Esercitazione 11 – 2008-09

IED. Sociologia – Anno accademico 2008-2009.
Tema della undicesima esercitazione.
Interpretazione del “Body-Sushi”.
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Questo recente fenomeno di costume, conosciuto negli Stati Uniti con il nome di body sushi, è più una performance che un’esperienza culinaria nel vero senso del termine.  Proviamo a descriverlo.
Una modella, che con un bagno di acqua fredda ha abbassato la sua temperatura corporea, si distende nuda su un tavolo e ricoperta da tante piccole preparazioni alla mano.  Del suo corpo resta scoperto solo il viso, contornato dalla preparazione principale che è il sushi.
In breve, è un pranzo o un’opera d’arte?
In entrambi i casi è l’ennesima degradazione del corpo femminile che viene giustificata nei modi più diversi, anche ricorrendo alla tradizione storica, cioè, ad alcune antiche usanze della corte del Sol levante.
Oggi è molto popolare in Giappone, in Cina, in California e a New York, ma quel evidente tratto di perversione che contiene ha fatto si che le ragazze-piatto – di solito provengono dai paesi slavi – siano divenute popolari anche in molti piccoli centri di provincia europei così come nei paesi arabi.
In Giappone il body sushi è in qualche modo giustificato dalla stretta relazione sensuale che esiste tra cibo, arte e sessualità.  Là dove invece è tollerato o è clandestino i suoi censori sottolineano, oltre all’oltraggio della femminilità, la mancanza di igiene.
Questo fenomeno ha attecchito soprattutto tra le società di catering, per ovvie ragioni di riservatezza.  C’è poi da notare che, con il diffondersi del fenomeno, la quantità di cibo sul corpo delle ragazze è diminuito per lasciare spazio alla nudità.  Diverse società di catering della California hanno di recente introdotto anche il dessert, vale a dire, una ragazza cosparsa di cioccolata da leccare.
In Giappone il nyotoiamori, alla lettera, il corpo di donna adornato, in questa versione moderna del body sushi, è considerato una forma di performance art, un’esperienza estetica che mette insieme un corpo, una forma, dei sapori.  Ma la versione occidentalizzata del sushi è così nuova e trasgressiva come sembra e, poi, che cosa nasconde?
Certamente un desiderio camuffato nel quale mangiare l’altro è, insieme, espressione di un potere di coercizione e di un godimento.  Mangiare e fare, del resto, e non da oggi, nel discorso scurrile, indicano l’atto sessuale.  In Miroir de l’âme pécheresse (Specchio dell’anima peccatrice) uscito nel 1531, la grande libertina, Margherita di Navarra, scrittrice e poetessa, scrive: Oh, se esse sapessero che cos’era divorare della carne cruda la notte!
Nel 1925, Cecil Blount de Mille nel film The Golden Bed, gira una sequenza nella quale un gruppo di uomini in abito da sera divorano la “donna-toffoletta”, la donna “marschmallow”, dal nome di certi dolci ottenuti dalla malva e molto popolari negli Stati Uniti.  Era l’attrice inglese Lillian Rich, una delle più famose silent ladies del cinema, c’è da dire che de Mille era un feroce maccartista che era arrivato a pretendere un giuramento anticomunista dai registi di Hollywood.
Per venire più vicino a noi, durante l’inaugurazione dell’esposizione internazionale del surrealismo, che si tenne a Parigi nell’inverno del 1959, la giovane e bella Méret Oppenheim, si offrì in pasto ai suoi amici, distesa su un tavolo, circondata da aragoste, frutti di mare, ricci e bottiglie di champagne.  Da quel giorno non c’è celebrazione del surrealismo senza che una ragazza finisca nuda su un tavolo semisommersa di cibo ed offerta ai piaceri dei critici d’arte e dei collezionisti.

In termini psico-analitici dovremmo parlare di iconofagiaGottfried Leibniz chiama appetizione il frutto di appetito e desiderio.  Il frutto d’inquietudini che ci attraversano e spesso ci dominano.  Da tempo sappiamo che il nostro corpo non mangia solo materie nutritive, ma anche e soprattutto rappresentazioni.  Più semplicemente noi abbiamo bisogno di un consumo simbolico, oltre che di uno reale, delle cose che popolano il mondo, un consumo affatto fittizio, che ha una funzione compensatoria per l’ansia che “divora” la tavola dell’onnivoro.  Più poeticamente, noi sappiamo mordere le immagini.  Ce lo suggerisce un libro inquietante, Naked Lunch di William S. Burroughs, parlando degli occhi che diventano bocche.  Di immagini che, a differenza del cibo, non sono mai assimilabili, che ci fanno sperimentare l’impossibile consumo dell’Altro e devastano il desiderio.  Se, come sostiene Jacques Lacan, il desiderio dell’uomo è il desiderio dell’Altro, allora, forse, noi possiamo sedarlo moltiplicando le nostre illusioni, fino al paradosso del body sushi, cioè, fino al punto di trascinare la sessualità nella trappola di un boccone che non potrà mai sfamarci.

Tema dell’esercitazione è la progettazione di una brochure, di un book fotografico (autoprodotto) o di un breve filmato per il lancio in Italia di un servizio di “body-sushi” da parte di una società di catering.
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L’elaborato dovrà essere presentato su dischetto, accompagnato da una breve relazione scritta esplicativa.
Non sono accettati altri supporti.

Interpretazione del Body-Sushi

Interpretazione del Body-Sushi

Interpretazione del Body-Sushi

Interpretazione del Body-Sushi

Interpretazione del Body-Sushi

Interpretazione del Body-Sushi

Interpretazione del Body-Sushi

Interpretazione del Body-Sushi

Interpretazione del Body-Sushi

Interpretazione del Body-Sushi

Interpretazione del Body-Sushi

Interpretazione del Body-Sushi

Interpretazione del Body-Sushi

Interpretazione del Body-Sushi

Interpretazione del Body-Sushi

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Esercitazione 10 – 2008-09

IED. Sociologia – Anno accademico 2008-2009.
Tema della decima esercitazione.
Valentine de Saint-Point,  la lussuria e la sua cornice futurista.

Parigi, 20 febbraio 1909: “Il fiuto, il fiuto solo, basta alle belve!”  I giovani futuristi vogliono scuotere le porte della vita, cantare l’amore del pericolo, l’audacia, l’insonnia febbrile, il salto mortale.  Manca solo una manciata di anni per arrivare all’inutile strage che apre le porte al secolo delle energie, dopo che l’Ottocento aveva vissuto “virilmente” quello delle materie.  Questa metamorfosi è all’insegna del corpo femminile e una bèance si apre sotto i piedi del desiderio maschile!  Ciò che desidera l’uomo è che l’Altro lo desideri, vuole essere ciò che manca all’Altro, essere la causa del desiderio dell’Altro…ma l’amante è altrove, l’alcova è vuota, la gatta dorme.  Il corpo della donna attraverso la parola si dispiega ora nella rappresentazione.  Il femminile diventa la metafora di quella fente che esprime l’addio tra l’ordine del linguaggio e ciò che il maschile ha perduto.  Nel Novecento attraverso il corpo della donna l’uomo fa i conti con la società che si è dato, la sua organizzazione spettacolare, il suo linguaggio.  Ora non dispone che di una sola tragica alternativa: o capire o perdersi.
°°°
Il prossimo venti febbraio il movimento futurista compirà cento anni.  Tra le avanguardie che hanno rivoluzionato la prima metà del Novecento è quello che ha conosciuto le vittorie più amare.
Da una parte, ha inaugurato la storia delle avanguardie artistiche, dall’altra, ha rovinato la loro reputazione con i suoi compromessi politici e le sue miserie.  È stato profetico e cialtrone.  Ha esaltato la libertà ed è precipitato negli autoritarismi.  Ha sognato l’impossibile e si è ridotto ad osannare i gagliardetti fascisti.  Si vantava dei suoi manifesti maggiori, ma oggi noi sappiamo che la saggezza era nascosta in quelli minori.  Voleva rifare il mondo a sua immagine e somiglianza, e non si è accorto di aver inaugurato l’estetizzazione della modernità.  Ha colto nella velocità uno dei paradigmi del secolo – che, in seguito, con Paul Virilio diventerà una scienza, la dromologia – ma l’ha cantata come una sorella della guerra.  È riuscito ad essere antisemita, antidemocratico, anticomunista, anche se Filippo TommasoMarinetti ha guardato con ammirazione alla rivoluzione bolscevica, è stato maschilista e fallocratico, ha cantato le officine e il passo di marcia, la donna – come oggetto di desiderio – e il gesto anarchico.  Il nuovo che ruggiva contro un passato che agonizzava sulle sue illusioni.  In una, ha mescolato l’intelligenza e il furore.  La tragedia di vivere con la farsa di un riscatto attraverso l’arte.
Veniamo alla protagonista di questa esercitazione.  Nel diciannovesimo arrondissement di Parigi c’è un parco, le parc des Buttes Chaumont.  Non è un parco come tutti gli altri.  Ha delle scogliere alte più di trenta metri, grotte, platani antichi, un lago.  In mezzo al lago c’è un’isola l’Île du Belvédère, quest’isola è congiunta al parco da un ponte, detto dei suicidi, in pietra, e da una passerella sospesa, in legno.  Questo tempietto è anche detto dell’amore.  Inutile dire che è stato per anni uno dei luoghi più amati dai surrealisti.  Ora, se per caso, in una delle gelide mattine dell’inverno del 1909, qualche flaneur, sfidando il gelo, si fosse avventurato nel parco ed avesse alzato lo sguardo passando dal ponte al tempietto avrebbe assistito ad uno spettacolo singolare.  Sotto la piccola volta del tempietto, infatti, avrebbe scorto un’affascinante giovane donna seduta su un  basamento di pietra con il corsetto di velluto aperto, i seni esposti al vento freddo, ed un uomo, di qualche anno più vecchio, con la testa infilata tra le sue cosce.  Avrebbe ascoltato il suo ridere e goduto della sua impudicizia.  Un paio d’anni dopo questa giovane scriverà nel Manifesto della Donna Futurista:“Le donne sono le Erinni, le Amazzoni, le Semiramidi, le Giovanne d’Arco, le Jeanne Hachette, le Giuditte e le Carlotte Corday.  Le Cleopatre e le Messaline, le guerriere che combattono con più ferocia dei maschi, le amanti che incitano, le distruttrici  che – spezzando i più deboli – agevolano la selezione attraverso l’orgoglio e la disperazione, la disperazione che dà al cuore tutto il suo rendimento.”
L’autrice di questo manifesto la conosciamo con lo pseudonimo di Valentine de Saint-Point.  Si chiamava Anna Jeanne Valentine Marianne Desglans de Cessiat-Vercell, era nata a Lione nel febbraio del 1875.  Nel 1909, a Parigi, conobbe Marinetti, lo sedusse.  Nel 1912, scriverà il Manifesto della Donna Futurista.  Formalmente è una risposta al punto nove del Manifesto futurista, che recita: “Vogliamo glorificare la guerra, sola igiene del mondo, il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore degli anarchici, le belle Idee che uccidono e il disprezzo della donna.”
Ci sono due Valentine.  La prima è la figlia di una borghesia di provincia, che si compiace dei suoi rapporti di parentela con Alphonse de Lamartine, Saint-Point era il nome del suo castello.
Valentine si sposa a diciotto anni con un grigio professore di filosofia di paese, lo tradisce da subito con un collega di costui, in ogni modo rimarrà vedova sei anni dopo.  Contrae un nuovo matrimonio con un politico di provincia che pungola e, in qualche modo, riesce a far diventare un ministro della terza Repubblica, ma non sopporta la sua mediocrità e nel 1904, pur di liberarsene, accetta un divorzio per colpa, che farà scandalo.  Tagliato l’orrido serpaio dei rapporti familiari può dedicarsi alla poesia e all’arte.  Nasce una nuova Valentine.  È una donna bella, diventerà una libertina, le si attribuiscono numerosi amanti, tra i quali Auguste Rodin, grande scultore, ma anche un anziano satiro di una generazione più vecchio e Alfons Mucha, quello che abbiamo lasciato con la testa tra le sue gambe.  Poi ci sono gli amanti occasionali, c’è un amore libero, oggi diremmo a coppia aperta, con un italiano, Ricciotto Canudo, che durerà qualche anno.  Con lei ci provano tutti, compreso Gabriele D’Annunzio e una famosa garçonne, Rachilde, al secolo Marguerite Eymery, che ha uno dei salotti più invidiati di Parigi, autrice di decine di libri tra romanzi e racconti, tra cui lo scandaloso Monsieur Vénus, sottotitolato, un romanzo materialista.  Discutono più che di sesso, di sessualità.  Rachilde è interessata a quel fenomeno che oggi chiamiamo transgender, Valentine né approfitterà per definire quella che lei stessa chiama la virilità femminile.  Con Rachilde e le sue amiche inventa anche lo scambio degli indumenti, si vestono da uomo, un secolo dopo i giovani americani lo denomineranno crossdressing.  Nella capitale francese si dedica alla scrittura e al ballo, alla poesia, ai piaceri e al desiderio, canta il furore dei sensi, la confusione dei ruoli amorosi, inventa un nuovo modo di pensare il corpo della donna.  In altri termini, si rivolta contro la costruzione culturale del corpo femminile.  Con lei la lussuria diventerà una forza, ne farà un manifesto, il secondo, che pubblica nel gennaio del 1913.
La ragione è semplice quanto esemplare, per Valentine la lussuria è arte.
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Scopo dell’esercitazione è di rappresentare la lussuria, come opera d’arte, vista con gli occhi di Valentine de Saint-Point.

Questa esercitazione può essere realizzata o con una serie di fotografie o con un filmato o con una colonna sonora o, infine, intrecciando queste tecniche in un video.
L’elaborato dovrà essere presentato su dischetto, accompagnato da una breve relazione scritta esplicativa.
Non sono accettati altri supporti.

Valentine de Saint-Point,  la lussuria e la sua cornice futurista

Valentine de Saint-Point,  la lussuria e la sua cornice futurista

Valentine de Saint-Point,  la lussuria e la sua cornice futurista

Valentine de Saint-Point,  la lussuria e la sua cornice futurista

Valentine de Saint-Point,  la lussuria e la sua cornice futurista

Valentine de Saint-Point,  la lussuria e la sua cornice futurista

Valentine de Saint-Point,  la lussuria e la sua cornice futurista

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Esercitazione 9 – 2008-09

IED – Sociologia – Anno accademico 2008-2009. 

Tema della nona esercitazione: il “corpo”.

I primi due autori che se ne sono occupati nell’ambito delle scienze sociali sono Georg Simmel e Marcel Mauss.  I loro studi risalgono alla prima parte del Novecento.   Questi studi, in seguito si sono evoluti verso una sociologia del corpo o delle culture corporee in una prospettiva “culturalista”.  Il tema del corpo lo ritroviamo anche nella sociopatica e nella prossemica e in tutte le ricerche dove compare il vissuto e la corporeità.  Sostanzialmente il dibattito sul corpo, oggi, ha preso tre direzioni.  La prima consiste nel pensare il corpo come inessenziale rispetto al pensiero dell’uomo relegato ad espressione di uno sviluppo simbolico delle attività culturali in senso antropologico.
La seconda cerca di costruire un ponte tra il biologico e il simbolico.  Cioè, tra l’uomo come espressione della materialità naturale e l’uomo come creatura simbolica, che non può non porsi, in ogni momento, la questione del vissuto, del senso dell’essere.
La terza direzione, quella che in questo momento è egemone, cerca una via di accesso alle forme culturali grazie ad un pensiero del corpo che non si esaurisce alle funzioni biologiche che lo definiscono.
Di fatto, noi siamo un corpo.  Abbiamo un corpo solo quando soffriamo.  Solo quando il vivere è incarnato e ci spinge a pensare l’eccesso.  La trasformazione dell’organismo in corpo è fondamentale perché indica una rottura tra l’ordine biologico e l’ordine antropologico.
In altri termini, il passaggio del corpo ad individuo sociale è un salto qualitativo che non può essere spiegato con la biologia.
Una delle ragioni per cui il corpo è oggi al centro di così tante attenzioni sta nel fatto che un certo numero di nuove tecnologie hanno radicalmente rovesciato le categorie classiche con il quale lo si considerava.  Per esempio, con “internet” si può abitare il ciberspazio e non avere bisogno di un corpo.  Cosa significa?  Che la comunicazione e l’immaginazione si sono liberate della presenza corporale del soggetto con una conseguenza: la nostra esistenza, la nostra esperienza e la nostra identità sono diventate liquide e, di riflesso, immateriali.  In sintesi, potremmo dire che le nuove tecnologie esigono di ripensare il corpo e questo avviene in molti modi e non si limita alle tecniche che agiscono direttamente sul corpo, come il transessualismo, i tatuaggi, il bodybuilding, la medicalizzazione, la clonazione o la fecondazione in vitro, riguarda anche l’immagine del corpo, il suo marketing e il suo divenire mera rappresentazione.  Ci sono tecnologie che catturano delle parti sconosciute e invisibili del corpo.  Lo sguardo medico, per esempio, penetra da tempo sotto la pelle a cominciare dall’invenzione dei raggi X da parte di Wilhelm Conrad Röntgen, nel 1895.  Oggi abbiamo l’ecografia, l’endoscopia, la tomografia ad emissione di positroni (la TAC), la risonanza magnetica.  Tutte tecniche che hanno contribuito alla creazione di un mito, quello del corpo trasparente.  Un tempo, come ha notato Michel Foucault, il corpo era sottoposto a “decriptazione”, era una massa opaca, oggi è “obiettivato” e visualizzato, appiattito a figura.
In breve, l’immagine del corpo ha finito per esprimere l’identità corporale a dispetto di ogni illusione sull’anima.
Queste osservazioni ci consentano, qui, di rileggere brevemente la storia della BodyArt, nata negli anni ‘60 del secolo scorso.  L’arte si è sempre occupata della rappresentazione del corpo o di parti di esso, ma l’idea nuova di questa esperienza è la messa in discussione del corpo per ciò che rappresenta.  Si sottolineano le singolarità del corpo, le differenze specifiche, il contrasto con l’identità, come sono le differenze di sesso, di razza, di età.
Le “body-artiste” arrivano ad intendere la BodyArt come un’emancipazione del corpo, per questo sono anche delle femministe che si battono contro la dominazione maschile delle forme della modernità.  Di grande importanza in questo senso è l’opera di Carolee Schneeman e, tra i suoi lavori, di Interior Scroll, del 1975.  In questa performance l’artista – completamente nuda sul palcoscenico – estrae dalla vagina un “rotolo” scritto, una parodia di un tampone vaginale, che legge.  Rappresenta un panegirico della sua visibile femminilità, indifesa, “spiumata” e irrimediabilmente diversa.  Dopo alterne vicende, anche contraddittorie – in cui la Body-Art volle esprimere il femminile senza usare il corpo – nell’ultima decade del Novecento il corpo ha di nuovo ritrovato una posizione centrale.
Questa volta, però, non come “corpo politico” da emancipare, ma piuttosto come elemento campione per misurare un mondo e le nuove tecnologie, in particolare quelle immateriali, che in qualche modo sono in uno stretto rapporto di sintonia con l’affettività corporale femminile.
In questo senso è significativa l’opera della palestinese Mona Hatoum, nata in Libano, che in Corps étranger del 1994 esplora l’interno di se stessa.  È un’esplorazione affascinante e violenta e allo stesso tempo una banalizzazione dell’ego.  In pratica è un’endoscopia che entra sotto la pelle e penetra negli orifizi dell’artista.  Questa visita nell’interiorità si realizza dentro una cabina circolare che segrega lo spettatore per costringerlo a pensare a sé stesso come corpo e, al tempo stesso, al non corpo, cioè, a quell’entità estranea e ripugnante, messa a nudo, che lo circonda.
Attraverso il corpo le persone, non solo gli artisti, fanno del mondo la misura della sua esperienza.
Un’esperienza coerente e, in qualche modo, permeabile, significativa, perché il corporale viene da lontano e rappresenta una categoria fondamentale dell’ontologia degli stoici.
Si può dire che il corpo produce continuamente senso, il cui fine pratico è quello di operare una mediazione tra l’individuo e il mondo, sia da un punto di vista sociale che culturale.
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Ogni gruppo può scegliere tra questi due obiettivi dell’esercitazione. 
Primo obiettivo.  Comunicare un sentimento astratto, come l’amicizia, l’astio, l’affetto, l’amore, l’indifferenza, il desiderio, il disappunto, la differenza. 
Secondo obiettivo.  Comunicare uno stile di vita o un aspetto “estetico” che riguardi la vita corrente. 
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Questa esercitazione può essere realizzata o con una serie di fotografie o con un filmato o con una colonna sonora o, infine, intrecciando queste tecniche in un video.
L’elaborato dovrà essere presentato su dischetto, accompagnato da una breve relazione scritta esplicativa.
Non sono accettati altri supporti.

Il corpo

Il corpo

Il corpo

Il corpo

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Il corpo

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