’impossibilità di comprenderla e di affrontarla in modo corretto ed efficace.
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Gli scienziati chiamano effetto cocktail party (cocktail party problem) la capacità del cervello di azzerare il rumore e concentrarsi su un qualcosa in particolare.
Questo processo, però, non è facile come sembra.
Per sentire quello che qualcuno ci dice in una sala affollata il nostro cervello deve essere in grado di discriminare quel preciso suono dal resto dei suoni che entrano dalle nostre orecchie.
Allo stesso tempo, dobbiamo saperci concentrare su quel suono, anche se c’è altra gente che chiacchiera e ride attorno a noi e/o con la musica ad alto volume.
Lo psicologo Frédéric Theunissen dell’Università di Berkeley afferma che vi sono aspetti della voce di una persona che si possono distinguere e ognuno di noi è in grado di focalizzare la propria attenzione proprio su queste caratteristiche, per ascoltare una voce in una stanza piena di rumori.
Ad esempio, l’ascoltatore si può concentrare sul tono e il timbro di chi parla, oppure sul suo accento.
Anche il modo in cui chi parla mette insieme le varie parole che compongono una frase può influenzare la percezione di chi ascolta. Naturalmente, si riesce meglio ad identificare le parole se queste formano una frase sensata, rispetto a una serie di parole a caso.
Poiché non vi è alcun modo per escludere totalmente certi suoni dalle nostre orecchie e farne passare altre, tutti i suoni di un ambiente entrano nelle nostre orecchie e vengono tradotti in segnali elettrici nel cervello.
Questi segnali si muovono in diverse aree cerebrali prima di raggiungere la corteccia uditiva, cioè la parte del cervello che elabora il suono.
Secondo una ricerca della Columbia University, il nostro cervello elabora tutti i tipi di suono che le nostre orecchie percepiscono (quindi i segnali arrivano tutti alla corteccia uditiva), ma solo quelli su cui ci concentriamo raggiungono anche le aree del cervello coinvolte nell’elaborazione del linguaggio e nel controllo dell’attenzione.
I suoni su cui non prestiamo attenzione, invece, non raggiungono la nostra consapevolezza.
Con l’età, questa nostra capacità di focalizzarci sui suoni che ci interessano si indebolisce. Non si tratta però di una semplice perdita dell’udito, quanto di una diminuzione dell’attenzione.
Negli anziani è stato rilevato una progressiva riduzione questa attenzione selettiva con la conseguente attenuazione della capacità di seguire un discorso in una stanza piena di suoni.
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Theunissen dirige L’Auditory Scienze Lab.
Così ha descritto il suo lavoro: L’obiettivo primario del nostro laboratorio è quello di capire come dei suoni naturali complessi come sono quelli del linguaggio umano, della musica e degli animali vengono individuati e riconosciuti dal cervello.
In sostanza studiamo la natura dei segnali di comunicazione utilizzando approcci comportamentali e statistici e, parallelamente, studiamo il sistema uditivo degli esseri umani e degli uccelli canori utilizzando tecniche neurofisiologiche.
In queste ricerche usiamo
metodi computazionali applicati alle
neuroscienze per generare teorie di
audizione, per studiare i suoni e per analizzare i nostri dati neurali.
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Per tornare in argomento, va notato a proposito di questa capacità di
focalizzare i suoni che è sull’opposizione tra un rumore di fondo e
degli avvenimenti sonori singolari che si fonda il fenomeno della territorializzazione.
Un’opposizione che ci consente di riconoscere un alpeggio di montagna con le sue mandrie di bovini o una zona di un quartiere popolare di una metropoli.
Un esempio specifico e curioso di territorializzazione è considerato il suono continuo dei campanelli delle biciclette senza freni dei portatori di pane del Cairo, un suono che si può dire identitario di questa città.
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Bike for Bread è un documentario di ventisei minuti che racconta la stupefacente storia dei BahiaAlaheich, gli straordinari ciclisti portatori di pane del Cairo. Nel traffico infernale della megalopoli egiziana, passano come stelle filanti, risalgono contromano interminabili code di automobili, scivolano leggeri tra le file dei tavolini di un caffè all’aperto per scomparire dentro un bazar. Sulla loro testa, in miracoloso equilibrio, tengono centinaia di pane Baladi, che arrivano a pesare anche 50 kg. Con una mano tengono il vassoio con il pane a strati, con l’altra il manubrio della bici. Ogni giorno, sfrecciando lievi nella bolgia del Cairo, consegnano migliaia di pani, dai forni alle rivendite dei negozi.
[vimeo]http://vimeo.com/46173524[/vimeo]
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Alcuni studi di antropologia hanno dimostrato come una diminuzione della diversità biologica di un luogo comporta nel breve termine una diminuzione della diversità biofonica.
Su questo tema molti viticultori in Francia hanno costatato come l’introduzione del trattamento chimico delle vigne hanno fatto sparire alcuni suoni di fondo naturali – come quelli dei grilli o delle cicale – e aumentato quello degli automezzi e, di conseguenza, dell’inquinamento sonoro.
È una delle motivazioni che ha contribuito a promuovere gli archivi dei natural soundscapes che non esistono più e ha convinto molti paesi, come il Giappone, a tutelare il loro patrimonio biofonico.
En passant notiamo, di contro, che ordine e silenzio siano considerati strumenti di controllo sociale e come, nei “luoghi comuni” della conversazione sono associati insieme.
In ogni modo la crescita demografica e il moltiplicarsi degli artefatti, che caratterizzano la modernità, ha moltiplicato le sorgenti di suono, soprattutto nei centro urbani.
Il problema è verificare in quale misura questa moltiplicazione corra parallela a una standardizzazione e a una omogeneizzazione sonora.
Resta il fatto che un ambiente sonoro è sostanzialmente inseparabile dal suo contesto sociale e che rappresentano le due facce dello stesso paradigma, quello dell’antropologia del sonoro.
Il concetto di paesaggio sonoro, in sede universitaria, diventò popolare in Europa a partire dal 1977 quando Robert Murray Schafer pubblicò The tuning of the world, in cui compare per la prima volta il concetto di soundscape.
Il titolo del libro si pu tradurre con “Accordare il mondo”.
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Raymond Murray Schafer (1933) è un compositore e un ambientalista canadese particolarmente noto per il World Soundscape Project, da lui ideato negli anni Sessanta del secolo scorso al fine di promuovere una nuova ecologia del suono, sensibile ai crescenti problemi dell’inquinamento acustico.
Schafer ha studiato al Royal Conservatory di Londra e all’Università di Toronto.
Ha poi per molti anni ha insegnato alla Simon Fraser University di Vancouver.
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Il paesaggio sonoroper le leggi dell’acustica è composto da diversi elementi, come le toniche (keynote sounds), i segnali (sound signals) e le impronte sonore (soundmarks).
– Tonica: è un termine musicale riconducibile all’armonia tonale che indica sia la prima nota di una scala, sia una funzione armonica di stasi.
Nella terminologia elaborata dal World Soundscape Project sta ad indicare una sonorità che potrebbe non essere sempre udito coscientemente, ma che evidenzia il carattere generale di un luogo.
Le toniche sono create dalla natura, cioè dal vento, dall’acqua, dalle foreste, dagli uccelli, dagli insetti, dagli animali in genere.
In molte aree urbane lo stesso traffico è diventato una tonica così come il borbottare di un frigorifero in un appartamento.
– Segnali: i segnali sono suoni in primo piano, uditi coscientemente.
Ad esempio: i dispositivi d’allarme, la sirena dei pompieri o delle forze dell’ordine, le campane, i fischietti, le sveglie degli orologi, eccetera.
Impronte sonore: l’impronta o marca sonora è un suono caratteristico di un’area.
Una volta che un’impronta sonora è stata identificata, ha scritto Schafer, meriterebbe di essere protetta, perché le impronte sonore rendono unica la vita acustica di una comunità.
Per i berlinesi, ad esempio, il rumore della metropolitana al momento della chiusura delle porte è una impronta sonora che è divenuta un soundmark che definisce Berlino.
Oggi molti studiosi del suono sostengono che certe impronte sonore possono rappresentare sia gli aspetti naturali che quelli culturali e storici di un luogo. In senso lato non sono solo forme di sapere, ma anche di poesia.
Sempre per esempio, è il caso del rumore dei cancelli in ferro dei vecchi palazzi storici o il rumore dei treni sul Pont du Bois Monzil a Villars, alla periferia di Saint Etienne.
È il ponte ferroviario più antico nell’Europa continentale, costruito nel 1827 e classificato come monumento storico.
Il fascino dei paesaggi sonori, da qualche anno a questa parte, è anche testimoniato dal loro crescente utilizzo nelle performance musicali. ____________________________________________________________________________
In linea generale diciamo che il paesaggio sonoro è delimitato dalla percezione uditiva come il paesaggio naturale è delimitato dal campo visuale.
Non a caso, per Schafer, prima di essere sonoro il paesaggio è uno spazio acustico.
Questo spazio rappresenta la globalità del campo auditivo. In pratica tutto ciò che l’orecchio è capace di percepire di un luogo.
Dentro questo spazio, poi, c’è una moltitudine di oggetti sonori che compongono l’ambiente sonoro.
Secondo l’importanza della tonalità e/o dei segnali il paesaggio sonoro può essere definito “lo-fi” (abbreviazione di low fidelity), vale a dire povero o confuso a livello di tonalità e segnali o,“hi-fi” (hight fidelity), che indica un rapporto di segnali e tonalità soddisfacenti.
Questa divisione in qualche modo serve a definire l’estetica acustica, intesa come la ricerca di quei principi che consentirebbero di migliorare la qualità estetica di un ambiente acustico o di un paesaggio sonoro.
Se provassimo a pensare il paesaggio sonoro come a una gigantesca composizione musicale in perpetua evoluzione e se riuscissimo a comprenderne l’orchestrazione e le sue forme potremmo modificarlo o arricchirlo senza danneggiarlo o nuocere agli uomini.
Più prosaicamente, l’estetica acustica potrebbe avere un grande ruolo nell’eliminare o ridurre il rumore nocivo, nel controllare i nuovi rumori e soprattutto nel conservare le impronte sonore che rendono piacevole un luogo e proteggono la sua identità.
Quest’ultimo punto si salda con quella che si definisce l’ecologia acustica, vale a dire lo studio dei rapporti tra gli esseri viventi e l’ambiente dal punto di vista dei suoni e del silenzio.
Un altro tema a cavallo tra estetica e ecologia è quello della protezione dei suoni minacciati di sparizione.
Questi suoni dovrebbero essere registrati con molta cura è considerati come dei preziosi reperti storici.
Per l’UNESCO il flamenco è un soundscape.
Un’espressione della comunità acustica dell’Andalusia che ne condivide la tradizioni e ne conosce il significato.
In questo senso è parte del patrimonio culturale intangibile di questa regione.
La sua impronta sonora rinvia alla “battaglia figurata tra i sessi” e al ruolo dei gitanos nella società spagnola.
Da qualche anno ci sono molti antropologi che si stanno battendo anche perchè siano mantenuti in vita dei complessi sonori unici e irripetibili o, perlomeno, che il loro ricordo non sia perduto.
Che cosa sarebbe Salisburgo senza le campane del suo Duomo, Stoccolma senza il carillon
dello Stad-Huset o Londra senza il Big Ben?
In altri termini, ogni impronta sonora è carica di una particolare valenza simbolica, culturale e (in genere) sociale.
Alcune impronte sonore, come abbiamo già visto, sono monolitiche e costituiscono il marchio su un’intera comunità.
A Vancouver, ad esempio, un cannone, costruito nel 1816, viene sparato ogni sera nel porto a partire dal 1894.
Originariamente serviva a indicare l’ora ai pescatori, oggi viene invece conservato come souvenir sonoro.
Come abbiamo visto Schafer distingue tra eventi sonori e oggetti sonori.
Un oggetto sonoro è un oggetto acustico astratto.
Un evento sonoro è invece definito dalla sua dimensione simbolica, semantica e strutturale.
Differente, invece, è il rapporto tra musica e paesaggio sonoro.
Una composizione musicale può sfruttare i suoni del paesaggio sonoro così come può partecipare a definire la sua identità.
Un caso di particolare interesse è quello della musique d’ameublement e dei suoi sviluppi, negli anni Settanta, con il diffondersi della ambient music.
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Musique d’ameublement è un’espressione coniata dal compositore francese Erik Satie per definire una stagione della sua produzione musicale (1916-1925).
Letteralmente significa “musica da arredamento” e viene talvolta tradotta con “musica da tappezzeria”.
Lo stesso Satie la definiva come “musica che non ha bisogno di essere ascoltata”, suscitando numerose polemiche.
Esempio della musique d’ameublement è il balletto in due atti Relâche (1924) con il celebre inserto cinematografico Entr’Acte, firmato da René Clair.
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Un aneddoto: Un giorno Erik Satie, seduto al tavolino di un caffè parigino, disse a Fernand Leger che era con lui: “Sai, bisognerebbe creare della musica d’arredamento, cioè una musica che facesse parte dei rumori dell’ambiente in cui viene diffusa, che ne tenesse conto. Dovrebbe essere melodiosa, in modo da coprire il suono metallico dei coltelli e delle forchette senza però cancellarlo completamente, senza imporsi troppo. Riempirebbe i silenzi, a volte imbarazzanti, dei commensali. Risparmierebbe il solito scambio di banalità. Inoltre, neutralizzerebbe i rumori della strada che penetrano indiscretamente dall’esterno”.
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Più vicino a noi fu John Cage il primo compositore a comprenderne il senso innovativo, affermando che la musique d’ameublement offre la possibilità di “fare uscire il compositore dalla sua individualità, restituendo ai suoni la libertà di essere se stessi”.
Si può definire con musica d’ambiente anche quella del compositore inglese Brian Eno, che negli anni ’70 “arreda” di suoni gli aeroporti utilizzando una strumentazione elettronica.
Diceva Satie: “L’abitudine e l’uso vogliono che si faccia musica in circostanze con le quali la musica non ha niente a che vedere.
In queste occasioni si suonano Fantasie d’Opera, valzer e simili, lavori composti per ben altro fine.
Noi vogliamo produrre una musica dichiaratamente adatta a questo scopo. L’Arte è un’altra cosa.
La Musique d’Ameublement crea una vibrazione, non ha altro scopo. Ha la stessa funzione della luce, del calore e del comfort in tutte le sue forme. Sostituisce vantaggiosamente Marce, Polke, Tanghi, Gavotte e via dicendo. Esigete la Musique d’Amebulement. Disertate le case che non adottano la Musique d’Ameublement”.
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In realtà da sempre la musica accompagna le pratiche sociali, partecipando ad innumerevoli riti e forme di intrattenimento, mentre un ascolto composto e attento appartiene ad una fruizione consapevole relativamente recente.
Innovativa e commerciale, per molti, è l’idea di comporre specificatamente per degli ambienti, di dare un arredamento sonoro assolutamente non intrusivo con una specifica estetica.
Oggi, del resto, nella progettazione di spazi di qualsivoglia natura (pubblici, privati, aperti, chiusi, etc.) l’elemento acustico è di particolare importanza.
Tendenzialmente si tende a ridurre il rumore, ossia tutto il suono invadente è non desiderato, e a amplificare gli eventi sonori.
Qui, amplificare non significa mettere in primo piano, ma piuttosto consentire l’intelligibilità dell’evento sonoro.
Esiste dunque un’estetica del cambiamento del paesaggio sonoro e riflettere su di esso vuol dire rilevare i cambiamenti intervenuti nella percezione e nel comportamento di quelli che lo abitano.
Per concludere, il primo suono che gli uomini intesero fu quello delle acque che scorrono, ma il mondo stesso è un’immensa composizione musicale che si dispiega senza soste.
Da qualche tempo a questa parte conservarlo è diventato un impegno culturale e politico soprattutto quando è specifico e unico come coloro che l’hanno creato e lo abitano.
(Febbraio2020)