IED. Sociologia – Anno accademico 2008-2009.
Tema della decima esercitazione.
Valentine de Saint-Point, la lussuria e la sua cornice futurista.
Parigi, 20 febbraio 1909: “Il fiuto, il fiuto solo, basta alle belve!” I giovani futuristi vogliono scuotere le porte della vita, cantare l’amore del pericolo, l’audacia, l’insonnia febbrile, il salto mortale. Manca solo una manciata di anni per arrivare all’inutile strage che apre le porte al secolo delle energie, dopo che l’Ottocento aveva vissuto “virilmente” quello delle materie. Questa metamorfosi è all’insegna del corpo femminile e una bèance si apre sotto i piedi del desiderio maschile! Ciò che desidera l’uomo è che l’Altro lo desideri, vuole essere ciò che manca all’Altro, essere la causa del desiderio dell’Altro…ma l’amante è altrove, l’alcova è vuota, la gatta dorme. Il corpo della donna attraverso la parola si dispiega ora nella rappresentazione. Il femminile diventa la metafora di quella fente che esprime l’addio tra l’ordine del linguaggio e ciò che il maschile ha perduto. Nel Novecento attraverso il corpo della donna l’uomo fa i conti con la società che si è dato, la sua organizzazione spettacolare, il suo linguaggio. Ora non dispone che di una sola tragica alternativa: o capire o perdersi.
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Il prossimo venti febbraio il movimento futurista compirà cento anni. Tra le avanguardie che hanno rivoluzionato la prima metà del Novecento è quello che ha conosciuto le vittorie più amare.
Da una parte, ha inaugurato la storia delle avanguardie artistiche, dall’altra, ha rovinato la loro reputazione con i suoi compromessi politici e le sue miserie. È stato profetico e cialtrone. Ha esaltato la libertà ed è precipitato negli autoritarismi. Ha sognato l’impossibile e si è ridotto ad osannare i gagliardetti fascisti. Si vantava dei suoi manifesti maggiori, ma oggi noi sappiamo che la saggezza era nascosta in quelli minori. Voleva rifare il mondo a sua immagine e somiglianza, e non si è accorto di aver inaugurato l’estetizzazione della modernità. Ha colto nella velocità uno dei paradigmi del secolo – che, in seguito, con Paul Virilio diventerà una scienza, la dromologia – ma l’ha cantata come una sorella della guerra. È riuscito ad essere antisemita, antidemocratico, anticomunista, anche se Filippo TommasoMarinetti ha guardato con ammirazione alla rivoluzione bolscevica, è stato maschilista e fallocratico, ha cantato le officine e il passo di marcia, la donna – come oggetto di desiderio – e il gesto anarchico. Il nuovo che ruggiva contro un passato che agonizzava sulle sue illusioni. In una, ha mescolato l’intelligenza e il furore. La tragedia di vivere con la farsa di un riscatto attraverso l’arte.
Veniamo alla protagonista di questa esercitazione. Nel diciannovesimo arrondissement di Parigi c’è un parco, le parc des Buttes Chaumont. Non è un parco come tutti gli altri. Ha delle scogliere alte più di trenta metri, grotte, platani antichi, un lago. In mezzo al lago c’è un’isola l’Île du Belvédère, quest’isola è congiunta al parco da un ponte, detto dei suicidi, in pietra, e da una passerella sospesa, in legno. Questo tempietto è anche detto dell’amore. Inutile dire che è stato per anni uno dei luoghi più amati dai surrealisti. Ora, se per caso, in una delle gelide mattine dell’inverno del 1909, qualche flaneur, sfidando il gelo, si fosse avventurato nel parco ed avesse alzato lo sguardo passando dal ponte al tempietto avrebbe assistito ad uno spettacolo singolare. Sotto la piccola volta del tempietto, infatti, avrebbe scorto un’affascinante giovane donna seduta su un basamento di pietra con il corsetto di velluto aperto, i seni esposti al vento freddo, ed un uomo, di qualche anno più vecchio, con la testa infilata tra le sue cosce. Avrebbe ascoltato il suo ridere e goduto della sua impudicizia. Un paio d’anni dopo questa giovane scriverà nel Manifesto della Donna Futurista:“Le donne sono le Erinni, le Amazzoni, le Semiramidi, le Giovanne d’Arco, le Jeanne Hachette, le Giuditte e le Carlotte Corday. Le Cleopatre e le Messaline, le guerriere che combattono con più ferocia dei maschi, le amanti che incitano, le distruttrici che – spezzando i più deboli – agevolano la selezione attraverso l’orgoglio e la disperazione, la disperazione che dà al cuore tutto il suo rendimento.”
L’autrice di questo manifesto la conosciamo con lo pseudonimo di Valentine de Saint-Point. Si chiamava Anna Jeanne Valentine Marianne Desglans de Cessiat-Vercell, era nata a Lione nel febbraio del 1875. Nel 1909, a Parigi, conobbe Marinetti, lo sedusse. Nel 1912, scriverà il Manifesto della Donna Futurista. Formalmente è una risposta al punto nove del Manifesto futurista, che recita: “Vogliamo glorificare la guerra, sola igiene del mondo, il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore degli anarchici, le belle Idee che uccidono e il disprezzo della donna.”
Ci sono due Valentine. La prima è la figlia di una borghesia di provincia, che si compiace dei suoi rapporti di parentela con Alphonse de Lamartine, Saint-Point era il nome del suo castello.
Valentine si sposa a diciotto anni con un grigio professore di filosofia di paese, lo tradisce da subito con un collega di costui, in ogni modo rimarrà vedova sei anni dopo. Contrae un nuovo matrimonio con un politico di provincia che pungola e, in qualche modo, riesce a far diventare un ministro della terza Repubblica, ma non sopporta la sua mediocrità e nel 1904, pur di liberarsene, accetta un divorzio per colpa, che farà scandalo. Tagliato l’orrido serpaio dei rapporti familiari può dedicarsi alla poesia e all’arte. Nasce una nuova Valentine. È una donna bella, diventerà una libertina, le si attribuiscono numerosi amanti, tra i quali Auguste Rodin, grande scultore, ma anche un anziano satiro di una generazione più vecchio e Alfons Mucha, quello che abbiamo lasciato con la testa tra le sue gambe. Poi ci sono gli amanti occasionali, c’è un amore libero, oggi diremmo a coppia aperta, con un italiano, Ricciotto Canudo, che durerà qualche anno. Con lei ci provano tutti, compreso Gabriele D’Annunzio e una famosa garçonne, Rachilde, al secolo Marguerite Eymery, che ha uno dei salotti più invidiati di Parigi, autrice di decine di libri tra romanzi e racconti, tra cui lo scandaloso Monsieur Vénus, sottotitolato, un romanzo materialista. Discutono più che di sesso, di sessualità. Rachilde è interessata a quel fenomeno che oggi chiamiamo transgender, Valentine né approfitterà per definire quella che lei stessa chiama la virilità femminile. Con Rachilde e le sue amiche inventa anche lo scambio degli indumenti, si vestono da uomo, un secolo dopo i giovani americani lo denomineranno crossdressing. Nella capitale francese si dedica alla scrittura e al ballo, alla poesia, ai piaceri e al desiderio, canta il furore dei sensi, la confusione dei ruoli amorosi, inventa un nuovo modo di pensare il corpo della donna. In altri termini, si rivolta contro la costruzione culturale del corpo femminile. Con lei la lussuria diventerà una forza, ne farà un manifesto, il secondo, che pubblica nel gennaio del 1913.
La ragione è semplice quanto esemplare, per Valentine la lussuria è arte.
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Scopo dell’esercitazione è di rappresentare la lussuria, come opera d’arte, vista con gli occhi di Valentine de Saint-Point.
Questa esercitazione può essere realizzata o con una serie di fotografie o con un filmato o con una colonna sonora o, infine, intrecciando queste tecniche in un video.
L’elaborato dovrà essere presentato su dischetto, accompagnato da una breve relazione scritta esplicativa.
Non sono accettati altri supporti.