IED, Milano. Anno accademico 2009-2010
Cattedra di sociologia.
(Esercitazioni)
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Esercitazione numero sei.
“Hic sunt leones, i non-luoghi”.
I neoluoghi ereditano dall’urbs l’aurea di luogo sacro dove, come nell’induismo, goccia l’ambrosia delle merci materiali e immateriali. Recinti consacrati ai riti dell’alienazione mercantile, cortili che hanno per frontiera la desolazione. Essi riflettono alla lettera la violenza fondativa che dal fratricida Caino arriva alle benne dello scraper. Una violenza che ricorda a chi la subisce come non ci sia nella modernità appropriazione senza espropriazione celebrata un tempo con il versamento di sangue sulle fondamenta degli edifici. Al pari dei nidi i neoluoghi danno sicurezza nel momento in cui la tolgono, come rêverie. La sicurezza è qui nella forma di un’aspettativa che conosciamo già, perché i neoluoghi non sono mai completamente sconosciuti, essa è
un accento che diviene conforto.
(Bernard Rosenthal)
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Il neologismo di non-luogo (o di neoluogo) definisce due concetti complementari quali sono il luogo fisico – costruito con una destinazione d’uso specifica – e la relazione che viene ad instaurarsi con chi ci transita, con i suoi utenti, con coloro che lo attraversano. In questo senso l’espressione di non–luogo si distingue dai luoghi antropologici in senso classico, come sono i luoghi vissuti dagli uomini, le agorà, le piazze di paese, i mercati contadini.
I non-luoghi, nella realtà metropolitana, rappresentano un congegno importante per la circolazione accelerata delle persone, dei beni e delle merci (come sono i centri commerciali, le stazioni ferroviarie, gli aeroporti, i raccordi e gli svincoli stradali, le autostrade).
Per analogia sono considerati non-luoghi anche i mezzi di trasporto, i campi profughi, le grandi esposizioni campionarie, i megastore, eccetera.
In sostanza sono gli spazi in cui le singole persone, con i loro problemi e la loro solitudine, s’incrociano senza mai entrare in relazione, il più delle volte sospinti dal desiderio di muoversi, mostrarsi, consumare, accelerare le operazioni della vita quotidiana.
Come afferma Marc Augé, che per primo li ha evidenziati nei suoi studi, questi non-luoghi sono una importante espressione della “neomodernità” dominata dalle leggi dello spettacolo. Vale a dire, non solo non sono in grado d’integrarsi con i luoghi storici della città, ma spesso e facilmente entrano in conflitto con essi banalizzandoli, cioè de-valorizzandoli alla stregua di curiosità per studiosi, come sempre più di sovente avviene per i musei, i palazzi antichi, le vestigia. Luoghi che non sono in grado di fronteggiare la logica dello spettacolo che domina la modernità perché la “neomodernità” è l’effetto combinato di una accelerazione del tempo e degli avvenimenti che spesso finiscono per sovrapporsi o contraddirsi, così come di una banalizzazione dello spazio percepito con il suo rimpicciolimento psicologico derivato dalla velocità con il quale lo si percorre. In questo contesto c’è anche da notare un irrigidimento dell’identità soggettiva degli utenti dei non-luoghi in un ruolo preformato.
In questo modo, la “neomodernità” appare come un eccesso di senso paradossalmente reso evidente da un caos diffuso.
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L’obiettivo di questa esercitazione è di cogliere i caratteri di un non-luogo tali da svelarne la loro natura di artificio culturale e funzionale.
Ogni gruppo può elaborare le immagini di questa esercitazione con il mezzo espressivo che meglio ritiene opportuno, disegno, foto, fumetto, collage, rappresentazione elaborata per via elettronica.
L’elaborato dovrà essere presentato su dischetto, accompagnato da una breve relazione esplicativa.
Non sono accettati altri supporti.