Un monumento contro la fame – IED – Esercitazione 8 – 2010-2011

IED, Milano. Anno accademico 2010-2011

Cattedra di sociologia.
(Esercitazioni)

Esercitazione numero otto.
Lunedì 31gennaio 2011.

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UN MONUMENTO CONTRO LA FAME.

Bisogna rendere ancora più oppressiva l’oppressione reale con l’aggiungervi la consapevolezza dell’oppressione, ancora più vergognosa la vergogna, rendendola pubblica”.

Karl Marx

Nella lingua latina monumèntum è il ricordo (mònere significa ricordare, far sapere).
È possibile costruire un monumento contro la fame per ricordare a coloro che mangiano che un miliardo di persone non ha cibo sufficiente per vivere? Che ogni giorno muoiono più di venticinquemila persone d’inedia?

Che nel tempo di lettura del testo di questa esercitazione moriranno cinque bambini per fame? Che continueranno a morire mentre mangiamo, studiamo, dormiamo, ridiamo, facciamo l’amore, ci disperiamo per le piccole contrarietà della vita corrente?

Da tempo immemorabile l’equilibrio tra la produzione di alimenti e il loro consumo è colpevolmente alterato perché sia le cause naturali come le ragioni più infami dei potenti hanno sempre congiurato a rendere le disponibilità inferiori al fabbisogno.

Eppure oggi le cose non sarebbero più così.

Circa due miliardi di tonnellate di cereali, sommate alle altre poche derrate essenziali, assicurerebbero una razione media per abitante del pianeta di circa duemila e cinquecento calorie, in astratto sufficienti ai bisogni fisiologici dell’organismo umano.

Nutrire il pianeta, energia per la vita” è il tema dell’Esposizione Universale di Milano del 2015, una scommessa sulla quantità del cibo e sulla sua qualità minacciata dai rischi più diversi perché la sicurezza alimentare sta nel crocevia d’interessi planetari che colpiscono al cuore la nuda vita degli uomini e che sfuggono alla ragione.

Ma che cosa significa aver fame?

Essere deboli, soffrire di anemia, ulcerazioni, diarrea, ipotrofia temporale, calo ponderale, a cui si devono aggiungere capelli fragili, facilità di ecchimosi, cecità notturna, riduzione del senso del gusto, sanguinamento gengivale e flogosi, disorientamento, neuropatie, atassia.
Morte.

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In questi giorni i paesi arabi che si affacciano sul Mediterraneo sono attraversati dal vento della rivolta. Migliaia di uomini, donne, studenti, operai, contadini, disoccupati sono scesi nelle strade per riaffermare gli antichi principi della civiltà: libertà, giustizia, lavoro, pane. Alcuni tiranni sono caduti, altri cadranno, la fame ha agito da acceleratore delle proteste, ha risvegliato l’ira dei “compagni”, di coloro che dividono il loro pane.

Obiettivo dell’esercitazione è di costruire una maquette per un “monumento” contro la fame usando esclusivamente dei resti alimentari domestici di qualunque natura.

La maquette può essere disegnata, fotografata o filmata.

L’elaborato dovrà essere presentato su dischetto, accompagnato da una breve relazione esplicativa.

Non sono accettati altri supporti.

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La città che sale (The social landscape) – IED – Esercitazione 7 – 2010-2011

IED, Milano. Anno accademico 2010-2011

Cattedra di sociologia.
(Esercitazioni)

Esercitazione numero sette.
Lunedì 17 gennaio 2011.

LA CITTÁ CHE SALE
(The social landscape)


Landscape means an area, as perceived by people,
whose character is the result of the action and interaction of
natural and/or human factors .

(Dal documento sulla convenzione europea del paesaggio.)

Nel 1910 Umberto Boccioni rende omaggio a Milano con un’opera che diverrà famosa, La città che sale. Tecnicamente la tela ha ancora una fisionomia divisionista, anche se il tema è futurista e si discosta dal soggetto delle periferie urbane con cui questo artista aveva attraversato la stagione del naturalismo e del simbolismo. Ne La città che sale c’è l’esaltazione della forza e del movimento. Dell’azione, che fonde in un unico slancio uomini e cose. Del lavoro, che plasma i luoghi ed esalta il mito dell’uomo moderno. Come Boccioni stesso scrive il compito che si era dato era di esaltare “il frutto del nostro tempo industriale” e Lavoro è proprio il titolo originale con cui quest’opera fu esposta per la prima volta alla “Mostra d’Arte Libera di Milano” nel 1911.

Oggi questa tela è diventata importante anche per un altro motivo, è considerata il primo documento visivo di quello che viene definito un social landscape, cioè di un paradigma visuale che riflette il volto sociale della modernità e i processi di cambiamento culturale e ambientale che plasmano la nostra identità collettiva.

Di recente la “Convenzione Europea sul Paesaggio” ha assunto la percezione sociale come un elemento strutturale e fondativo del paesaggio stesso, in altri termini, la coscienza che gli abitanti di un luogo hanno di esso segna il passaggio da “territorio” a “paesaggio”.

In sintesi si ritiene che l’uomo e l’ambiente siano tra di loro legati da una interrelazione di cui il paesaggio costituisce un processo di significazione e di elaborazione culturale. La percezione del paesaggio assume così un’importanza strutturale ai fini di come l’individuo percepisce il proprio mondo e, di riflesso, di come si configura la sua sfera emotiva ed identitaria, di come vive l’appartenenza ad un luogo.

La qualità del paesaggio, il suo valore culturale possono allora influenzare la qualità della vita delle popolazioni, ne consegue da una parte la necessità di tutelare il social landscape, dall’altro di educare gli individui a sviluppare una sensibilità e una consapevolezza tale da consentire questa relazione in un momento particolarmente sensibile in cui la singolare identità dei territori – urbani e rurali – sono minacciati dai processi di omologazione.

La “Convenzione”, a questo proposito, indica espressamente il paesaggio come un fattore essenziale per la qualità della vita e il benessere degli individui e della società e soprattutto come elemento chiave per la determinazione e il mantenimento del senso del luogo. L’educazione paesaggistica e le diverse forme di sensibilizzazione assumono così un valore rilevante il cui fine è un “desiderio di qualità”.

Attualmente la Commissione che ha stilato il documento sulla “Convenzione” riconosce il paesaggio come un bene culturale a carattere identitario, frutto della percezione della popolazione, da questo punto di vista, anche al di là del discorso sociologico, il paesaggio è un prodotto sociale e non rappresenta un bene statico, ma dinamico e per questo è sempre in relazione all’azione dell’uomo. Il questo senso il paesaggio non coincide con la realtà materiale, ma comprende sia la realtà che la “rappresentazione” della realtà, esso è un’importante forma di linguaggio che manifesta le aspirazioni della comunità e partecipa al processo di scambio dei fattori socio-culturali. In breve è l’ipostasi (la sostanza) della storia di un territorio (°).

(°) – Si ritiene che la prima cultura a possedere un’idea sociale di paesaggio sia stata la Cina in quanto essa – a differenza dell’Europa che ha preso in considerazione questi valori solo a partire dal ‘500 – riconosceva ed usava il paesaggio. Aveva una letteratura sul paesaggio e le sue bellezze. Esisteva una tradizione pittorica di rappresentazioni di paesaggi. Stimava e costruiva giardini.

Scopo dell’esercitazione è quello di documentare con delle immagini comunque realizzate o con un breve filmato tre paesaggi particolarmente significativi della città di Milano, da cui si possa evincere qual è il paesaggio sociale caratteristico di questa città.

L’elaborato dovrà essere presentato su dischetto, accompagnato da una breve relazione esplicativa.

Non sono accettati altri supporti.

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Through the cheese – Un Manifesto per lo IED – IED – Esercitazione 6 – 2010-2011

IED, Milano. Anno accademico 2010-2011
Cattedra di sociologia.

(Esercitazioni)

Esercitazione numero sei.
Lunedì 17 gennaio 2011.

THROUGH THE CHEESE.
(Un manifesto per lo IED)


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Le goût est une source de plaisir, l’art n’est pas une source de plaisir,
c’est une
source qui n’a pas de couleur, pas de goût.
Marcel Duchamp

Un antefatto. Nel 1942 Marcel Duchamp (Rrose Sélavy) progettò la copertina del pamphlet, “First Paper of Surrealism” utilizzando la foto di un formaggio con gli occhi, come sono chiamati i “buchi” dei formaggi svizzeri. Trent’anni dopo scoppiò una polemica. Il formaggio usato era Emmenthal o Gruyère? Due mercanti d’arte, Arturo Schwarz e Francis M. Naumann, che hanno scritto su Duchamp, sostengono che fosse Gruyère. Stephan E. Hauser, uno storico svizzero, direttore della Zeitschrift für Kunstgeschichte, afferma invece che si trattava di Emmenthal, aprendo una polemica che ha dilagato sul web.

Sono due formaggi antichissimi, di Gruyère si parla addirittura in un documento che risale al dodicesimo secolo. Sono entrambi prodotti con latte vaccino, il Gruyère ha una pasta semidura, untuosa e può presentare dei piccoli occhi. Le forme sono di circa sessanta centimetri di diametro, alte circa undici centimetri. L’Emmenthal, invece, ha occhi grandi dovuti alle sacche di anidride carbonica che si formano durante la maturazione. Le forme hanno un diametro di circa un metro e possono variare in altezza fino a ventisette centimetri. Pesano mediamente un quintale. Di recente il “Ministero dell’Agricoltura” degli Stati Uniti ha diramato una circolare per la quale non possono essere vendute sul suo territorio forme di Emmenthal con occhi superiori ai quattordici millimetri di diametro, la ragione è sconosciuta.

Che cosa si nasconde dietro questo affaire? Va da sé, è quello che vedono questi occhi!

Se invece di usare il formaggio per una copertina di un pamphlet lo usassimo per un progetto visuale che esprima lo spirito dell’Istituto Europeo di Design come sarebbe?

Il simbolo è il segno figurativo di un’idea astratta. Con il simbolo si costruisce un rapporto tra significante e significato, esso definisce una delle due forme dell’ipotiposi (dal greco hypotipóo, abbozzo) – un congegno della retorica che rinvia ad una illustrazione sensibile, ad un modo di rendere sensuale, materiale un’idea. Il grande antropologo Marcel Mauss assegna ai simboli una funzione culturale con la quale gli individui si riconoscono e si trasmettono credenze, miti, riti, valori.

Obiettivo dell’esercitazione è la progettazione di un poster e di un piccolo gadget che utilizzi una fetta o un pezzo di Emmenthal o di Gruyère per esprimere il leitmotiv della creatività visuale rivolto ai giovani.

Il poster e il progetto del gadget possono essere realizzati con il mezzo espressivo che si ritiene più opportuno: disegno, foto, fumetto, collage, rappresentazione elaborata per via elettronica.

L’elaborato dovrà essere presentato su dischetto, accompagnato da una breve relazione esplicativa.

Non sono accettati altri supporti.

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