Fluxus-food

Vulva’s Morphia
(per Carolee Schneemann)

Albert Geoffroy Saint Hilaire, alla fine dell’Ottocento, allora direttore del jardin d’acclimatation di Parigi, aveva cercato di far crescere l’albero della cannella, estirpato in quella terra che un tempo era chiamata Cylon, e alcune grosse e grasse lucertole del Mali (uromastic) all’interno del giardino botanico di Olbius-Riquier a Hyeres, l’antica e nobile Var, la città più a sud della Francia. 
Sognava un Cinnamomum verum con una scorza color camoscio, dall’aroma pronunciato e sensuale, quasi eclesiastico, completamente diverso da quello grigiastro di Cina.  Oggi, lo si trova facilmente sotto il sole dell’antico mercato di questa città del sale, insieme alle mandorle dolci e all’acqua di fiori d’arancio. 
Sono ingredienti che un tempo mescolati all’albume servivano a confezionare del marzapane, che le coquettes di un’altra epoca conservavano chiuso in scatole di latta, pronte ad offrirlo per confortare i loro amanti dopo le battaglie di Cupido nell’intimità dei boudoir.

Vulva's Morphia - per Carolee Schneemann

Rammollite nell’acqua bollente, 500 grammi di mandorle dolci e tre mandorle amare, spellate.  Passatele al tritatutto fino a ridurle a farina.  Mescolateci due albumi leggermente addensati, un pizzico di pepe nero macinato al momento e un cucchiaio d’acqua di fiori d’arancio.  In una casseruola, a fuoco dolce, con mezzo bicchiere d’acqua e un cucchiaio di rum agricole, lavorate 250 grammi di zucchero fine, appena il composto ha preso aggiungeteci le mandorle lavorate e un bastone di cannella sbriciolato.  Rimescolate il tutto fino a quando non diventa una pasta omogenea che si stacca dal recipiente.  Stendetela su un foglio di carta da forno spolverato di farina e zucchero fine e ritagliatala a triangoli.  Sulla punta dell’angolo acuto sistemate un pizzico di semi di papavero.  Sistemate questi triangoli su una placca ricoperta e mettetela in forno, già caldo, a calore dolce per almeno una ventina di minuti.  Una volta freddi appoggiate i triangoli di “venere” su un piatto nel quale avrete messo sul fondo un cucchiaio di miele di castagno.  Decorate la punta di ogni triangolo con un cucchiaio di coulis ghiacciato (o, di gelato) di lamponi e servite.
Vanno accompagnati con un Barsac Chateau de Coutet, 2002. 
(Quanto alle “lucertole” di Hyeres, molte di esse sono finite, negli anni che precedono la prima guerra mondiale, sui menu delle séance annuali della Société d’Anthropologie de Paris.) 

 

Grapefruit
(Un capriccio estivo per Yoko Ono)

Per questo capriccio ci vogliono due pere coscia.  Una pesca bianca e fessa.  Un cucchiaio di lamponi e un pompelmo rosa a commensale.  Le pere coscia sono dolci e diuretiche, le pesche fesse sono come le amanti spossate e gocciolanti di resina, i migliori lamponi, rossi come i capezzoli di Gabrielle d’Estrée incinta, sono quelli che crescono nei terreni boschivi incendiati, il citrus paradisi è rosa perché ibridato con l’arancia, l’unico agrume che non viene dall’Oriente.

Grapefruit - Un capriccio estivo per Yoko Ono

In ogni piatto sistemate la pesca ghiacciata, spellata e tagliata a metà.  Spolveratela di zucchero fine.  Versate sulle due metà della pesca una tazzina di panna fresca liquida nella quale con una frusta avrete mescolato i lamponi, gli spicchi spellati del pompelmo e un baccello di vaniglia passati al tritatutto.  La vaniglia serve a rendere l’odore di questo piatto muschiato.  Accanto, sistemate le pere coscia pulite e tagliate a lamelle sottili.  Sull’incavo del torsolo, che avrete tolto, sistemate un cucchiaino di formaggio di capra fresco e una fogliolina di menta.  Servite immediatamente.  Accompagnate questo capriccio con dello Champagne in coppa. 
(Nella felice Venezia libertina del Settecento la pelle delle pesche bianche era usata o per godere di una vergine o per entrare in un culetto adolescente.) 

 

Bread, Bean and Water
(Per Alison Knowles e la sua torta di carote e cioccolato che mi offrì in un giorno d’inverno del 1969 a New York)

Nella Napoli di Masaniello questa preparazione era chiamata “fica in calzoni”.  Occorre un panetto di pasta per la pizza a commensale, preparato con farina di forza, che lo rende compatto ed elastico, lievito di birra e un sospetto di strutto.  Stendete un panetto alla volta su un piano di marmo infarinato.  Su una metà disponete un pugnetto di pomodori maturi, spellati, senza semi ed acqua di vegetazione, spezzati grossolanamente con le mani.  Un paio di spicchi d’aglio incamiciati, qualche oliva nera e secca, come le “gatte” stagionate, qualche pilucco di origano fresco, una presa di fave fresche sgusciate, un cucchiaio di ricotta, alcune fette di prosciutto crudo tagliate con il coltello, ideale il “pata negra” spagnolo tagliato vicino all’osso mastro. 

Bread, Bean and Water - Per Alison Knowles e la sua torta di carote e cioccolato che mi offrì in un giorno d’inverno del 1969 a New York

Cospargere il tutto con un filo d’olio d’oliva extravergine.  Sistemateci al centro un fico nero spaccato dal sole di Puglia o un ficone di Mercato San Severino. Ripiegate la pasta formando una mezza luna, incollate con cura i bordi che avrete bagnato con del tuorlo d’uovo battuto.  Con un pennello spalmate il resto del tuorlo sul dorso del calzone e cospargetelo di origano secco.  L’origano, incubatore di sogni, un tempo rendeva impudiche le giovani donne.  Cuocete i calzoni in un forno caldo per almeno una ventina di minuti.  Servite subito.
Accompagnate la “fica in calzoni” con un Falerno bianco ghiacciato prodotto con l’uva coda di volpe di Mondragone, la falanghina. 

 

Topless cellist in kataifi
(per Charlotte Moorman)

Questo originale baklava lo abbiamo assaggiato per la prima volta in un piccolo caffè greco di New York, nel 1969, mentre Charlotte Moorman ci raccontava del suo arresto per indecent exposure, dopo l’esecuzione di Opera Sextronique di Paik.  La disavventura poliziesca ce l’aveva fatto dimenticare fino a quando non lo abbiamo riscoperto in un localino di Amsterdam, il “Kismet”, nei pressi del mercato sulla Albert Cuypstraat, nel 1991.

Topless cellist in kataifi - per Charlotte Moorman

Per una confezione di pasta fillo da 500 grammi.  Preparate uno sciroppo sciogliendo in un pentolino 100 grammi di miele con 400 grammi di zucchero fine.  Quando è tiepido, aggiungeteci il succo di un limone filtrato e un cucchiaio di acqua di rose.  Fate raffreddare in frigorifero.  Tritate con cura 300 grammi di noci, 100 grammi di mandorle, 100 grammi di pistacchi, tre cucchiai di zucchero, quattro chiodi di garofano e mezzo bastoncino di cannella.  Su un foglio di carta da forno, sistemato in una placca, appoggiate un foglio di pasta fillo, spennellatela con del burro fuso chiarificato, spolveratela con il trito di frutta secca e ripetete l’operazione fino a sovrapporne sei strati.  Spennellate con cura con il burro anche l’ultimo strato di pasta.  Con una filiera ritagliate dei cerchi di pasta di circa otto centimetri, senza rimuoverli.  Poi, con la lama bagnata di un coltello affilato aprite gli strati di pasta come se fossero i petali di una rosa.  Infornate, in un forno caldo, per almeno quaranta minuti, fino a quando la superficie del baklava non sia dorata.  Appena tolto dal forno irroratelo con lo sciroppo e lasciatelo raffreddare.  Staccate i tortini di baklava e serviteli con l’accompagnamento di una pallina di gelato al pistacchio ed una al gelsomino.  Fate piovere sui tortini qualche petalo di rosa, rosa.

 

Aguonu pyragas
(In ricordo di George Maciunas)

New York, 1972.  Maciunas in quel periodo distillava idrolati di erbe, ma fu felice di farmi provare questo dolce lituano che preparava un cuoco suo amico in un ristorante russo di down-town, diretto da una aristocratica polacca, emigrata, ebrea e cantante lirica, sempre vestita di rosso.  Nel ristorante, ricavato in uno scantinato tutto ricoperto di velluti cremisi, troneggiava un pianoforte a coda costruito a Kalisz alla fine dell’Ottocento, divideva la sala da pranzo a metà.  Da una parte si serviva cucina del Baltico, dall’altra cucina con piatti cacher.

Aguonu pyragas - In ricordo di George Maciunas

Macinare in un tritatutto due tazze di semi di papavero con mezza tazza di nocciole, aggiungeteci due tuorli freschissimi, 100 grammi di zucchero fine, 50 grammi di scorze d’arancio candite e tagliate a dadini, un cucchiaino di estratto di vaniglia, un cucchiaio di acquavite di albicocca.  Con una frusta mescolate il composto, copritelo e mettetelo da parte.  Adesso, sciogliete in una bastarda 30 grammi di lievito di birra in mezza tazza di latte tiepido, aggiungeteci 150 grammi di farina setacciata, una tazza di latte tiepido, con una frusta amalgamate il tutto e mettetelo a riposare, coperto, al caldo per circa due ore.  Sbattete quattro tuorli con 50 grammi di zucchero fino a che non si formi un nastro giallo chiaro, aggiungeteci il precedente impasto, 600 grammi di farina setacciata, un pizzico di sale.  Impastate con cura, dividete l’impasto in tre parti e profumatene una rimpastandola con una tazzina di caffè e un pugnetto di farina.  Mettete i tre impasti a riposare per un’ora.  Al termine stendete gl’impasti, uno alla volta, su un piano di marmo infarinato, fino a renderli spessi un centimetro.  Spalmate le tre sfoglie così ottenute con la farcia a base di semi di papavero, arrotolatele.  Sistematele su una placca ricoperta di carta da forno, una accanto all’altra con quella al caffè in centro.  Lasciatele riposare per mezz’ora, poi, spennellatele con un tuorlo d’uovo nel quale avrete messo un cucchiaino di acquavite di albicocca, infornate a forno già caldo per 40 minuti.  Rimuovete il dolce dalla placca solo quando è freddo.  Servitelo accompagnato da una tazza di caffè con panna montata.

 

Prune Cake da Mimi’s
(Se per caso una sera cercaste George MacDiarmid ad Halfway non perdetevi…)

Tutte le centottantuno massaie di Halfway, adolescenti o anziane che siano sanno fare questo “cake”, ma quello che sforna la cucina di Mimi’s è il migliore… 

Prune Cake da Mimi’s - Se per caso una sera cercaste George MacDiarmid ad Halfway non perdetevi...

Foderate un cerchio per flan con della pasta à foncer fine (°).  Stendete sul fondo uno strato di crema pasticcera mescolata ad un quinto del suo volume con panna montata a neve ferma e zuccherata.  Sulla crema disponete delle prugne lavate e snocciolate, qualche gheriglio di noce tritato e un paio di cucchiai di zucchero fine.  Sbriciolate sulle prugne mezzo bastoncino di cannella e ricoprite il tutto con dell’altra crema pasticcera.  Cuocete in forno a calore medio, potete servire questo dolce quando è tiepido o da freddo.  In questo caso potete accompagnarlo con della panna addensata aromatizzata alla vaniglia. 
(°) – La pasta à foncer preparatela con le seguenti proporzioni.  Per 250 grammi di farina setacciata, 150 grammi di burro, un uovo, un cucchiaio di zucchero, un sospetto di sale, mezzo bicchiere di latte.

 

La migas dell’Estremadura
(Per Wolf Wostell)

Era nato in Westfalia, il destino lo portò in Estremadura.  Seppelliva automobili e spaccava televisori, lo chiamano pioniere della video-art.  Nel lontano 1996 andai a trovarlo nel suo studio di Düsseldorf, mi regalò l’ultimo numero di una rivista di cui era il factotum con dentro una tavoletta di cioccolata e una serie di documenti del gruppo Fluxus, mentre mi mostrava dei disegni parlava con entusiasmo di Joseph Beuys.  “È molto più avanti di me, ma io sono ancora giovane…”.  Joseph Beuys non mi ha mai parlato di Wolf Wostell.  Abbiamo cenato spesso insieme in una piccola trattoria milanese di piazzale Martini.  Al polso portava una bussola, “Per non perdere mai l’orientamento.”  Mescolava con sorprendente facilità lo spagnolo, il francese, l’inglese e la sua lingua madre, così riusciva a farsi comprendere da tutti, riempiendo di graffiti e di diagrammi tovaglioli, menu, fogli di carta, margini di libri.  L’ultima volta che lo vidi dividemmo una bottiglia di Ribera del Guadiana.   

La migas dell’Estremadura - Per Wolf Wostell

Le migas sono i piatti dei pastori e della gente dei campi, in particolare dell’Andalusia, dell’Estremadura, della Mancia e della Navarra.  In Spagna le ricette per le migas sono una quindicina.  In realtà ogni pastore ed ogni contadino ha la sua, è un piatto che serve a sfamare chi si spezza la schiena con il lavoro.  Solo quando sono persi nel mondo, però, la migas diventa una migas, perché il pane che le compone è bagnato con le lacrime.  Lo sa bene il “sorriso etrusco” di José Luis Sampedro.  La migas non è neanche un piatto di Spagna, la sua origine si perde nella cucina ebraica ed araba ed è certamente più rozzo dei ragout d’interiora della cucina algerina o dell’adafina degli ebrei saferditi d’Andalusia.  Il pane ammollito si condisce con quello che offre la giornata, uova, salsicce, sardine, carne affumicata, chorizo, peperoni, spicchi d’aglio…e lo si mangia spiluccando chicchi d’uva o addolcendosi la bocca con fette di melone.  La più popolare in Estremadura è confezionata così: la sera prima tagliate a cubetti una pagnotta di pane vecchio da un chilo.  Il giorno dopo metteteli a bagno con un sospetto di sale, devono diventare morbidi, ma non disfarsi.  Riponeteli, dopo averli scolati, in un panno.  In un tegame con un paio di cucchiai d’olio d’oliva saltate 200 grammi di pancetta affumicata tagliata a striscioline, 200 grammi di chorizo tagliato a pezzetti o 200 grammi di chistorra.  Aggiungeteci 200 grammi di salsiccia fresca, tagliata a tronchetti. Un peperone rosso e uno verde, senza semi, tagliati a fettine e sei o sette spicchi d’aglio.  Appena i peperoni sono pronti mettete il tutto in una ciotola, versateci sopra il pane, aggiungeteci un cucchiaio d’olio e rimescolate fino a quando tutti gli ingredienti si saranno amalgamati.  Se volete, accompagnate questo piatto con due uova fritte a coperto.  Mettete a disposizione dei commensali, se è stagione, qualche grappolo d’uva.  Questa migas si accompagna con un formaggio di capra di El Tietar e miele di timo o di rosmarino e si digerisce con un bicchierino di anice.

 

Iles flottantes à l’orange confite
(Per John Cage)

Preparazione della crema inglese.  Per un litro di crema.  Portate a bollore tre quarti di litro di latte con un bacello di vaniglia.  Togliete il recipiente dal fuoco e copritelo.  In una terrina riunite 250 grammi di zucchero e dodici tuorli d’uova, lavorateli con una spatola fino ad ottenere un composto spumoso, aggiungetevi a filo il latte caldo senza smettere di mescolare.  A bagnomaria o sul bordo di una fiamma dolce continuate a lavorare il composto fino all’ispessimento della crema.  Deve diventare densa e compatta.  Appena è pronta toglietela dal fuoco e versatela in un’altra terrina che avrete tenuto in frigorifero, in modo da bloccare la cottura.  Appena è tiepida aggiungeteci un bicchiere di panna liquida fresca, addensata. 
Preparazione delle isole.  Imburrate con cura sei stampi da budino in alluminio e metteteli in frigorifero.  In una terrina battete a neve ferma sei degli albumi delle uova usate in precedenza con un pizzico di sale.  Quando il composto è montato aggiungete un po’ alla volta 100 grammi di zucchero fine e 100 grammi di scorze di arancio caramellate e tagliate a dadini.  Versate questo composto negli stampi e cocetelo a fuoco medio in forno già caldo per sei/otto minuti.  Nel frattempo preparate un caramello biondo con 75 grammi di zucchero e un po’ d’acqua.  A questo punto, mettete la crema in un grande piatto di servizio, distaffate le isole e “sporcatele”, usando un pennello, di caramello.  Mettete le isole a galleggiare sulla crema e servite.  Accompagnate questo dolce con del vino di Porto.

Iles flottantes à l’orange confite - Per John Cage

Porcini saltati, una ricetta di John Cage
Questa ricetta fu preparata, nel 1978, da John Cage nella cucina di Gianni Sassi, mentre questi s’industriava con il suo speciale risotto allo Champagne con provola.  Occorrono dei porcini giovani ed appena aperti, Cage li scelse uno alla volta presso la baracca del fruttivendolo di Piazza Tricolore, a Milano.  Non vanno lavati, ma puliti con un panno.  Affettateli, tenendo da parte qualche gambo, conditeli con sale marino e pepe nero macinato al momento.  Gettateli in una padella con abbondante olio d’oliva bollente finché non sono leggermente dorati.  Sgocciolateli ed asciugateli con della carta da cucina.  In un’altra padella fate sciogliere del burro freschissimo, uniteci i funghi affettati, i gambi messi da parte e tagliati a dadini, un cucchiaio di farina di mandorle, un sospetto di noce moscata, un terzo di un tronchetto di cannella.  Saltate il tutto a fuoco vivace e versatelo in una terrina.  Aggiungeteci qualche goccia di sugo di limone e del prezzemolo tritato e servite.      

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2 Responses to Fluxus-food

  1. petit a scrive:

    Alla fine, l’attualità dell’arte moderna sta nella sua grande capacità di ripetersi degradandosi all’infinito, così come la sua importanza dalla facilità con le quali educa le sue vittime all’insensato facendo apparire loro irrazionale ogni desiderio di vivere…In questo modo, il mondo, che non ha nessuna voglia di trasformarsi realmente, maschera il suo ritardo e decreta il successo di ogni avanguardia che rinnova l’apparenza senza combattere la separazione. Una separazione che rende ancora più invitante la merce arte nascondendone il suo arcano…

    Gestire l’informazione, del resto significa gestire il consumo delle conoscenze , a DISPETTO DELLA CONOSCENZA, un consumo governato a fini strategici con lo strumento della falsa coscienza che non vuole e non PUO’ PENSARE A SE STESSA PENA IL SUO DISSOLVIMENTO

    Bibl: Gianni-Emilio Simonetti, “Alburni”, Edizioni Masnata Genova

  2. Ipparchia scrive:

    AVVERTIMENTO

    Non portate nel cosmo i burloni,
    non ve lo consiglio.

    Quattordici pianeti morti,
    qualche cometa, due stelle,
    e già durante il viaggio per la terza
    i burloni cambieranno umore.

    Il cosmo è quel che è,
    ossia perfetto.
    E i burloni non glielo perdoneranno mai.

    Nulla li rallegrerà:
    non il tempo-giacché troppo eterno
    non la bellezza-giacché senza pecche,
    non la gravità-giacché non si lascia volgere in scherzo

    Tutti saranno ammirati,
    loro sbadiglieranno.

    Sulla rotta per la quarta stella
    sarà peggio ancora.
    Sorrisi acidi,
    disturbi del sonno e dell’equilibrio,
    discorsi stupidi:
    che il corvo col formaggio nel becco,
    che le mosche sul ritratto di sua maestà
    o la scimmia nel bagno
    -be’, si, quello era vivere.

    Limitati.
    Preferiscono il giovedì (lunedì) all’infinito.

    Primitivi.
    Preferiscono una nota stonata alla musica delle sfere
    Stanno benissimo nelle fessure tra
    teoria e pratica,
    causa ed effetto,
    ma qui non è la Terra e tutto combacia.

    Sul trentesimo pianeta
    (in quanto desolazione ineccepibile)
    rifiuteranno perfino di uscire dalle cabine,
    vuoi per un mal di testa, vuoi per un dito che duole.

    Che imbarazzo e che vergogna
    Tutti quei soldi buttati nel cosmo

    Wislawa Szymborska