IED – Materiali del corso VIII (2011-12)

[Parte 8 di 8 – Ultima parte]

Queste nuove forme di comunicazione hanno anche trasformato il modo di pensare il tempo. 

Per esempio, il presente che viviamo si è dilatato e in esso non si coglie più il fluire del passato.  Noi viviamo un tempo reale che fatica a diventare tempo storico. 

A livello psicologico nessuno vuole più invecchiare perché risultano svalorizzati il vissuto e la memoria.  Perché la storia sociale come scuola di vita è tramontata.

Con quali conseguenze? 

Che le strutture narrative, che un tempo intrecciavano le costruzioni del senso, si sono affievolite, mentre il progredire delle frontiere tecnologiche va di pari passo con le trasformazioni dei meccanismi cognitivi. 

In breve, il dominio del tempo e dello spazio amplia i poteri della mente, nello stesso movimento che altera il fluire della coscienza.  In questo modo, all’interno delle società avanzate si generano nuove forme di anomia sociale che non sappiamo ancora affrontare. 

Sotto un altro aspetto è come se la contingenza avesse preso il posto della narrazione.

Una contingenza – com’è per esempio quella che si ottiene con lo zapping – che crea una cultura sempre più forte per la potenza dei suoi contenuti, ma allo stesso tempo capace di rendere l’individuo sempre più estraneo al suo senso, alla capacità d’interpretarla. 


In questo contesto evolutivo il fattore organizzativo finisce per svolgere un ruolo capitale. 

Come tutti possono vedere si è ridotto l’intervallo tra produzione dei contenuti e il loro consumo. 

Si è incrementata la qualità e l’intensità delle rappresentazioni. 

Tutto appare e diviene più fragile ed aleatorio. 

Le reti sono così divenute uno strumento di creazione e trasformazione dei problemi sociali e della soggettività individuale.

Paradossalmente, le stesse conoscenze individuali hanno subito una trasformazione significativa. 

Da un paio di generazioni almeno a questa parte e per la prima volta nella storia dell’uomo, il patrimonio di conoscenze di cui una persona dispone all’inizio della sua carriera è destinato a diventare soprattutto in campo scientifico, prima della fine della sua vita professionale, obsoleto.

Non per caso, nei paesi industrializzati quelli che perdono l’occupazione dopo i quarant’anni faticano a trovare un altro posto di lavoro. 


Più concretamente, l’avvento del world wide web ha segnato l’inizio di un’era di cui non sappiamo ancora tracciare in modo verosimile il percorso. 

Nonostante una grande quantità d’informazioni si sia resa disponibile ai più è sempre più difficile determinarne la veridicità e l’affidabilità. 

Per molti internet rispecchia il caos del mondo reale, per altri, lo sviluppo della comunicazione istantanea e decentrata.

In ogni caso porterà a dei cambiamenti significativi nella struttura dei mass media e dunque della società della conoscenza, di come questi cambiamenti si depositano nella cultura e di come potranno essere usati. 

Come sempre, da una parte ci sono gli “apocalittici” – per i quali i media hanno un potere di distruzione delle forme classiche della socializzazione – dall’altra ci sono gli “integrati” propensi a considerare positivi gli esiti della socializzazione tramite i media. 

Una cosa, però, appare assodata. 

Questo secolo sarà dominato dalle problematiche dell’informazione, come il Novecento è stato dominato dal tema dell’energia e l’Ottocento dalla trasformazione e dalla nascita di nuove materie di sintesi. 

Se vi guardate attorno, in casa, per strada, in questa scuola, non vedrete che oggetti e strumenti costruiti con sostanze che non esistevano nel Settecento. 

Per analogia si può immaginare che questa storia si ripeta tra gli uomini che hanno festeggiato il capodanno dell’anno duemila e i loro nipoti appena nati.  

Per quanto riguarda l’oggi una cosa è certa. 

I media – a ragione della loro struttura comunicativa – modificano profondamente la nostra percezione della realtà e della cultura senza che gli uomini lo percepiscano nel momento in cui queste modificazioni avvengono.

Lo intuì per primo un autore spesso in questo corso ricordato, Marshall McLuhan (1911-1980), che lo sintetizzò in una formula efficace: il medium è il messaggio o, meglio, il massaggio.


Il titolo del libro a cui questa formula fa capo è: The medium is the massage, McLuhan lo scrisse con Quentin Fiore nel 1967. Alcuni dicono che il mezzo è divenuto il massaggio a causa di un errore del tipografo che entusiasmo McLuhan, che lo lesse anche come “mass age”.

Più verosimilmente è ricavato da un’affermazione di Thomas S. Eliot, nato in America, ma considerato uno dei poeti inglesi più famosi del Novecento.

Eliot in un saggio critico scrisse che il poeta si serve del significato come un ladro di serve del pezzo di carne che lancia al cane di guardia per distrarlo ed entrare in casa.

Per analogia, credere che un sito internet trasmetta contenuti piuttosto che “forme di mutamento” e come pensare che lo scopo del ladro sia sfamare il cane che fa la guardia.

In realtà noi siamo massaggiati dal mezzo e in qualche modo plasmati da esso. In altri termini, i media ci condizionano e contribuiscono a modellare il nostro modo di pensare.

McLuhan è l’autore più famoso di quella che è stata definita la Scuola di Toronto, a cui hanno dato il loro contributo Harold Innis, Walter Ong, Joshua Meyrowitz e molti altri.


Il fatto poi che la comunicazione di massa sia diventata una merce rende estremamente importante lo studio delle strategie con cui vengono prodotti e diffusi i messaggi, specialmente quando lo scopo di questi è d’influenzare i comportamenti dei destinatari. 

Per la sociologia dunque i mass-media sono divenuti dei potenti ed ancora incontrollabili agenti di socializzazione, come lo erano ieri la famiglia, gli amici, le piazze, i teatri, la stampa popolare. 

Incontrollabili, va da sé, dal punto di vista del controllo della loro capacità di manipolare l’opinione. 


Questa socializzazione dipende:

*da strategie intenzionali (come sono quelle contenute nelle trasmissioni radiofoniche, cine televisive, internet…) 

* da effetti indiretti (come la forzata condivisione dei consumi e degli stili di vita che scaturiscono dalla pubblicità mascherata da informazione o occulta, quella dei telefilm, dei reality show, dei serial…)   

Molti ritengono e non senza qualche ragione che queste nuove forma di socializzazione siano diseducative perché si concentrano sul solo vedere.

Oggi, nei paesi disposti sulla fascia temperata del pianeta e in particolare in quelli ad industrializzazione avanzata i bambini stanno davanti alla televisione per più di trenta ore la settimana. 

Cosa comporta questo? 

Un’accentuarsi della difficoltà a distinguere la realtà dalla finzione. 

Una disumanizzazione dell’Altro da sé. 

Il fatto che ci sia tanta violenza sul piccolo schermo induce il bambino ad una vera e propria indifferenza empatica per i problemi altrui.  Come tutti hanno avuto modo di constatare, nel mondo degli adulti ci si commuove per gli avvenimenti di una fiction e si resta indifferenti mentre sul telegiornale scorrono scene di fame o di violenza…e questi adulti non hanno alle spalle una storia televisiva paragonabile a quella dei loro figli. 

Un’accentuata difficoltà a distinguere tra gli oggetti – in particolare quelli animati – e le persone, chel’ induce a pensare di poter trattare le seconde come se fossero cose. 

 Un accrescimento dell’aggressività.  



Vediamo adesso alcune tesi di un sociologo che ha lavorato a lungo con McLuhan, Derrick de Kerckhove, belga di nascita, naturalizzato canadese e direttore del McLuhan program presso l’Università di Toronto.

Questo autore, tra l’altro, insegna anche in Italia, presso l’Università degli Studi di Napoli, Sociologia della cultura digitale.

Kerckhove è stato uno dei primi sociologici ad aprire un dibattito sul tema della collettività e della connettività.

La connettività qui è intesa non solo come un problema informatico per la soluzione della comunicazione tra sistemi diversi, ma come un approccio collettivo di singoli soggetti per il raggiungimento di un obiettivo, di un oggetto multimediale o di un artefatto cognitivo.


Il suo obiettivo è quello di esplorare come le nuove tecnologie influenzeranno la società a partire da un’idea di fondo, quella per la quale queste tecnologie non solo promuoveranno delle inedite espressioni artistiche e culturali, ma le integrano in nuovi sistemi significanti.


In altri termini, di come si ricompone il tema dell’estetizzazione della società e dei valori che promuovono l’etica e la formazione del sacro. 

Il punto di partenza è il superamento di quella che egli definisce la civiltà della televisione.

Un congegno sostanzialmente passivo che ha relegato lo spettatore a semplice consumatore o adoratore di merci, ad una società nella quale il computer è il simbolo di una nuova stagione di forme e strategie interattive.

Questa nuova stagione, afferma Kerckhove, sarà necessariamente all’insegna di una nuova estetica, le forme d’interazione saranno più artistiche e legheranno l’arte alla scienza.  


In altri termini, si trasformerà radicalmente l’estetica del sentire.

In questa visione, di cui già si possono cogliere i prodromi, l’attenzione si sposterà dall’artista-produttore, inteso come creatore, al fruitore-consumatore, che interverrà direttamente sull’opera-progetto.

La rete, in sostanza, è destinata a diventare uno strumento di nuove aggregazioni socio-culturali basate sia sugli interessi che sulle affinità di coloro che sapranno gestirla. 


Se non saranno modificati eccessivamente (da un punto di vista economico) i parametri per accedere alla rete questa nuova visione sociologica delle reti sostiene che i rapporti sociali riacquisteranno quel potere che hanno perduto con l’affievolirsi delle ideologie nel corso del Novecento, cioè con le antiche architetture del mondo. 

Nei fatti tutto tende a far si che l’informazione diventi il “vero” ambiente (un neo-luogo) in cui si muovono gli uomini e le idee, un ambiente in cui sarà determinante il peso che acquisteranno i mezzi che portano i messaggi.

Un’idea mediata direttamente da McLuhan che ha affermato come i media moderni sono delle forme di ambiente in cui vive l’uomo che da essi è modellato. 

In questo modo il problema si sposta verso lo spazio comune, verso la comunitas dove ogni singolo uomo è testimone dell’esperienza ambientale che ha vissuto e tutti insieme dovrebbero rielaborare questa esperienza. 

Lo spazio pubblico (condiviso) era un tempo il paese, poi la città, la nazione, la regione, il continente.  Oggi è il pianeta. 

L’ambiente, dunque, è il nuovo medium ed esso è globale anche se non è più sensoriale


Quando l’informazione viaggia alla velocità dell’elettricità, il mondo delle tendenze e delle voci“, afferma McLuhan, “diventa il mondo reale”, o se si preferisce, lo specchio del mondo che conosciamo. 

È evidente che oggi nel sistema delle comunicazioni l’intervallo tra stimolo e risposta, cioè, tra chi trasmette e chi riceve è collassato.

Di contro, tende costantemente ad aumentare in maniera esponenziale la quantità delle transazioni più o meno reali o necessarie.

Da qui l’interdipendenza, che si realizzerà nel ventunesimo secolo, tra le tendenze sociali, economiche, culturali e politiche, che renderà tutto apparentemente incerto e certamente complesso, facendo crescere la sensazione di un bisogno di sicurezza.


Sotto un altro aspetto, tutto è accelerato e, per questo, vissuto in modo sempre più precario.

C’è sempre meno spazio tra l’azione e la reazione, tra gli stimoli e le risposte del pensiero connettivo, con la conseguenza che si è formata una sorta di contiguità tra il pensiero che pianifica e l’azione. 

Il pensiero connettivo è, per Kerckhove, il prodotto cognitivo che nasce dall’interazione tra gli individui.

Di più, la moltiplicazione dei contatti comporta la possibilità di unificare le risposte di tutto il pianeta, moltiplicandone gli effetti

Le conseguenze le vediamo bene nel mondo dell’economia e soprattutto della finanza – cioè del capitale immaginario – dove interi comparti, possono essere rielaborati, esaltati o stravolti nel giro di poche ore. 

La rete finisce così per fungere da moltiplicatore, sia positivo che negativo di tutti gli effetti. 

In questo senso è profetica un’affermazione di McLuhan: 

“L’inflazione è denaro che ha una crisi d’identità”.  Vale a dire, l’inflazione è più simile ad una crisi emozionale che al risultato di fattori tecnici diretti.   Perché emozionale? 

Perché nel villaggio globale informatico il rumore è realtà


Su un altro piano è come se dicessimo che l’inconscio collettivo sta per essere soppiantato da un inconscio connettivo.  Non domina più il senso, ma il condiviso.

Cambia anche la dimensione del tempo.

Un antico proverbio inglese diceva che il tempo è denaro.  Oggi il tempo è il mercato

Il tempo si acquista come possibilità di scelta e questa scelta è sempre più legata allo spazio della realtà virtuale. 

In breve, questo globalismo che si sta prospettando come il nostro futuro si fonda soprattutto su due fattori, il multiculturalismo e la condivisione dei destini.

Come dicono i poeti di questa nuova realtà, una farfalla sbatte le ali in Cina, in Europa trema una banca.  

Questa condivisione dei destini è un punto importante per le scienze sociali perché ridefinisce l’individuo dal punto di vista delle sue responsabilità sociali, economiche, ecologiche ed etiche. 

In altri termini si sta sviluppando un nuovo paradigma di responsabilità civica e pubblica, perché globalità significa anche estensione delle responsabilità. 

Non per caso nel tempo della velocità elettrica siamo tutti più vicini e il problema del mio vicino è anche il mio problema, sia che si parli di politica, di diritti umani, di economia, di guerra o di privilegi. 

Un mio problema in tutti i sensi racchiuso nella formula chiamata “atteggiamento nimby” – not in my back yard, non nel mio giardino.

Esso consiste nel riconoscere come necessari, o possibili, gli oggetti del contendere, ma contemporaneamente, nel non volerli nel proprio territorio a causa delle eventuali controindicazioni sull’ambiente locale. 


Per concludere la modernità si sta figurando secondo tre direttrici fondamentali: 

L’interconnettività globale. 

L’accelerazione, senza precedenti, dell’evoluzione degli stili di vita. 

Le trasformazioni ecologiche globali dovute all’interazione dei fattori evolutivi, sociali, culturali, economici e tecnologici. 

Tutto questo sarà compatibile osservano gli “organismi internazionali”, se: 

Miglioreranno le condizioni di vita.  Ancora oggi almeno il venti per cento della popolazione globale vive in condizioni di povertà estrema. 

Se cresceranno le aspettative di vita alla nascita e se si saprà gestirle.  (L’aumento della vita media, infatti, crea dei forti problemi sociali ed economici, come dimostra in Italia la discussione sulle pensioni d’anzianità.) 

Se saranno risolti il problema dell’alfabetizzazione e quello dell’emancipazione delle donne e dei più deboli in genere. 

Se sarà realizzato un accesso diffuso ed economico ai mezzi di comunicazione. 

Se cresceranno il “prodotto interno lordo” dei paesi industrializzati e le istituzioni democratiche dei paesi delle zone povere. 

Se le tensioni sociali non si trasformeranno in un rifiuto al cambiamento. 

Infine, ma non da ultimo, se non proseguirà a questa velocità la rottura degli equilibri naturali e climatici. 

***


Appendice due.

Una piccola finestra sulla pubblicità.   

All’inizio del Novecento, come abbiamo già detto, la pubblicità migliora le sue strategie operative ed aggiunge nuovi significati al suo messaggio. 

infatti, la crescita quantitativa dell’offerta di beni e servizi spingeva sempre di più i produttori a ricercare degli strumenti di competizione diversi dal prezzo, anche se spesso di difficile gestione, strumenti basati soprattutto su fattori immateriali

La pubblicità smise di essere un accessorio contingente nel meccanismo della vendita e divenne per le aziende che producevano beni e servizi di largo consumo un ulteriore elemento di conoscenza da offrire al consumatore e di contatto con il mercato in genere. 

    

Questa conoscenza o era inglobata nel prodotto stesso, in questo caso consisteva soprattutto di etichette ammiccanti, di imballaggi di qualità e prestigio, di foglietti d’istruzione sapientemente redatti in modo da fidelizzare, come si dice oggi l’acquirente. 

Oppure, questa conoscenza era fatta giungere al consumatore per vie esterne.

Per posta, attraverso i giornali, le affissioni stradali, gli annunci radiofonici, eccetera. 


Erano forme di conoscenza oggettivamente in concorrenza tra di loro, perché ogni produttore cercava d’inventare una propria strategia operativa, e esse avevano un unico scopo, agganciare l’attenzione del pubblico che consumava e spingerlo a consumare di più, anche attraverso una sapiente gestione dell’obsolescenza psicologica dei prodotti.


Possiamo dire che l’apparato analitico che il mondo della pubblicità costruì nel giro di una generazione, tra l’inizio del secolo e gli anni trenta, rappresenta una suggestiva innovazione concettuale nell’ambito delle strategie per vendere o incrementare i consumi. 

 

Per la prima volta nella storia della comunicazione commerciale, attraverso una sistematica raccolta di opinioni, le idee correnti e gli stereotipi della gente comune venivano interrogati, analizzati, classificati ed usati al fine di aumentare le vendite. 

In altri termini, le motivazioni, le intenzioni, e i sentimenti che la sociologia aveva sempre interpretato dal punto di vista della persona, venivano esplorati anche sul piano collettivo ed usati nell’opera di persuasione a fare o a non fare determinate cose, ad assumere o a non assumere determinati comportamenti. 



Come è facile intuire queste circostanze segnarono la nascita della ricerca sociologica sul campo che da questo momento e fino alla fine del ventesimo secolo caratterizzerà la sociologia americana.


Sul piano della psicologia sociale furono progressi giganteschi e pericolosi, perché si ottennero penetrando nell’intimità degli individui, cioè, nella loro individualità. 



Il pudore, infatti, non è una faccenda di centimetri di stoffa in più o in meno, ma una sorta di vigilanza su noi stessi che decide del grado di apertura o di chiusura verso l’altro. 

Queste ricerche, in sostanza, nell’esplorare la personalità degli individui, finirono per renderla pubblica con il risultato di alterare le forme di pudore e di omologare le forme dell’intimità. 

Come si può vedere, c’è una relazione molto stretta tra pubblicità e spudoratezza!    


Apriamo una parentesi. 

Alcune ricerche sugli schemi comunicativi interpersonali furono svolte, negli anni ’60 dalla cosiddetta Scuola di Yale, in particolare intorno al tema della persuasione

Esse si riallacciano alle ricerche empiriche compiute, dopo la fine della prima guerra mondiale, per stimolare il mercato dei beni e dei servizi di largo consumo, mentre la loro ripresa deriva dal rinnovato interesse per il problema della comunicazione che si diffuse dopo la seconda. 

I finanziamenti pubblici che ricevettero contribuirono a rendere queste ricerche particolarmente accurate e ampie. 


Abbiamo visto come un messaggio si componga di una fonte, del messaggio vero e proprio e di un ricevente

Questi tre elementi, dal punto di vista della persuasione, pongono tre interrogativi.     

 

Sulla fonte:  Qual è l’effetto della sua credibilità? 

Sul messaggio:  Come deve essere strutturato un messaggio per essere persuasivo? 

Sul ricevente:  Quali sono le persone più facilmente influenzabili? 


Qual è la sostanza delle motivazioni che stanno dietro questi interrogativi?    

UnoLa comunicazione persuasiva ha leggi sue proprie. 

Vale a dire, ci sono comunicazioni che hanno a che fare con quesiti che non possono essere risolti attraverso l’osservazione diretta e che presentano delle conclusioni rispetto alle quali si possono sollevare opinioni diverse. 

C’è una distinzione, infatti, tra atteggiamenti ed opinioni

Le opinioni, in genere, sono risposte verbali o scritte delle quali emerge qualche questione generale.  Gli atteggiamenti sono risposte implicite strettamente legate alle opinioni che orientano l’individuo.


Due.  Le opinioni al pari delle abitudini derivano dall’apprendimento e tendono ad essere mantenute fino a quando l’individuo non vive o subisce un esperienza di apprendimento diversa


Tre.  Perché una nuova opinione sostituisca quella di cui l’individuo già dispone è necessario che essa venga associata ad un vantaggio o ad un incentivo


In questo schema, da dove deriva la credibilità del comunicatore, cioè della fonte?  

Per chi riceve il messaggio la credibilità deriva da tre elementi, la conoscenza, l’affidabilità e la veridicità.   

Quanto al messaggio i ricercatori di Yale partirono dal presupposto che l’argomentazione a sostegno di una tesi o metteva in luce i vantaggi legati all’adesione a questa tesi, oppure gli svantaggi della non-adesione. 


Le ricerche verificarono che, quando un individuo è esposto ad un messaggio contenente delle minacce per il Sé, per esempio, se fumi raddoppi la tua probabilità di morire di cancro ai polmoni, vengono sempre indotte reazioni emotive spiacevoli, con il risultato che l’individuo diventa fortemente motivato a prendere in considerazione delle risposte diverse fino a quando non trova quella che riequilibra lo stato emotivo negativo.  


La cosa più sorprendente fu lo scoprire che l’appello alla paura più è elevato e più induce ad una maggiore tensione emotiva nell’audience, ma la più forte influenza sul comportamento, nella direzione desiderata da chi emette il messaggio, si ottiene quando l’appello è debole, non solo, il risultato così provocato è anche più stabile nel tempo


I ricercatori scoprirono che un appello forte provoca uno stress emotivo talmente intenso che pur di alleviare la tensione i riceventi del messaggio tendono ad ignorarlo o a minimizzarlo. 

Esattamente il contrario delle strategie adottate per ridurre il numero dei fumatori utilizzando delle

scritte di sapore intimidatorio stampate sui pacchetti di sigarette.

A distanza di qualche anno si vede come esse non hanno inibito più di tanto i fumatori che reagiscono maggiormente ad altri stimoli, per esempio, alla penalizzazione del vizio attraverso l’aumento del prezzo dei pacchetti di sigarette o la disapprovazione sociale.

I malevoli dicono che tutto ciò era prevedibile considerato che chi ha fatto le campagne promozionali contro il fumo sono gli stessi che fanno le campagne promozionali indirette per promuoverlo.  


A proposito del ricevente si scoprì che la comunicazione che illustri i vantaggi che derivano dall’accettazione di una data posizione può risultare persuasiva soltanto in relazione alle motivazioni personali del ricevente

Fu notato anche che, dal momento che gli individui vivono generalmente in gruppi, il livello di resistenza al cambiamento dipende spesso dall’attaccamento che un individuo ha rispetto al gruppo di appartenenza, più di quanto non dipenda da alcuni caratteri della personalità come l’autostima, l’aggressività, l’intelligenza. 


Va da sé, allora, che conviene agire soprattutto sul gruppo di appartenenza dei soggetti che interessano la fonte che emette il messaggio, piuttosto che sul singolo individuo, anche se è evidente che lo stato d’animo contingente al momento in cui si riceve il messaggio può influenzarne l’efficacia in un senso o nell’altro.  


Per concludere, va anche osservato che queste ricerche, nate per incrementare i livelli di produzione dei beni di consumo, sono anche quelle che faranno fare,con i loro massicci investimenti finanziari, passi da gigante alla teoria della ricerca sociologia, alla microsociologia e alle tecniche sociometriche.   


Il giudizio che oggi la sociologia ha sulla pubblicità è radicalmente diverso.

Essa è accusata di creare conformismo e di contribuire a costruire falsi bisogni, un giudizio ambiguo, considerato che certe ricerche sociologiche sono sostenute dai capitali che orbitano intorno al mercato dei beni di consumo.   


In dottrina possiamo affermare che la pubblicità crea conformismo, alimenta gli stereotipi della vita banalizzata e fabbrica falsi bisogni nel tentativo di aumentare i bilanci di spesa moltiplicando le offerte di gadgets e di merci superflue. 

Lo aveva notato, con molta ironia più di un secolo fa Oscar Wilde, quando affermava che nulla più del superfluo è assolutamente necessario. 


Nel libro, Le chewing-gum des yeux, Ignatio Ramonet, un sociologico sudamericano, ex-direttore di Le Monde diplomatique, scrive: 

“Gli spots vendono sogni, essi propongono delle scorciatoie simboliche per l’ascensione sociale, essi diffondono prima di tutto dei simboli e stabiliscono un culto dell’oggetto, non per il servizio pratico che può offrire, ma per l’immagine che permette ai consumatori di darsi di loro stessi”. 

***


Appendice tre. 

La scrittura e l’evoluzione dei testi scritti.  

Riconsideriamo la scrittura per comprendere uno dei paradigmi della moderna comunicazione. 


Consideriamo il passaggio dei testi scritti da un uso esclusivamente pubblico ad un consumo anche individuale

Questo passaggio è stato cruciale, perché costituisce la premessa da cui poi deriverà la funzione sociale di quei particolari oggetti di uso quotidiano come sono i libri, i giornali, le agende e successivamente, per arrivare ai nostri giorni, i dischi, le cassette, i CD rom, i DVD, eccetera…

È un passaggio che storicamente avvenne in concomitanza con la comparsa dei codici, come sono chiamati quei fogli di pergamena piegati ed uniti per il dorso in modo di formare una sorta di quaderno. 

La pergamena o, cartapecora, era fatta di pelle di capra o di pecora conciata e lisciata. 

Si chiama pergamena perché si pensa che sia apparsa, per la prima volta, a Pergamo, una città dell’Asia Minore, a circa un centinaio di chilometri da Smirne. 

Riuniti per il dorso i fogli di cartapecora formavano dei quaderni che, a partire dal secondo secolo dopo cristo, furono usati soprattutto dalle comunità cristiane.  Il formato portatile e la leggerezza ne permettevano una comoda consultazione e una facile distribuzione. 


Insieme al diffondersi dei codici si verificherà un altro importante evento.  

Essi si erano radicati soprattutto nella cultura religiosa cristiana e, di conseguenza, la loro diffusione crebbe soprattutto tra i credenti. 


Con il crollo dell’impero romano d’Occidente, seguito a breve da quello di Oriente, e il conseguente periodo di decadenza che si produsse a partire dal V secolo dell’era comune calò drasticamente il numero degli alfabetizzati e, al contempo, si ridusse l’interesse per la lettura. 

 

Questo stato di cose contribuì ad affermare nel corso dell’alto Medioevo una concezione sacra e magica del libro manoscritto. 

I codici furono trasformati in una sorta di contenitori d’immagini, molto simili a delle icone e si arricchirono di simbologie e di testimonianze fantastiche. 

In altri termini, le raccolte di codici perdettero molto della loro natura di oggetti d’uso e di riflessione, per trasformarsi in segni di fede da ammirare, memorie acritiche di un sapere da inculcare nella coscienza dei fedeli e degli illetterati.  

    

Tutto questo favorì la spinta verso forme di scrittura calligrafica e di redazione sempre più preziose, anche a prescindere dalla loro importanza o veridicità.  

In breve questi libri manoscritti, o codici, si riempirono di illustrazioni, divennero raffinati nell’impaginazione, preziosi sotto l’aspetto estetico, con la conseguenza che, in molti casi, si perse l’uso del codice come mezzo di analisi e di riflessione critica. 


Si modificò anche il loro aspetto, divennero molto più grandi, persero in maneggevolezza e in praticità, fino a promuovere quello che successivamente è stato definito come una sorta d’infatuazione per di sguardo figurale


In breve dal punto di vista di una storia della comunicazione sono secoli in cui non ci sono sostanziali progressi nell’editoria, né sotto il profilo dei congegni di comunicazione, né dei contenuti trasmessi.  


Sul piano dello sviluppo delle forme sociali questa stagione di analfabetismo diffuso, che durerà qualche secolo, creerà non pochi problemi sia alla diffusione dei saperi e delle informazioni che all’affermazione di nuove forme di pensiero politico sulle forme di governo e dei loro sistemi di rappresentanza, venendo in qualche modo a ritardare il nascere di un pensiero critico sul tema dei diritti civili fondamentali. 


Molti problemi di governo e di gestione dell’ordine pubblico furono parzialmente risolti con accorgimenti tecnici, come, per esempio, introducendo l’arte dei sigilli e la colorazione degli inchiostri nella stesura degli atti ufficiali. 



L’inchiostro rosso, in genere, segnalava, agli analfabeti, che lo scritto era di un’autorità e dunque che aveva l’imperio di legge ed obbligava all’obbedienza.

Di conseguenza, la detenzione abusiva di sigilli e d’inchiostri colorati era punita con la tortura e la morte per squartamento.    

Da questa situazione di stallo si cominciò ad uscire solo con la grande espansione universitaria del  tredicesimo e quattordicesimo secolo.  

In questo periodo, sia pure lentamente, si riforma un pubblico di lettori. 

Per la prima volta, dopo secoli, c’è anche una significativa richiesta di libri di argomento non-religioso, perfino di manuali, e questi libri diventano agili, pratici e consultabili da tutti, senza eccessive difficoltà formali o ideologiche. 

C’è da considerare che con il consolidarsi del sapere umanistico e scientifico le nascenti università spinsero sempre più alla lettura e alla libera discussione di testi, che finirono per alimentare un bacino di lettori sempre più grande e favorire la nascita di biblioteche pubbliche. 



In questi anni compare anche un nuovo supporto di scrittura, la carta

Viene dalla Cina ed importata in Europa dagli arabi.  Siamo intorno al’undicesimo secolo.

La carta sarà poi fabbricata e migliorata a Fabriano, in Italia, dai maestri fabrianesi

Questo supporto, comunque, resterà relativamente costoso bisognerà aspettare fino al 1799 prima che la sua fabbricazione diventi intensiva con l’invenzione della macchina a  produzione continua. 

Fino all’introduzione della carta, infatti, un ostacolo di rilievo alla praticità dei libri era costituito soprattutto dai supporti di scrittura che erano o in pergamena, resistente ma di lunga lavorazione, o in papiro, fragile e costoso. 


Un altro problema che condizionava la diffusione dei testi era costituito dal fatto che essi circolavano solo all’interno di specifici organismi, religiosi e amministrativi, dunque, il loro flusso era legato al funzionamento di queste istituzioni. 


In breve, fino a quando la produzione dei testi restò legata all’attività degli ordini religiosi e dei loro centri di produzione l’attività editoriale restò sganciata da uno stabile coordinamento tra produzione e consumo.  

Con l’avvento dei testi universitari, invece, cominciano a formarsi dei protoeditori


A questo proposito misurate su un’economia di scala le tirature di questi testi erano sempre relativamente basse e ciò costituiva un serio ostacolo al diffondersi della lettura e, di riflesso, alla possibilità d’imparare a leggere e a scrivere. 

Questo quadro rimarrà sostanzialmente immutato almeno fino all’invenzione della macchina per stampare a caratteri mobili, che tradizionalmente si fa risalire a Johann Gutenberg (1400 circa-1468) con la quale, a Magonza nel 1455, stampò un esemplare della Bibbia. 

In realtà, fu un’invenzione diffusa, nel senso che in questi anni in molte parti d’Europa furono costruite macchine per stampare.  Gutenberg ha solo il merito di essersi fatta una buona pubblicità con un libro da tutti stimato e ritenuto importante. 


In ogni modo a partire dal XV secolo, nelle città universitarie, i metodi di produzione dei libri acquistarono una dimensione imprenditoriale stabile. 

Essi si affidavano a gruppi di copisti coordinati e di grande fiducia, che consolidarono la figura dell’editore.  Per certi versi, si può dire che i libri cominciarono ad essere realizzati in piccola serie

C’è un altro aspetto di questo problema da considerare e che ritroviamo sostanzialmente immutato, oggi, con internet, quello dell’attendibilità dei testi o dell’aderenza dei testi copiati agli originali

Erano anni in cui nelle copisterie pullulavano, accanto ai buoni copisti, dei copisti infedeli e per i motivi più svariati, ideologici, religiosi, etici, personali o di superstizione, oppure, semplicemente motivati dal desiderio di diffamare tesi altrui o dimostrare che erano sbagliate. 

Erano copisti che inevitabilmente seminavano, con i loro errori, voluti o involontari, o con le loro personali correzioni, seri dubbi sull’autenticità delle fonti. 

In questo quadro, la serietà del responsabile della sede di copiatura era fondamentale.  Più questo proto-editore era conosciuto e rispettato, più si riteneva veritiera la copia dello scritto, soprattutto se era stato tradotto da una lingua antica o da una lingua poco conosciuta


Fatte le debite proporzioni questo problema è arrivato fino a noi.  Ancora oggi, più un editore è famoso e più noi, istintivamente ci fidiamo del libro che ci vende, soprattutto se l’autore ci è sconosciuto. 

È logico tutto questo?  Non potrebbe darsi, invece, che il grande editore, che ha problemi di reddito, sia meno interessato a ciò che stampa di un piccolo editore che pubblica solo libri di cui condivide le tesi?   


Nel XV secolo poi si verificano due fatti di portata rivoluzionaria. 

Il primo è costituito dal formarsi, per i testi universitari, di uno stabile e duraturo mercato della comunicazione.  

Il secondo fatto è ancora più significativo, perché il libro costituisce, nella cultura europea, la prima produzione di serie di una certa importanza.       

La merce-libro e i suoi mercati cominciarono a diventare un forte elemento di trasformazione della società.   

Per verificarlo basta un dato. 

Tra il XV secolo e le prime decadi del XVI secolo, nelle quali, come abbiamo visto, la stampa a caratteri mobili fa la sua comparsa, sono stati realizzati più libri manoscritti che in tutto il millennio precedente.   

Si può affermare che la stampa, nel XV secolo, portò a termine quella traiettoria connettiva del sapere, attraverso la scrittura, nata in Grecia otto secoli prima di cristo. 


Vediamo, ora, qualche effetto, sul piano delle relazioni sociali, che segue all’introduzione della stampa.   

Uno. Assistiamo al passaggio da un mondo dominato dalla differenza – da attività originali e irripetibili – ad un mondo dominato dalla regolarità.

Di conseguenza da una sostanziale discesa dei prezzi di molti beni e servizi. 

Questa idea di una uniformità ripetibile finirà per diffondersi nella società favorendone la sua organizzazione e il suo sviluppo, soprattutto, attenuando gli effetti di una certa anomia sociale che la dominava. 


Due. Aumenta la varietà dei prodotti di comunicazione, in ognuno dei quali si materializzano specifici contenuti cognitivi. 


Tre.  Il mercato tende sempre di più a diventare la forma economica che regola, sotto i più svariati aspetti, la grande maggioranza degli scambi comunicativi. 


QuattroDivenne abituale (soprattutto nelle città più sviluppate da un punto di vista culturale, come sono quelle che hanno sedi universitarie) la circolazione di nuclei interpretativi del mondo, in particolare di quelli che riguardavano la politica, il costume e le leggi. 

Questi nuclei interpretativi del mondo, spesso in aperta concorrenza tra di loro, favoriranno i cosiddetti mercati delle ideologie, dando vita ad una vera e propria arte sull’interpretazione dei fatti, soprattutto quelli storici e politici. 

Per capire che cos’è un mercato delle ideologie basta pensare all’informazione sportiva, come è facile constatare dietro a delle semplici performances da anni si è formato un mercato delle notizie fondato sulla polemica, che gira capitali ingenti, spesso legati al mondo della finanza e della politica.  


C’è d’aggiungere che, a partire dal XVII secolo, l’acquisto di libri, che fino a questo momento era abbastanza episodico e slegato nel tempo, con l’aumento della produttività e il crescente interesse per la lettura rompe il vincolo dell’episodicità

Comparve l’acquisto di flusso, come dicono gli esperti di marketing, cioè l’acquisto che si ripete nel tempo e con questo, si moltiplicarono le biblioteche pubbliche e comparvero le prime grandi biblioteche private

Che cosa consegue a tutto questo? 

Uno.  Che i testi scritti, qualunque sia la loro tipologia, cominciarono ad essere scambiati sulla base del prezzo di produzione e non del loro contenuto.   

Due.  Che il prezzo rese possibile il calcolo economico e la pianificazione della produzione. 

Sempre sotto l’aspetto dei fatti sociali, si constata anche che l’informazione genera valore circolando

Ciò non toglie che, per la natura stessa dell’informazione, cominciarono a svilupparsi anche dei contenuti cognitivi che hanno interesse a restare riservati e segreti



Basti pensare alla riservatezza che circondano i nuovi procedimenti industriali, certe particolari attività artigianali, i documenti contabili, i testamenti, gli accordi riservati tra le diplomazie, eccetera.   

Sono casi, come è facile intuire, in cui l’informazione ha valore solo se resta circoscritta a pochi. 


Oggi, questa dialettica tra ciò che può essere divulgato e ciò che deve restare riservato, se non addirittura segreto, è diventata una parte integrante delle strategie dell’informazione, fino a punto da aver dato vita alla scienza della disinformazione, come arma per combattere gli avversari, in guerra, nelle competizioni finanziarie ed economiche, nella gestione delle notizie politiche.  

In ogni modo, come principio generale diciamo che, quanta più informazione circola tanto maggiore è il valore che essa può generare.   

È un principio che ha sorretto fino ad oggi le strategie relative alla diffusione dei contenuti cognitivi. 

La prima strategia è quella che opera sull’asse spaziale, cioè, quella che punta ad incrementare il raggio di azione, di vendita e di consumo dell’informazione.   

La seconda strategia di valorizzazione, invece, opera sull’asse temporale

Essa mira a gestire, riducendolo, l’intervallo di tempo che separa la fonte cognitiva dal consumatore. 

Nel caso della carta stampata è come dire che ci sono prodotti editoriali che mirano ad espandersi sul territorio, perché i loro contenuti non sono durevoli, come succede con i quotidiani.  

Così come ci sono prodotti editoriali che agiscono nel tempo, perché i loro contenuti non sono effimeri, sono o dovrebbero essere i libri di un certo valore culturale.   


Nell’ambito dell’informazione attraverso i giornali, infatti, il valore della conoscenza deriva da una duplice radice: la tempestività e la diffusione capillare

Senza il requisito della tempestività, soprattutto oggi, il valore dell’informazione per un quotidiano, come è intuitivo capire, è uguale a zero. 


La crisi che questi prodotti stanno attraversando nasce proprio da questo problema, dalla concorrenza che muovono loro i mezzi di diffusione telematica delle informazioni e delle notizie.

Un’osservazione. 

Da un punto di vista sociologico questo incremento delle capacità operative dei congegni connettivi, posta, libri, opuscoli, giornali, eccetera, si rivelerà, tra le altre cose, un elemento essenziale per il perfezionamento della macchina dello Stato, in particolare, della sua centralizzazione che vedrà, da lì a poco, il suo trionfo, nella forma di nazione.     


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[Parte 7 di 8]

L’economia del corso non ci consente di fermarci più di tanto sulla nascita della scrittura, per cui si rimanda a due letture interessanti e facili:  Jack Goody, Il suono e i segni, Milano 1989. A cura di G. Bocchi e M. Ceruti, Origini della scrittura, Milano 2002. Il primo libro lo si può trovare anche in inglese, francese e tedesco.  Il secondo, invece è costituito da una serie di saggi di autori di diverse nazionalità. 

Andiamo avanti.  Intorno all’ottavo secolo prima dell’era comune non nasce solo l’alfabeto greco, ci sono molte altre grandi novità sul piano dei congegni e delle forme di comunicazione che derivano dai primi strumenti di registrazione. 

A – Una di queste novità è costituita dalla comparsa della moneta

Nel considerare la moneta, dal punto di vista della sociologia della comunicazione, occorre valutare soprattutto il forte potere di connessione che possiede.  Valutare la sua capacità di legare il presente al futuro, di generare speranze e progetti, di accumulare valori. 

Se la scrittura, in un certo senso, ampia il raggio dei contenuti possibili di un testo, la moneta esprime le quantità e moltiplica, attraverso gli scambi, le relazioni connettive tra gl’individui, anche se sono separati da grandi distanze.  

In più, la moneta, con i suoi effetti pratici, crea dei vincoli sostanziali e materiali, diversi da quelli astratti della scrittura, vale a dire, la circolazione della moneta ha notevoli conseguenze sul piano dell’agire economico, politico e diplomatico. 

B – C’è un altro importante congegno che la scrittura scuote e rivoluziona direttamente.  É l’insegnamento.  Con il quarto secolo prima dell’era comune l’educazione esce dai compiti tradizionali delle famiglie e comincia ad assumere una dimensione pubblica formale.  Si fondano le prime scuole, che disciplinano lo studio, selezionano gli argomenti da trattare, sviluppano le tecniche pedagogiche, formano i saperi.

 

C – Nella prospettiva dell’interazione sociale e delle sue regole l’innovazione più importante di questo periodo è senz’altro il teatro.    A differenza degli altri rituali sociali, il teatro possiede una caratteristica unica per quei tempi.   Fissa in modo netto la distinzione tra l’attore, che agisce e lo spettatore, che assiste, introducendo nell’esperienza del guardare, una dimensione temporale di taglio narrativo.   

In altri termini, il teatro in qualche modo socializza e disciplina il rapporto tra lo spettatore e gli attori, privilegiando lo sguardoIn questo senso si può sostenere che il teatro istituisce l’arte del guardare.   

Nel recinto, cioè, nello spazio fisico in cui si svolgeva l’azione, dentro questo mondo a gradinate, gli spettatori erano separati dagli attori, spesso mascherati, tuttavia, gli spettatori potevano partecipare all’azione con lo sguardo.

In questo modo diventavano a tutti gli effetti gli allievi di una scuola del vedere, che allenava ed acuiva l’osservazione e la riflessione critica sulle cose della vita o sui grandi temi della politica. 

Dal punto di vista dell’interazione sociale, poi, il rapporto che lo sguardo instaura a teatro, tra la scena e la platea, ha una duplice dimensione, da una parte unisce soprattutto attraverso le emozioni, dall’altra, nello stesso movimento, separa, allontana, ricordando allo spettatore che si trova davanti ad una finzione.  

Il teatro in pratica unisce con la sua grande capacità di stimolare una partecipazione emotiva, una partecipazione che ottiene con il guardare.

Ma questo guardare e critico e dovrebbe in ogni momento ricordare allo spettatore l’abisso tra la scena e la realtà, tra la finzione e la vita corrente. 

***

Come si può intuire i congegni di connessione si diffusero velocemente nel tempo e nello spazio, a partire dall’Europa, tanto che, alla fine del 700, tutte o quasi tutte le città del mondo Occidentale, possedevano uno o più quotidiani, teatri, scuole e università.  C’è però un fatto che va considerato.    A questa espansione quantitativa dei congegni fa riscontro una grande stasi strutturale.  Che cosa vuol dire? Che fino ai primi anni dell’Ottocento non c’erano ancora dei congegni capaci di risolvere i vincoli fisici della connessione. 

I progressi compiuti fino ad allora, infatti, si collocavano quasi tutti sul piano dei materiali con i quali si producevano.  In pratica, l’abilità manuale era ancora lo strumento essenziale per la produzione e per la distribuzione dei contenuti. 

Poi, nei primi anni dell’Ottocento, l’aumento dei ritmi legati ai nuovi stili di vita misero in crisi tutti gli antichi sistemi di comunicazione mostrando i limiti pratici di ogni forma di connessione fino ad allora conosciuta. 

Per quando attiene al fatto specifico della connessione si precisarono sostanzialmente tre richieste.  La prima riguardava una sempre maggiore tempestività dell’informazione. Più si espandevano i traffici commerciali, più utile si rivelava l’accesso rapido a tutte le notizie sullo stato del mondo.

Notizie su gli eventi naturali, come sono i terremoti, le siccità o le alluvioni, che allora incidevano sostanzialmente sul prezzo dei prodotti agricoli (mentre oggi hanno una forte influenza sui flussi turistici), o quelli civili, come sono le guerre, le rivoluzioni, gli scioperi, le epidemie, avvenimenti molto comuni nel corso del diciannovesimo secolo. 

La seconda richiesta era legata ad un fatto nuovo nel mondo occidentale, la crescita del tempo libero.  Soprattutto nelle città cominciava a formarsi un’ampia sezione di popolazione che era coinvolta sempre di meno nelle attività produttive.  Erano le casalinghe, i giovani che studiano, gli anziani.

Costoro di fatto contribuirono a formare un mercato del tempo libero che crebbe rapidamente.   Si assistette così allo sviluppo di una produzione editoriale di romanzi popolari a grande tiratura, alla crescita della domanda di rappresentazioni teatrali a buon mercato, contemporaneamente salirono vertiginosamente le tiratura dei giornali.

Friedrich Hegel aveva scritto che la lettura del giornale era la preghiera mattutina dell’uomo moderno. 

La terza richiesta, infine, appare poco appariscente, ma è la più importante.

È una conseguenza dal consolidarsi della famiglia borghese, che si avvia a diventare la cellula funzionale della società

Lo stile di vita di questa cellula tramuta la ricchezza astratta espressa dal denaro in una rappresentazione dello spazio domestico al limite della teatralità.

Questa cellula diffonde soprattutto nelle città un certo gusto per l’arredamento, gli oggetti d’arte, i beni di consumo, compresi quelli superflui.    In breve, in questi anni la famiglia svolge un importante funzione: di educare attraverso lo sguardo, le cerimonie i comportamenti emulativi, l’esaltazione del decoro.

 

Tutto questo fu di estrema importanza per lo sviluppo della cultura occidentale perché la famiglia borghese divenne una struttura sovrana su uno spazio, quello del nucleo familiare, che andava gestito e soprattutto consumato e goduto.   

Con il senno di poi si può affermare che s’inaugura qui quel percorso della modernità che trasformerà il cittadino in un consumatore, riscrivendone la sua fisionomia sociale e i suoi valori.

Per riassumere.       Fino alla fine dell’800 i congegni di comunicazione, in quasi tutte le loro forme, risultavano di fatto o troppo costosi, o troppo lenti o troppo poco diffusi.     Tutta una serie di essi che al loro apparire sembravano stupefacenti, finirono per mostrare, grazie all’incalzare del progresso scientifico, dei limiti operativi che ne riducevano l’uso, con il risultato di deprimere la domanda di acquisto, indebolire la produzione e, alla fine, rallentare la circolazione delle informazioni. 

Tutto ciò si risolse, inevitabilmente, con una spinta verso la ricerca e l’invenzione di nuovi congegni e di un rapido restyling di quelli obsoleti. 

Se mettiamo insieme tutte le invenzioni dell’800 e cerchiamo di dare loro un senso, costatiamo che, verso la fine di esso, grazie a queste invenzioni molti aspetti della vita corrente e dell’economia e poi, a seguire, della vita sociale e culturale ne escono profondamente mutati.  

L’innovazione più importante però si registra a livello concettuale.  Questa invenzione è rappresentata dalle prime reti di connessione che disegnano sul territorio una trama, più o meno fissa, di punti e di snodi attraverso i quali passa un flusso costante di dati di diversa natura. 

In questo contesto, le città, che si erano strutturate nel tempo per successivi accumuli di congegni e forme di comunicazione, sono ora diventate i punti chiave naturali di questa trama che in qualche modo materializza i diversi aspetti sotto i quali si è diffuso il pensiero umano.    Dobbiamo notare anche un’altra importante trasformazione. Fino a quasi tutto l’Ottocento il mercato delle connessioni aveva conosciuto soprattutto dei contenuti o dei dati materializzati su supporti, come sono i libri, i giornali, i manifesti, le locandine.

Adesso, nel giro di pochi anni, cominciarono ad imporsi le reti.   

Da un punto di vista funzionale le reti sono un congegno che comprende quattro elementi principali:  – Una infrastruttura materiale, che risulta dalla combinazione di un tracciato inscritto in un territorio, come sono gli acquedotti, le ferrovie, le linee aeree del telegrafo.  – Degli snodi di smistamento diversamente collegati.  Come sono i porti, le stazioni, gli uffici postali, eccetera.  – Un flusso, che può essere continuo o discontinuo, di materiali, di energie o di informazioni.  Cioè, un flusso costituito da acqua, gas, onde elettromagnetiche, corrispondenza, carrozze ferroviarie, eccetera… – Una centrale operativa, capace di gestire la rete e di organizzare la circolazione dei flussi. 

Intorno al 1850 sono almeno sei le grandi reti in funzione: 

Acqua, Posta, Ferrovia, Navigazione, Telegrafo, Scuole pubbliche. 

Se, invece, si riflette sui costi e sull’importanza delle reti è facile constatare che, nella grande maggioranza dei casi non potevano non essere costruite con capitali pubblici, dunque non potevano non essere di proprietà dello Stato che per loro tramite esercitavano un diretto potere d’intervento dai forti contenuti sociali e politici per la collettività. 

Come è facile intuire le reti costituiscono un rilevante apparato di valorizzazione economica del territorio e della qualità della vita che servono con i loro beni e servizi. 

Dalla peculiarità fisica delle reti derivano le tre inedite e importanti figure di gestione della connessione.  – La prima figura è quello dello Stato imprenditore monopolista che fa pagare – spesso a prezzi politici più che rimunerativi – una tariffa per un’attività di cui si riserva l’esercizio esclusivo.  Come è stato fino a poco tempo fa in Europa per le poste, i telegrafi, le ferrovie, ecc…

– La seconda figura è quella dello Stato erogatore di un servizio, ma non in condizioni di monopolio.  Sono, in genere, i servizi in cui non è richiesto un prezzo, ma il pagamento di una imposta

Due casi classici, ancora parzialmente validi, sono quelli dell’istruzione o della sanità. 

– La terza figura è quella per la quale un operatore privato agisce su licenza o concessione dello Stato, in condizioni di monopolio o di oligopolio

In questo caso, la figura dell’operatore privato deve rispettare le leggi e gli indirizzi politici che regolano la vendita di questo servizio.  Un esempio sono le concessioni delle reti di trasporto locale su strada.

Accanto alle reti, si cominciano a formare, sempre intorno alla fine dell’Ottocento, i primi mercati di massa della comunicazione.  Il più importante è quello dei quotidiani.   

C’è poi un altro grande elemento di crescita che cominciò ad esercitare una notevole influenza su questo mercato, la pubblicità.    Essa permise ai giornali e ai quotidiani in particolare di espandere e stabilizzare le tirature

La pubblicità, a cavallo tra Ottocento e Novecento, grazie all’espansione dei consumi e dell’offerta di beni e servizi mutò velocemente da fenomeno episodico a presenza fissa e importante del paesaggio sociale.

Di più essa cominciò a svolgere una importante funzione d’informazione sui beni e le merci in circolazione, tanto che, almeno a questo stadio del suo sviluppo, alla pubblicità va riconosciuto di essere stata un efficace strumento d’interazione sociale di massa per il contribuito (indiretto) che diede nell’amalgamare i gusti, le mode e i consumi.   

Vediamo, adesso, per punti le trasformazioni organizzative e sociali che contraddistinguono questa prima stagione di connessioni effettuate con le reti e caratterizzate dalla loro rilevanza di massa. 

Primo punto.  Con l’introduzioni delle reti la connessione diventa mondiale e tende a diventare istantanea, cioè, l’informazione comincia ad essere diffusa in tempo reale. 

Secondo punto.  Assistiamo ad un evidente miglioramento delle capacità operative delle organizzazioni legate al mondo della connessione.  La loro architettura formale, diventata estremamente complessa e si trasformano in una parte integrante dell’ambiente.  L’esempio moderno più evidente è rappresentato dai satelliti geo-stazionari, dalle antenne televisive, dai ponti radio dei telefonini, che fanno oramai parte dello spazio e del paesaggio aereo di tutte le città del mondo. 

Da qualche tempo a questa parte si parla di razionalizzare questo paesaggio che molti ritengono nocivo per la salute.

Terzo puntoL’aumento dei prodotti cognitivi immessi sul mercato diventa costante ed essi si differenziano sempre di più sia sotto l’aspetto dell’efficacia che delle loro strategie di valorizzazione

Sono strategie che si riflettono sull’ampia gamma delle offerte accessorie e dei prezzi. 

Come è il caso della telefonia o dell’offerta televisiva di programmi che concorrono alla composizione dei budgets pubblicitari.  

Quarto punto.  I mercati della comunicazione cominciano, per riuscire ad allargare la propria base e a consolidarla, a valorizzare sempre di più i prodotti a basso prezzo e a alta obsolescenza

Vale a dire cominciano a nascere le prime strategie per la corsa a porzioni di mercato specialistico e sempre più redditizie, anche a scapito degli standard di compatibilità e di qualità.    

Quinto punto.  Il più importante dal punto di vista del discorso sociologico.  La grande quantità di prodotti cognitivi messa in circolazione e facilmente accessibile tende a consolidare a livello di massa, in modo durevole e facilitato, l’accesso all’informazione, soprattutto nei paesi del mondo occidentale e, tra questi, quelli con una tradizione di democrazia.         

Va anche osservato come questi prodotti cognitivi, così importanti e diffusi, sono penetrati  così profondamente nella vita quotidiana che diventa sempre più un abitudine condivisa impiegare il proprio tempo sociale in forme di comunicazione diverse dal semplice contatto interpersonale.    

Torniamo all’inizio del ‘900.  Ci sono altre novità da considerare di grande rilevanza sociologica per lo studio del comportamento, perché i congegni per comunicare cominciano ad entrare nelle case e ad integrarsi alla vita quotidiana degli individui

Come abbiamo già considerato fino all’ultima decade dell’Ottocento nelle abitazioni, in genere, non si trovavano che prodotti cognitivi realizzati dalle macchine, giornali, libri, ritratti fotografici, cartoline postali, ecc…  Adesso, però, cominciano ad entrare nella vita quotidiana anche i congegni stessi che servono a comunicare. 

In breve, intorno ai primi anni del Novecento, per usare un’espressione moderna, due mercati di hardware penetrano nelle abitudini dei più.   Sono il telefono e le macchine per la riproduzione del suono, da una parte, la macchina fotografica, dall’altra.  Di questi due hardware quello che da subito riscuote un grande successo è la macchina fotografica

In ogni modo, sotto l’aspetto delle mode, la registrazione sonora è il fenomeno che ha prodotto il primo mercato di massa in cui il divismo gioca un ruolo essenziale. 

Un ruolo che diventò presto un grande contributo alla costruzione di quelle figure di riferimento che contribuirono a costruire i cosiddetti mercati di massa tramite il meccanismo dell’emulazione.  Per averne un’idea basta riflettere su questo dato:

Nel 1910 il mercato americano era arrivato ad assorbire più di trenta milioni di dischi tra canzonette, ballabili, lirica. Su questo mercato, curiosamente, la prima star in assoluto non fu una donna, ma un cantante italiano, Enrico Caruso, che per primo batte la soglia del milione di dischi venduti.  

In termini riassuntivi si può dire che la cosa più rilevante di questi anni è una tendenza che, con il tempo, diventerà ancora più tangibile e che possiamo esprimere così:  Una serie di esperienze vissute, che si svolgono in ambienti naturali, come, per esempio, la visione di paesaggi marini, montani, di deserti, di oceani, di animali rari, di esperienze che si svolgono in luoghi unici o riservati, davanti ad opere, rappresentazioni o cerimonie particolari, come una cerimonia in un palazzo reale, la visione notturna dei templi dell’antica Grecia, uno spettacolo all’Arena di Verona, la partenza di una navetta spaziale da un cosmodromo, la finale di un campionatori calcio, oppure di esperienze di guerra o di cataclismi naturali, come un’insurrezione popolare o un maremoto, perdono il loro carattere di irripetibilità e diventano riproducibili. 

Di fatto, queste esperienze, rare e spesso irripetibili, entrano nelle abitazioni e la loro fruizione non è più vincolata ad un luogo o ad un momento prefissato e può essere ripetuta. 

Vediamo, adesso, a partire da queste circostanze, il ruolo del cinema.  Abbiamo già costatato come la rappresentazione teatrale è un’esperienza a forte intensità emotiva, esattamente come lo possono essere un balletto o un concerto.  Questa intensità emotiva che si forma e si stratifica nel tempo, condizionandoci, è divenuta, secolo dopo secolo, una specie di memoria sociale, spesso dai forti contenuti sacrali e contribuisce a forgiare le norme morali e le regole del comportamento collettivo, qualcosa, insomma, che aderisce ai comportamenti vissuti e li modella.    

Con il cinema la qualità rituale e l’acuito stato emotivo dell’esperienza che si sviluppa, come a teatro, in un recinto, divenuto ora anche buio e confortevole, come il letto in cui sogniamo, fa si che l’azione vissuta attraverso una macchina per comunicare (il proiettore) acquisti un’ulteriore dimensione che in qualche modo condiziona senza che ce ne rendiamo conto, la nostra vita sociale e i nostri comportamenti collettivi  La prima considerazione è intuitiva, dopo circa un secolo di condizionamento alle immagini proiettate e in movimento, siamo giunti alla situazione, assolutamente paradossale, di commuoverci di più di fronte a queste immagini che di fronte alla realtà. 

All’inizio per motivi tecnici e successivamente perché funzionali all’efficacia dello spettacolo il cinema ha finito per fare sue ed elaborare alcune condizioni operative che agiscono sugli aspetti inconsci della personalità degli spettatori.  

Quali sono queste condizioni?  Vediamo le più importanti:      – Un luogo chiuso costituito da una sala nel buio di grande conforto psicologico.  – Degli eventi eccezionali drammatizzati con il trucco e la recitazione. – Un’alterazione dei tempi logici dell’azione.  – Un iper-verismo delle situazioni recitate. 

Per ricapitolare:  – Il cinema mette in scena avvenimenti non limitati dalle leggi della fisica o dalle leggi che regolano l’esperienza comune.  – Li connette nel tempo come vuole.  – Soprattutto, sviluppa una serie di regole di costruzione della narrazione che, in qualche modo, già erano presenti nel romanzo e che hanno molte cose da spartire con le leggi psichiche che da millenni governano l’attenzione e favoriscono la formazione del simbolico.   

Il cinema introduce, così, nei congegni per comunicare la dimensione dello sviluppo temporale dell’azione, uno sviluppo molto diverso da quello della vita corrente e se vogliamo del disco su un grammofono, perché più completo ed enormemente più complesso, dunque, più totalizzante

Questa serie di requisiti fa del cinema l’erede più importante di quella dimensione narrativa che è in qualche modo formativa dell’esperienza sociale dell’uomo, perché noi viviamo nel tempo e questo tempo è un tempo storico. 

Ritorniamo ora al tema dei nuovi media. Abbiamo visto come i nuovi congegni per comunicare, la cui storia procede di pari passo con la rivoluzione industriale ed informatica, generano una quantità di contenuti incommensurabili rispetto al passato e, in particolare, eliminano definitivamente la strettoia costituita dalla scrittura, almeno per quanto riguarda la stragrande maggioranza degli uomini. 

Siamo in presenza di un altro di quei curiosi paradossi della vita sociale.

La scrittura sta trasformandosi in una specie di metodo di trasmissione della conoscenza ad uso delle élite, mentre l’enorme massa della popolazione mondiale, che non è alfabetizzata, può impiegare il suo tempo libero con alternative molto varie, comode ed attraenti, sia pure con grandi deficit a livello della conoscenza, che derivano dal consumo di contenuti diffusi per via meccanica o elettronica. 

Qual è il nocciolo del  problema? Queste alternative di consumo – cumulandosi nel tempo – finiscono per rappresentare una sorta di congegno invisibile di educazione e di adeguamento di massa ai nuovi sistemi di convivenza collettiva, capace di agire facilmente ovunque, in particolare, nelle grandi metropoli, miscelandosi con le forme dell’interazione sociale e degli stili di vita dei più deboli, dei piccoli gruppi, degli emarginati, com’è il caso degli emigrati, dei giovani non alfabetizzati, degli anziani, delle minoranze religiose.    

Un’altra tendenza, che emerge a partire dalla fine della prima guerra mondiale, riguarda poi le reti di comunicazione.  quello che le caratterizza non è tanto la possibilità di connettere due o un piccolo numero di soggetti, ma di diffondere su più soggetti uno stesso contenuto attraverso un flusso, il più delle volte continuo, da un’emittente a molti riceventi

È un fenomeno che si era andato delineando con la radio.  In seguito, con l’avvento del mezzo televisivo, la variante fondamentale, rispetto alla radio, è rappresentata dalla ricchezza dei contenuti e dalla capacità della televisione di immergerci negli avvenimenti.  A differenza del cinema la televisione entra nelle case con alcuni caratteri che le sono propri, vale a dire: – Ci fornisce una poderosa sintesi bidimensionale della vita corrente, uniformata dallo spettacolo.  – È comoda e facile da consumare e il suo consumo può essere ininterrotto e privato.  – Ci offre un potenziale collegamento istantaneo con ogni punto del mondo, interpretandolo e manipolandolo. 

Quando nel 1956 i tecnici della Ampex misero a punto la videoregistrazione su nastro, di fatto fu rimosso l’ultimo ostacolo tecnico di una certa ampiezza relativo a questo congegno, vale a dire, svincolarono la produzione televisiva dall’obbligo della diretta, intensificando il suo potere di coinvolgimento attraverso il dosaggio dell’informazione e dell’intrattenimento e il montaggio di taglio cinematografico delle notizie. 

La televisione e più in generale, la forma di spettacolo (cioè, la spinta a teatralizzare e ad estetizzare la realtà) ha conquistato il tempo della vita degli uomini dell’intero pianeta e ha cominciato a modulare questo tempo di vita su una medesima onda di contenuti. 

Per questo, molti sociologi dicono che essa rappresenta un fenomeno sociale grandioso e tragico

Con la televisione, sezioni sempre più importanti dell’esistenza personale dei telespettatori e territori sempre più ampi di percezione, si coordinano tra la popolazione su scala mondiale. 

La stessa intensità dell’attenzione si acuisce ed acquista un rilievo emotivo di massa l’esperienza del consumo dei prodotti mediali.     In altre parole, questa sincronia di massa delle esperienze del vivere – di esperienze costruite sugli stessi contenuti e che finiscono per essere assimilate ad uno spettacolo – suscita delle importanti conseguenze sulla politica, sulla formazione dei consumi e delle credenze, sui luoghi comuni legati ai giudizi di valore, sugli stili della vita materiale, sulle aspettative emotive delle grandi masse. 

Questa enorme sincronia di massa, che è il tratto più rilevante della comunicazione nella seconda metà del 900, si è costantemente allargata fino a globalizzarsi e si è arricchita di un’altra applicazione tecnica, il feedback o retroreazione che, regolando i segnali in entrata sulle uscite precedenti, modula quelli delle uscite successive, nella fattispecie, agevola e approfondisce il coordinamento dei pensieri e, di riflesso, delle opinioni e delle emozioni, come oramai avviene correntemente con il computer e l’interattività.

Naturalmente per valutarne fino in fondo gli esiti, sul piano della ricerca sociale, occorrerà aspettare ancora qualche tempo.  Questo intervallo di tempo che tutto lascia prevedere molto breve, ancora una volta, segnerà, volenti o nolenti, una svolta nella storia dell’uomo sulla terra. 

***

   

Appendice uno. 

Nella seconda parte di questo corso abbiamo cercato di illustrare qual è il paradigma esplicativo dell’evoluzione della comunicazione dal punto di vista delle scienze sociali.  In altri termini, il modello di riferimento o, meglio, la matrice disciplinare con cui la sociologia oggi affronta le interconnessioni che strutturano la vita corrente e le forme della comunicazione oltre il face-to-face.

Per raggiungere il nostro obiettivo abbiamo usato lo strumento della storia evolutiva della comunicazione perché ci consentiva di mostrare il disporsi sistemico di tutte le forze e di tutte le istituzioni che formano la società. 

C’è un punto critico per le scienze sociali che doveva essere sottolineato e che abbiamo fissato all’inizio del Novecento.  La straordinaria mutazione seguita al diffondersi dell’elettricità, delle reti materiali ed immateriali e dei congegni ad essi correlati può essere definita antropomorfa, perché ha coinvolto il rapporto tra corpo, mente ed esperienza della realtà, con conseguenze che ancora ignoriamo e con metamorfosi che continuano a rendersi palesi e a sorprenderci. 

A questo proposito Marshall McLuhan (1911-1980) diceva che la storia della comunicazione umana a partire dal congegno voce si può definire composta da tre fasi.  Una fase predominata dalla forma orale (dall’oralità). Una fase dominata dalla scrittura. Una fase dominata dall’elettricità

La prima è durata circa 250mila anni.  La seconda circa 2500 anni.  La terza, appena iniziata ha poco più di un secolo di vita.  Tendenzialmente sarà molto più breve della seconda.  

A proposito della fase dominata dall’elettricità McLuhan commenta:  Nell’era della meccanica avevamo operato una estensione del nostro corpo in senso spaziale.  Oggi, dopo un secolo e passa di impiego tecnologico dell’elettricità, abbiamo esteso il nostro sistema nervoso centrale in un abbraccio globale che abolisce tanto il tempo che lo spazio.” 

Per questo molti studiosi fanno delle equiparazioni funzionali tra reti neuronali e reti elettriche.  Lo vedremo in seguito. 

Per riassumere, è come se tutte le forme di esistenza della modernità fossero state unificate da un vettore spaziale-iconologico – cioè, giocato sulle immagini – in movimento che ha finito per rappresentare il senso stesso del mondo.

Questo vettore si è manifestato soprattutto come un potente strumento di sincronia di massa

Come abbiamo già visto la sincronia è un concetto elaborato da Ferdinand de Saussure (1857-1913), il fondatore della linguistica, per indicare la capacità di un linguaggio di costruire un sensoOccorre tener presente che i linguaggi non-umani, animali o artificiali, servono a comunicare, non a costruire paradigmi cognitivi sensati.

Parlando dei modi di connessione abbiamo osservato che il quinto modello di connessione è quello che ha inizio nel Novecento con l’invenzione di un congegno straordinario, la radio, che da vita ai primi importanti fenomeni di sincronia di massa.   

Il carattere innovativo di questo modello sta nel fatto che il cuore della comunicazione non ha più al centro lo scambio comunicativo tra due o un piccolo gruppo di soggetti, ma il diffondersi rapido dell’informazione come una merce/prodotto da uno o più centri organizzati verso una moltitudine di consumatori. 

Per mostrare l’efficacia di questo fenomeno di sincronia fin dal suo sorgere va ricordato l’impatto traumatico sui radioascoltatori di una trasmissione radiofonica, La guerra dei mondi di Orson Welles (1915-1985), realizzata negli Stati Uniti da questo giovane regista ventitreenne nel 1938, la vigilia di Halloween, la festa che noi chiamiamo di Ognissanti.    In altre parole, ciò che fino ai primi del Novecento era affidato all’affabulazione di poeti, cantori, scrittori, eruditi, divulgatori viene distribuito su larga scala prima dalla radio e poi dalla comunicazione filmica, televisiva, e infine televisivo-informatico-personalizzata.

Apriamo una piccola parentesi su come la sociologia definisce la multimedialità Diciamo per cominciare che è la compresenza di più strutture comunicative sullo stesso supporto informatico che moltiplica i piani di lettura e, per conseguenza, i processi interpretativi.  Per estensione si parla di contenuti multimediali quando un’informazione si avvale di molti media, immagini in movimento (video), immagini statiche (fotografie), musica, grafi e testo.  (Wikipedia è l’esempio più popolare di questa multimedialità.)

La multimedialità non va assolutamente confusa con l’interattività. L’equivoco, in genere, nasce dal fatto che la multimedialità è spesso anche interattiva, cioè, consente all’utente di interagire con essa.  Che cosa vuol dire?  Che si può comunicare con il mouse o la tastiera e ricevere delle risposte. Perché è importante la interattività?  Perché essa indica che un sistema non è fisso, ma varia al variare dell’imput dell’utente o, meglio, varia in base al potere cognitivo di costui.  In questo modo – ed è un punto critico – si riproducono le differenze e spesso si accentuano. 

La maggior parte dei sistemi e dei congegni della modernità sono interattivi.  In linea di principio, anche una lavatrice lo è, perché di fatto modifica il suo programma in base alle nostre richieste. 

Il sistema interattivo per definizione è il computer. Mentre non è interattiva la televisione analogica, per questo, il suo consumo è definito una fruizione passiva. La televisione digitale, invece, può essere interattiva e il suo futuro dipende proprio da questo, di essere suscettibile di feedback, cioè, di riscontro/risposta.

Un’altra confusione è tra multimedialità e ipertestualità L’ipertestualità è la caratteristica di un documento di utilizzare la struttura dell’ipertesto, di poter navigare in esso.  Dal punto di vista cognitivo moltiplica i punti di vista e sconnette l’analisi ermeneutica, vale a dire la scienza dell’interpretazione. Il sapere non è più un tessuto cognitivo omogeneo, ma un insieme di nuclei portatori di conoscenze in divenire. 

Questo sapere si evolve più velocemente ma per unità discrete e a labile connessione. 

Ritorniamo al nostro tema, quello della connessione.  Che cosa va rilevato in essa dal punto di vista fenomenologico?  Che è dai metodi, dalle forme, dalle tecniche con cui questa connessione si effettua che la comunicazione stessa evolve anche a dispetto delle attese soggettive. 

Evolve “con” e “per mezzo” dei meccanismi socio-economici che con essa interagiscono. In linea generale si può notare che oggi nei paesi a capitalismo le disparità economiche hanno un’importanza minore delle disuguaglianze cognitive.  

Se osserviamo la storia di questo ultimo secolo vediamo emergere con chiarezza gli effetti di massa che tutto ciò ha generato tra i consumatori-utenti:  * Imitazione massiccia degli stili di vita delle élite dello spettacolo e del potere economico.  * Imitazione degli atteggiamenti divistici.  * Uniformazione del modo di pensare il proprio corpo e il proprio modo di abbigliarsi sviluppando una sorta di conformismo creativo.  * Assimilazione, il più delle volte inconscia, dei messaggi che orientano i consumi e le opinioni politiche ed etiche. 

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[Parte 6 di 8]

Secondo le più recenti ricerche sociologiche la connessione deve essere considerata oramai come un presupposto originario della vita collettiva che influenza con le proprie dotazioni – cioè, con tutti i congegni e le loro periferiche – sia il campo di efficacia delle organizzazioni umane, sia l’ambito dei rapporti sociali.

Di fatto i congegni di connessione favoriscono, insieme ai saperi, la circolazione delle ideologie, dei valori, delle norme e degli stili di vita che sono divulgati e spesso promossi come nuovi modelli d’interazione sociale.   

Qui va notato come l’espressione di connessione ha una dimensione più ampia dell’espressione di comunicazione, perché la connessione comprende anche i sistemi di trasporto che muovono i supporti materiali dell’informazione e i modelli di circolazione delle conoscenze. 

Il concetto di connessione è stato mutuato dalla biologia nella quale definisce un rapporto tra gli elementi di un organismo.  

Proviamo ora a definire l’espressione di comunicazioneSotto il profilo delle scienze sociali l’espressione di comunicazione identifica il complesso delle operazioni – coordinate tra di loro – che sono indirizzate a connettere in modo regolato e continuativo degli individui o dei gruppi.     Per meglio comprendere questa definizione va ricordato che, da un punto di vista funzionale, la forma di comunicazione è sempre esistita e precede, di fatto, lo stesso linguaggio orale.  

Nei processi di comunicazione un altro concetto chiave è quello che riguarda le modalità di connessione. In sintesi gli elementi che consentono di definire una modalità di connessione sono cinque.  Il primo elemento è rappresentato dalle forme convenzionali che permettono di rendere pubblici –in altri termini, di rendere manifesti – determinati contenuti mentali condivisibili o che possono essere compresi.   Il secondo elemento è formato dalle tecniche adottate che hanno lo scopo di accelerare i modi di connessione e/o di facilitarli.  Il terzo elemento è costituito dai criteri che regolano gli scambi e la circolazione della connessione. 

Questi criteri possono essere economici, politici, culturali, morali, come è facile constatare navigando in rete.   Il quarto elemento è costituito dalle strutture formali che consentono la produzione e la circolazione dei contenuti di pensiero.

Queste strutture sono costituite dalle scuole, dalla stampa, dai teatri, dal cinema, dai sistemi di rete.  Il quinto elemento è rappresentato dalle pratiche, vale a dire, dagli usi, dalle abitudini e dai costumi

che formano e consolidano il contesto sociale della comunicazione. 

Da questi cinque elementi che definiscono il modo di connessione possiamo dedurre il primo assioma della sociologia della comunicazione:  Le forme o,meglio, i paradigmi che concorrono a “costruire” la comunicazione e le relative tecnologie modellano in modo specifico l’aspetto che assume la connessione.  

Utilizzando il concetto di modo di connessione si può anche procedere ad una lettura storica del fenomeno della comunicazione che struttura e favorisce l’autonomia delle forme simboliche cioè delle forme che mettono insieme il senso del mondoVedremo più avanti nello specifico che cosa sono le forme simboliche.

 

Sotto l’aspetto della struttura possiamo esaminare la comunicazione attraverso gli elementi che la compongono.  Essi sono: – La fonte dell’informazione – vale a dire l’attore che elabora il messaggio da trasmettere. – Il trasmettitore – che emette il segnale da trasmettere.   – L’eventuale fonte del rumore di fondo – altrimenti detto noise/disturbo/interferenza.   – Il ricevitore – che riceve il segnale o verso cui il messaggio è indirizzato. – Il destinatario del messaggio – vale a dire l’attore che riceve il messaggio trasmesso.  

Va sottolineato che il messaggio che si vuole comunicare, per essere operativo, richiede che sia compatibile con un contesto condiviso.  In pratica, questo contesto – che possiamo anche definire come un frame o come una cornice argomentativa – dev essere conosciuto da tutti i soggetti che compongono la struttura della comunicazione. 

Per le scienze sociali il contesto è l’insieme delle circostanze storiche, psicologiche, culturali, eccetera, che consentono di codificare o di decodificare il messaggio   

In secondo luogo è necessario un codice condiviso che consenta di accedere al significato del messaggio o di produrlo com’è il caso dei cosiddetti codice sorgente.  I segnali che formano questo codice possono essere di tipo linguistico, iconico, sonoro, gestuale, luminoso, eccetera, e possono anche combinarsi tra di loro.

Un esempio elementare è costituito dal semaforo dove compaiono sia un segnale luminoso che un segnale iconico costituito dall’omino che aspetta o commina. 

In terzo luogo è richiesta la presenza di un mezzo di contatto, vale a dire di un canale di trasmissione.  Il messaggio, infatti, viaggia in un canale che connette la fonte e il destinatario o, meglio, chi codifica e chi decodifica. 

Sul piano operativo, va da sé, i segnali che corrono in un canale di comunicazione, possono essere discreti o continuiIndipendentemente da questo si definisce come capacità di un canale la quantità d’informazione che i segnali consentono di trasmettere. 

Un canale di trasmissione, in pratica, è spesso disturbato da distorsioni, perdite d’informazioni trasmesse, interferenze, disturbi, fenomeni che possono essere imputati ad una sorgente di rumore di fondo (noise, per usare la terminologia più diffusa).  Il noise, in questo contesto, può essere definito come un disturbo che altera il messaggio e rende più difficile, rallenta o impedisce la sua decodificazione.  Uno dei problemi classici nei processi informativi sta nell’adeguare il codice al canale, in modo da rendere ottimale la velocità di trasmissione e, allo stesso tempo, accrescere la sua attendibilità.  Nei processi comunicativi si definisce la ridondanza come una sovrabbondanza d’informazioni che riduce i rischi delle interferenze ma che inevitabilmente rallenta la velocità di comunicazione. 

Com’è intuitivo ogni linguaggio, che non sia quello delle macchine che comunicano tra di loro, non si limita ad usare un numero esatto di bit, cioè, di unità d’informazione indispensabili alla semplice trasmissione del messaggio, ma mira alla sua comprensione caricando questo messaggio di un sovrappiù di bit (cioè, d‘informazioni) culturalmente determinato.  

Così facendo, però, si corre il rischio di confondere o di oscurare la comprensione del messaggio o di parte di esso, un po’ come succede quando definiamo un testo o un racconto prolisso.   Quando questo avviene si dice che la comunicazione è ridondante.   

Nella teoria dell’informazione il significato di ridondanza anche se è simile non collima con quello del linguaggi orale, ma soprattutto è associato ad un altro importante concetto, quello di entropia   Quando un sistema comunicativo, per ragioni sue proprie, degenera verso il massimo disordine, verso il caos, siamo in presenza di un collasso entropico, cioè, come dice l’etimo greco, di un rivolgimento interno.   L’entropia, di fatto, esprime lenergia degradata di un sistema comunicativo

Il concetto di entropia va tenuto separato anche da un altro fenomeno che abbiamo definito rumore di fondo.  Perché?

Il rumore di fondo esprime un disordine che si manifesta all’esterno del sistema comunicativo, l’entropia, invece, esprime il disordine che si genera all’ interno del sistema comunicativo.   In questo senso, i virus informatici possono essere definiti dei disordini entropici

A cosa serve tutto questo in sociologia?  Diciamo che ci aiuta a comprendere come un sistema sociale, che vive in competizione con il suo ambiente, naturale, umano, politico, spazio-temporale, può generare un disordine tale che, nonostante gli sforzi per eliminarlo, questo disordine finisce per ricadere sul sistema in forme sempre più degradate, distruggendolo.    L’esempio classico è la guerra. Ma lo sono anche la violenza sui deboli, gli autoritarismi, i razzismi, le intolleranze tra le culture o le etnie

In questo contesto un rimedio è costituito dallo sviluppo dinamico delle forme di sciabilità.

Ritorniamo ad un punto di vista più sociologico. 

Dobbiamo a questo punto distinguere la comunicazione – caratterizzata dall’intenzione della fonte di rendere il ricevente consapevole di qualcosa, vale a dire, del contenuto del messaggio – dall’informazione, dove questa intenzione è assente.  Nell’informazione, infatti, ciò che conta è solo il valore o il significato che il ricevente attribuisce al messaggio. 

In generale il fine della comunicazione è di connettere in modo coordinato e continuo degli individui.  Per realizzare questo fine occorrono delle specifiche istituzioni sociali, tali da consentire di superare la provvisorietà ambientale e permettere che la comunicazione diventi un processo sistematico in grado di assicurare, a soglie crescenti di efficacia, quella essenziale prestazione evolutiva che è costantemente richiesta dagli individui e dal progresso della società.

Perché nel corso del tempo sono diventate così necessarie le istituzioni sociali? 

Perché gli individui, che sono il frutto naturale dell’evoluzione sociale, tendono a distinguersi sempre di più gli uni dagli altri.  In questo modo, più essi si distinguono in quanto individui più devono essere rappresentati e connessi dalle istituzioni sociali che hanno costruito, pena il disordine sociale.  

Se pensate alla storia dell’umanità, per un tempo lunghissimo, valutato in centinaia di migliaia di anni, la connessione tra gli esseri viventi è stata soprattutto il risultato dall’uniformità del loro programma genetico.    Va da sé che più questa uniformità è totalizzante e meno importanza hanno gli artifici comunicativi.  Più questa uniformità è ridotta e più cresce la necessità di possedere degli artifici

comunicativi.  

Vediamo adesso velocemente il ruolo che gioca l’uniformità del programma genetico nell’evoluzione della società.  Per considerare meglio questo percorso evolutivo vediamolo coinvolgendo, oltre agli uomini, tutti gli organismi viventi.  In questa evoluzione si possono individuare due tappe significative.  La prima tappa si ebbe intorno a 200milioni di anni fa, quando il crescere dei vertebrati, che popolavano la terra, fece si che essi, per sopravvivere, furono costretti a disperdersi nell’ecosistema e ad adattarsi a situazioni sempre più diverse da quelle del loro habitat originario.   Con quali conseguenze?  Una sopratutte le altre. Che per potersi adattare agli ambienti diversi da quelli nativi si dovettero differenziare

Di contro, quella che è stata la forma primitiva di un programma genetico condiviso la possiamo vedere ancora oggi nel comportamento dei banchi di pesci o degli stormi di uccelli, che sanno muoversi all’unisono davanti al pericolo e con una certa efficacia, visto che continuano a sopravvivere a coloro che li predano.  

Una seconda tappa evolutiva, ancora più significativa, si ebbe circa 50milioni di anni fa.  Corrisponde a quando nei mammiferi, tra i quali va annoverato anche l’uomo, il comportamento degli esemplari della stessa specie per poter sopravvivere in habitat diversi raggiunse soglie estremamente significative di ricchezza e varietà.  Questa ricchezza acquisita di comportamenti individuali ebbe come conseguenza la diminuzione dell’uniformità delle primitive azioni comandate per via genetica e l’aumento, corrispondente, delle  divergenze operative, vale a dire, di quelle scelte e di quelle opzioni, legate alla biodiversità, sempre più ampia, in cui questi mammiferi vivevano. 

In breve, per le specie animali più evolute e in particolare per l’uomo, si restrinse il campo della connessione assicurata dal programma genetico e cominciarono a formarsi dei modi convenzionali di esprimere il pensiero e le intenzioni (di conseguenza, i comportamenti) derivati dalla diversità ambientale e individuale. 

In breve, diciamo che ad un certo punto dell’evoluzione, accanto alla connessione per via genetica, comparve una forma embrionale di comunicazione per via culturale che, molto rapidamente, estese il suo campo operativo fino a sviluppare delle forme rudimentali di trasmissione delle conoscenze per mezzo dell’emulazione e dell’insegnamento.  

Nei primati, per esempio, la comunicazione è molto evoluta, tanto che possiamo dire che si compone di veri e propri atti di comunicazione molto simili a quelli degli uomini primitivi, anche se sono episodici e non coordinati. 

Notiamo, en passant, che l’uomo condivide con molti animali la capacità di costruire strumenti, ma l’uomo è l’unico, tra di essi, che sa costruire strumenti per costruire altri strumenti, in altre parole, possiede un’elevata capacità progettuale. 

Se torniamo alle due tappe epocali, per quanto riguarda l’evoluzione, possiamo dire che per i mammiferi e per l’uomo in particolare esse hanno significato un’importante riduzione dell’efficacia della primitiva connessione per via genetica e, allo stesso tempo, hanno provocato, di riflesso, le condizioni per lo sviluppo di una connessione per via culturale, in pratica, di una connessione cosciente e voluta.     

Cos’era essenziale a questa situazione evolutiva?  Soprattutto tre condizioni:    Una esatta determinazione dei membri che compongono la specie, in quanto individui.  Un certo grado di socialità sviluppatasi e strutturatasi all’interno della specie.  Una certa varietà e complessità del comportamento per poter sopravvivere.  In questo modo più una società è complessa e più l’ambiente è artificiale, più la comunicazione tende ad evolversi.   Rispetto alla connessione per via genetica, la connessione culturale, infatti, è una connessione costruita e modellata soprattutto sulle circostanze

C’è poi un’altra considerazione importante. Rispetto alla connessione per via genetica, sostanzialmente stabile, la connessione per via culturale ha un enorme vantaggio evolutivo.  Vale a dire, si adatta bene alle circostanze ed è efficace per strutturare tra gli individui risorse, energie e capacità e, di riflesso, a sviluppare forme di aggregazioni sempre più complesse. 

Possiamo a questo punto concludere che la connessione e l’organizzazione sociale procedono di pari passo e, in questo modo, accrescono l’efficacia dell’agire sociale e individuale. 

Dobbiamo anche notare che per poter beneficare dei vantaggi della connessione per via culturale, non occorre solo volerlo, ma serve una competenza condivisa che si trasformi in un patrimonio diffuso in grado di guidare le azioni di tutti

Ritorniamo, ora, all’analisi delle forme di comunicazione da un punto di vista più mirato ai temi delle scienze sociali.  Come hanno dimostrato gli etologi gli scimpanzé e i bonobo, in particolare, hanno una vita sociale molto intensa e complessa. 

Hanno e riconoscono le gerarchie, intrecciano tra di loro accordi ed alleanze per modificare i rapporti sociali, sono capaci di mettere in scena inganni e tranelli.   

Proviamo a vedere meglio le caratteristiche del loro modo di comunicare.  La prima caratteristica è la presenza tra di loro di numerose sequenze di azioni svolte in condizioni di elevata contingenza, vale a dire di azioni che dipendono soprattutto dalle circostanza o dal caso. 

La seconda caratteristica è la forte socialità che sono capaci di sviluppare e che va oltre le mere condizioni biologiche dettate dalla necessità. 

La terza caratteristica è il possesso di un congegno di comunicazione, fatto di gesti e suoni molto evoluti, che consente loro di superare l’incertezza ambientale e di gestire la complessità e la varietà dei comportamenti. 

C’è però qualcosa di molto importante che va considerato, la loro comunicazione manca di un requisito importante, la sistematicità.     Per gli scimpanzé e i bonobo la comunicazione è sempre confinata alle situazioni che stanno di volta in volta vivendo, ma questa comunicazione il più delle volte, non si accumula in un capitale organico di competenze. 

In altre parole, la sequenza delle loro azioni non si coagula in una memoria consapevole o, per meglio dire, il loro coordinamento operativo, cioè, il loro comportamento tende a riformarsi, di volta in volta, attingendo al loro serbatoio di capacità innate.    si ritiene che questa incapacità delle scimmie ad accumulare regole e competenze per lo scambio di informazioni ha in qualche modo rallentato fino a farlo restare molto povero lo sviluppo del coordinamento delle loro capacità operative.  La differenza che ha prodotto l’uomo deriva, dunque, da fattori accidentali che a oggi non siamo in grado di valutare.   Possiamo forse dire che è stata la debolezza della condizione umana a sviluppare nell’uomo l’astuzia di vivere.

I fossili, cioè il materiale, le impronte, i prodotti conservati nel suolo per tempi relativamente lunghi e imputabili all’uomo, spiegano in modo abbastanza accurato i vari stadi di sviluppo della tecnica nell’evoluzione umana e, indirettamente, il grado di efficacia raggiunto nell’uso delle risorse. 

Sia lo studio del livello della tecnica che del controllo delle risorse sono oggi in grado di fornirci dei dati sulle forme dello sviluppo organizzato e sull’evoluzione della cooperazione e del coordinamento.  Perché tutto ciò è importante?  Perché l’organizzazione sociale è correlata con la comunicazione sociale.

Fino a che punto?

Fino al punto che possiamo affermare come l’organizzazione sociale è una specie di comunicazione sociale materializzata. 

Seguendo lo sviluppo della condizione umana si possono poi constatare alcune cose, come:   – Il sorgere di esiti evolutivi che presuppongono sequenze di azione organizzate e distribuite nel tempo.  – Lo strutturarsi di una partecipazione coordinata tra individui.  – Lo sviluppo di una facoltà, di riuscire a pensare in anticipo il risultato finale a cui s’intende pervenire con l’azione.   

Questo significa, tra l’altro, che la tecnica – nel suo significato originario di téchne – implica la capacità di pensare e di sviluppare l’idea di progetto. 

Alla corretta valutazione del passato consegue poi la capacità di fare tesoro dell’esperienza

che si sta vivendo. 

In termini sociologici possiamo dunque concludere che, nella società umana, tecnologia, organizzazione e comunicazione si sviluppano insieme è costituiscono un pacchetto evolutivo.    

La tesi che afferma che queste capacità dell’uomo hanno determinato un salto di qualità nei suoi rapporti con la realtà che viveva trova un’importante verifica nel modo in cui si è sviluppato il linguaggio

Esso appare al termine di un lungo processo evolutivo che gli esperti collocano intorno a 300mila anni fa.  Compare come una conquista dell’uomo sulla sua stessa condizione animale, una conquista che si è dipanata in un tempo lunghissimo, valutato in circa due milioni di anni

Da un punto di vista fisiologico si realizza con il definitivo abbassamento della laringe per dare spazio alla faringe cioè alla cassa di risonanza dei suoni. 

Questo abbassamento, indotto dalle circostanze in cui gli uomini vivevano, ha permesso di riprodurre e modulare i suoni in modo ampio ed articolato, a differenza del resto dei primati che hanno la laringe molto in alto nella gola.  

Due milioni di anni è un tempo incalcolabile, ma significativo della complessità del passaggio che porta da una comunicazione episodica e rozza ad una comunicazione coordinata su vasta scala.    Diciamo che la specie umana per arrivare a comunicare ha dovuto addirittura vincere, ostacoli di natura anatomici di una certa consistenza.  Essa è riuscita a superare la restrizione e la lentezza degli apparati comunicativi ereditati forgiando un proprio apparato vocale via, via, sempre più complesso e articolato. 

In termini di antropologia culturale il linguaggio orale è stato il primo vantaggio che l’uomo ha contratto sul resto del mondo animale.   Questo perché, il congegno, che chiamiamo voce, consente di concentrare in poche operazioni, un’ampia gamma di contenuti cognitivi, di idee e, dunque, di registrare un incremento effettivo nella potenza operativa dell’agire.  

L’uomo, però, non si è accontentato d’impadronirsi dell’esperienza della voce come mezzo di comunicazione, anche perché, ad un certo punto, la connessione basata sul linguaggio orale cominciò a mostrare i suoi limiti.  

Gli studiosi di linguistica dicono che questo linguaggio ha un elevato potere di sincronia.  La sincronia è un concetto elaborato da Ferdinand de Saussure ( 1857-1913) indica la capacità di un linguaggio di costruire un senso.  I cani abbaino, si fanno capire, ma non costruiscono dei significati abbaiando. 

Di contro al suo potere di sincronia il linguaggio, però, mostra una scarsa capacità di condizionamento.  Cioè, una scarsa capacità di agire sull’individuo con i convincimenti che maturano nel gruppo a misura che questo s’ingrandisce fino a formare una comunità. 

In breve, con l’espandersi delle comunità umane e con lo svilupparsi di forme sempre più complesse d’interazione sociale la comunicazione orale diventò sempre meno omogenea e il potere persuasivo della parola non consentì più di stabilire orientamenti comuni. 

In altri termini il linguaggio orale tende, a ragione della sua stessa natura, a diventare insufficiente quando i nessi sociali diventano complessi e si affievolisce l’unità del sentire comune. 

Proviamo a considerare quello che abbiamo detto dal punto di vista dell’evoluzione della specie.  Nelle centinaia di migliaia di anni in cui il sapere umano si è andato espandendo, gli uomini hanno appreso: – a configurarsi stati o rappresentazioni del mondo da cui derivano, tra l’altro, le prime credenze sul sacro. – hanno cominciato ad analizzarlo e ad interpretarlo.  – hanno cominciato ad elaborare su di esso delle opinioni che prima non esistevano.  In una, hanno iniziato a formulare ipotesi sul significato delle loro esperienze o, come dice la filosofia, ad interrogarsi sul loro essere-nel-mondo.  In particolare, gli uomini sono stati capaci d’introdurre una dimensione temporale nelle loro elaborazioni mentali.

 Ancora, attraverso l’esercizio dell’esperienza e dell’immaginazione gli uomini hanno poi sviluppato una capacità autoriflessiva.

Hanno appreso, cioè, a fare progetti sempre più complessi e a costruire ipotesi su come realizzare i loro progetti. 

Tutti questi aspetti della personalità umana hanno consentito lo sviluppo di un carattere della condizione del vivente di valore incommensurabile, la coscienza della propria specifica singolarità, o, in altre parole, dell’identità personale

La consapevolezza dell’identità è importante perché non solo costituisce una dimensione della soggettività, ma rappresenta anche  il fondamento della coscienza di gruppo.  Questa consapevolezza dell’identità ha poi la capacità di estendersi nel tempo. 

Si estende verso il passato, attraverso i meccanismi del rito o l’elaborazione dei miti, come sono quelli religiosi, relativi soprattutto all’origine del gruppo. 

Si estende verso il futuro, con la consapevolezza dell’ineluttabile verificarsi di certi avvenimenti, cioè, con la coscienza che inevitabilmente qualcosa può o non può succedere. 

In sostanza l’uomo ha sviluppato un potere endogeno della conoscenza. 

Un potere che ha origine anche e soprattutto da fattori interni all’individuo, vale a dire che derivano dalla sua stessa coscienza, e non solo da fattori esogeni, cioè, esterni ad essa  Questo potere endogeno superata una certa soglia dimensionale, ha poi cominciato a generare idee e visioni, che hanno, in qualche modo, coinvolto dei campi di esperienza sempre più vasti. 

Da un punto di vista sociologico questa proliferazione cognitiva ha prodotto un indebolimento della coesione sociale naturale, con il risultato che le nostre esperienze soggettive, frutto della nostra specifica singolarità, sono divenute sempre meno confrontabili, così come sono diventate sempre più complesse le attività collettive.  

In altri termini, la comunicazione comincia a trasformarsi in uno strumento che stabilizza, tra individuo ed individuo e, tra gruppo e gruppo, contenuti cognitivi omogenei.   

Questa evoluzione della comunicazione ci consente di affermare anche che ad un certo stadio dell’evoluzione dell’uomo hanno cominciato ad essere elaborati contenuti del sapere e dell’esperienza che non erano destinati all’immediato scambio o a fronteggiare la contingenza del qui-ora, ma miravano a porsi come delle aree cognitive durevoli capaci di migliorare le elaborazioni cognitive ulteriori.   

Il pensato, così, ha cominciato ad essere uno strumento per produrre altro pensato. 

In pratica, dei nuovi elementi di natura visiva e tattile si sono aggiunti alla dimensione della voce nella forma di una base di sostegno per l’oggettivazione del pensiero. 

Ma in che consiste questo uso simbolico degli oggetti?  Ce lo rivela la natura del simbolo. È un’espressione che deriva dalla lingua greca, composta da due parole che stanno per “mettere insieme”, confrontare, comparare.  In semiologia il simbolo è una rappresentazione portatrice di un senso.  In qualche modo agisce come un’analogia.  Cioè, appare come una realtà visibile che ci guida a scoprire delle realtà invisibili.  Naturalmente il simbolo ha una sua unità, rappresenta un tutt’uno tanto che le due parti che lo compongono non possono essere comprese separatamente.  Dal nostro punto di vista il simbolo è una realtà che ne evoca un’altra, assente o astratta. 

Lo possiamo definire il segno figurativo o concreto di un’idea astratta.     

Per tornare al nostro discorso, contemporaneamente al nascere dei simboli si sono venuti a formare anche i primi rituali.  Un tempo questi erano esclusivamente sacri – legati alla magia – e religiosi, poi progressivamente si estesero anche alle cerimonie della vita sociale.    Questi rituali utilizzavano spesso degli oggetti particolari. Utilizzandoli ne promuovevano la fattura

Come possiamo definire i rituali?  Come dei congegni comunicativi non materiali.  

O, per usare la definizione che ne da l’antropologia culturale, i rituali sono delle configurazioni sociali che connettono, in un movimento coordinato, ripetibile, ed orientato ad un fine preordinato, una pluralità d’individui.   

Vediamo adesso di esaminare la funzione delle immagini.  Le immagini all’origine sono state promosse soprattutto dalle forme rituali.  Esse rappresentano il primo congegno di comunicazione che è stato capace di superare la dimensione temporale, cioè, di durare nel tempo, di andare oltre il momento della loro esecuzione.  Occorre tener conto del fatti che i loro contenuti iconografici, quando sono fissati su un materiale durevole, permangono a lungo e configurano due forme di sviluppo dei fatti sociali. 

– La prima forma di sviluppo è una conseguenza del fatto che gli artefatti durevoli tendono a debordare con facilità dal campo materiale a quello simbolico, cioè a diventare delle espressioni simboliche.   In questo modo gli uomini hanno finito per acquisire una certa familiarità anche con quegli oggetti che non hanno un uso pratico immediato, vale a dire, che possiedono una dimensione simbolica.   

La seconda forma di sviluppo è consistita nel fatto che, nel corso dell’evoluzione, sempre più spesso le idee hanno acquisito una vita separata da chi le ha pensate e realizzate.  In altri termini, le idee si sono staccate dal loro pensatore, hanno smesso di essere in simbiosi con lui e hanno cominciato a circolare da sole.  Questa seconda forma di sviluppo dei fatti sociali riveste una notevole importanza.  Infatti, nel momento in cui compare una stabile materializzazione simbolica, le idee acquistano una sorta d’impulso verticale, vale a dire, si dispiegano nel tempo

La prima forma di oggettivazione delle immagini sfrutta l’efficacia visuale per riprodurre sezioni dell’esperienza che sono, di fatto, inaccessibili alla voce. 

È il caso delle emozioni e delle sensazioni che si comprendono solo se sono visibili,se hanno una dimensione visuale.  Queste emozioni e queste sensazioni possiedono in genere anche una grande intensità di contenuti.  Sono delle percezioni in cui è molto debole il vincolo convenzionale di senso tra l’immagine e il contenuto che essa trasmette.  Ne consegue che per condividere l’intensità dei loro contenuti deve essere condiviso il processo simbolico che le ha generate. 

In genere nelle scene dipinte – anche in virtù dello sviluppo soggettivo della complessità pittorica – si altera – soprattutto nella modernità – la rappresentazione.  In altri termini, la rappresentazione si struttura su ciò che noi chiamiamo il sentire e, così facendo, si attenua il nesso diretto tra l’immagine e il contenuto che si vuole trasmettere.      In termini linguistici questo corrisponde ad un allentamento della cogenza semantica dell’immagine, vale a dire di quei vincoli che fanno aderire l’immagine al suo contenuto formale. 

Nota bene:

La cogenza semantica indica il carattere restrittivo del significato, in questo caso dell’immagine.

In questo senso possiamo dire che le ragioni per le quali qualcuno non riesce a capire il lavoro pittorico di Jackson Pollock dipendono dall’eccessiva separazione tra l’immagine e la sua cogenza semantica e questa incomprensione è esclusivamente culturale!

La seconda forma di oggettivazione del contenuto delle immagini rovescia il rapporto esistente tra la cogenza convenzionale – cioè il significato convenzionale – e l’intensità emozionale del contenuto.     In queste immagini, c’è una spinta nel tempo al rafforzamento del significato convenzionale a spese dell’intensità emozionale del contenuto.  

Questa seconda struttura di oggettivazione del contenuto delle immagini è costituita soprattutto da quegli oggetti e da quei segni che vengono, in un qualche modo, considerati i precursori della scrittura o che, in molti casi, soprattutto nel passato, la sostituiscono.  

In genere sono i congegni per numerare, indicare una località, esprimere un comando, registrare un evento, segnalare un divieto, eccetera…     

In genere in questi congegni comunicativo-visuali il nesso tra il contenuto e la marca figurativa, vale a dire l’impronta visiva che designa questo contenuto, è stabilito con molta precisione.  Ne consegue che le immagini di questi congegni non hanno margini interpretativi e sono povere d’intensità emotiva.  Che cosa significa che le immagini di questa struttura di oggettivazione del senso non hanno margini interpretativi?  Che le immagini in questione non riproducono segmenti significativi dell’esperienza, ma circoscrivono un evento o una sequenza di eventi e ne fissano stabilmente i tratti salienti.  Il cartello che indica un divieto di sosta non ha nulla di emotivo e molto di impositivo, non tenerne conto significa essere sanzionati, ma per tenerne conto occorre conoscere il codice stradale! 

Facciamo un passo avanti.  La scrittura vera e propria – da cui derivano molte delle scritture moderne – si perfeziona in Grecia intorno all’ottavo secolo prima dell’era comune, tuttavia, strumenti di registrazione, come sono quelli impiegati per trascrivere le fasi lunari, risalgono a circa 25mila anni fa. 

Li troviamo dapprima in Mesopotamia, quella terra tra i fiumi, la culla di importanti civiltà.

È la regione che oggi corrisponde pressappoco all’Iraq. Qui sono stati anche rinvenuti gettoni e piccole sfere utilizzati per fare di conto che risalgono ad oltre 12mila anni fa. 

In ogni modo, già con il neolitico, alla lettera, l’età della pietra più vicina a noi nel tempo – un’importante stagione dell’evoluzione umana caratterizzata dalla nascita dell’agricoltura e delle prime attività artigianali – l’uomo è stato in grado di rendere pubblici i suoi pensieri con tre modalità di rappresentazione, diverse sia per i materiali usati, che per i principi d’uso.  Esse sono:  Il linguaggio, che non dura nel tempo ed è circoscritto nello spazio.  Le immagini, che spesso hanno un debole vincolo convenzionale e quindi possono risultare equivoche alla ricezione.  Le registrazioni che pur avendo un campo di applicazione specifico, sono molto precise ed utili. 

In seguito, con l’evolversi dell’agricoltura e dell’artigianato, in una della condizione stanziale, la società cominciò a crescere e le registrazioni (questi abbozzi di scrittura) subirono una rivoluzione e cominciarono ad agganciarsi sempre di più al linguaggio verbale. 

Si tratta di un passaggio fondamentale nei quali i segni scritturali primitivi abbandonarono sempre di più la loro indipendenza convenzionale e cominciarono a seguire gli schemi della lingua parlata. 

La scrittura, perfezionandosi, rese possibile la costruzione di congegni sociali sempre più complessi dal punto di vista organizzativo e finì con il potenziare soprattutto quelle istituzioni sociali che hanno la caratteristica di migliorare la loro efficacia e la loro potenza se sono connesse, come sono l’attività legislativa, l’organizzazione militare, l’istruzione pubblica, i commerci. 

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