Landscapes – IED – Esercitazione 13 – 2010-2011

A – IED, Milano. Anno accademico 2010-2011

Cattedra di sociologia.
(Esercitazioni)

Esercitazione numero tredici.
Lunedì 28 marzo 2011.

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Landscapes.

Davanti ai nostri sogni il paesaggio è allo stesso tempo necessità, artificio e contingenza.

Oggi noi amiamo la natura perché l’abbiamo perduta,
solo perdendola l’abbiamo conosciuta.

Bernard Rosenthal.

Il paesaggio non è un luogo, ma un luogo quale appare quando lo si abbraccia con lo sguardo. Deriva da paese, sul modello del francese paysage. Paese, pais, paes, pays, paiz sono tutte espressioni che discendono dal latino pagénsis e più in là da pagus, villaggio, borgo, podere. Paesaggio è un’espressione da cui si desume pagano – idolatra di campagna – e pagina, perché il terreno si ara come sul foglio di carta si scrive, entrambe le azioni hanno lo stesso scopo: seminare. Grano per il pane o saggezza per la mente.

Il paesaggio in una prospettiva culturale è dunque una lettura, una creazione, un’interpretazione dello spazio. Esso ha acquisito da tempo anche una dimensione estetica, pittorica, letteraria, sentimentale. Per estensione può anche riferirsi a un contesto diverso, come “paesaggio politico” o “paesaggio mediatico”.

La nozione di paesaggio è di fatto recente ed è stato riconosciuto così importante da meritarsi in molti paesi occidentali una specifica legislazione per la sua tutela.

Il paesaggio, in sostanza, è prima di tutto una “vista” che esiste indipendentemente da noi, ma nel momento in cui riceve un apprezzamento estetico si carica di significazioni e di emozioni, diventa soggettivo.

Oltre ai paesaggi visibili ci sono altre rappresentazioni del paesaggio, come quella legata all’odorato o quella sonora. Questa seconda rappresentazione, per esempio, costituisce l’argomento poetico di un musicologo canadese, Raymond Murray Schafer. I paesaggi tattili o odorosi sono altrettanto importanti, ma a tutt’oggi poco sviluppati.

Storicamente il paesaggio è stata soprattutto una nozione artistica, come decoro e come valore estetico e ha dato vita ad uno “sguardo” che si è profondamente evoluto e che si scorge ancora nel passaggio da paese a paesaggio.

Oggi il paesaggio non è più solo una struttura naturale che può essere schematizzata, è qualcosa di vivo, è un’interazione in continuo movimento tra elementi fisici ed elementi sociali, un processo morfologico in atto che ha dato vita a diverse discipline di studio, dalla storia alla geografia all’archeologia, alla paesaggistica, alla geologia, per finire all’approccio ecologico il cui fine è la sua salvaguardia come patrimonio dell’umanità. Lo testimonia la classificazione che ne fa l’Unesco a partire dal 1972.

La pittura di paesaggio s’impose con una sua autonomia iconografica intorno al sedicesimo secolo, soprattutto grazie agli artisti fiamminghi e tedeschi, poi questa pittura divenne olandese (Adrian Stalbemt) e francese (Claude Lorrain) e nel diciassettesimo secolo conquistò anche la Spagna e l’Italia (Canaletto, in particolare). Nella stagione romantica ebbe un grosso interprete in William Turner e, in seguito, in John Constable, fino a diventare una vera e propria poetica con i pittori impressionisti, i macchiaioli e la pittura americana del diciannovesimo secolo.

Per quanto riguarda in particolare la pittura italiana la lunga tradizione inizia con Giotto e prosegue con i Bellini, Tintoretto, Tiziano, Michelangelo e soprattutto il grande Giorgione, per poi venire a Giovanni Fattori, Telemaco Signorini, Silvestro Lega e tanti altri.

Oggi i landscape non sono solo un tema pittorico dei paesaggisti moderni, ma compaiono anche nel cinema, nei fumetti, nell’urbanistica, nella fotografia, nella pubblicità e fanno da sfondo visuale all’ambiente dell’uomo, ai suoi sogni, al suo destino. In questa veste a volte si ribellano, si alterano, spariscono mentre gli uomini tentano di salvaguardarli, riprodurli, inventarli.

Obiettivo dell’esercitazione è la realizzazione di quello che si ritiene un paesaggio ideale realizzato con il “montaggio” di parti più o meno grandi o di frammenti di paesaggi provenienti in primo luogo dalla pittura e poi dall’esperienza sensoriale e visuale in genere. Nel giudizio sarà considerata importante la complessità e l’originalità.

Ogni gruppo può elaborare questa esercitazione con il mezzo espressivo che meglio ritiene opportuno, disegno, foto, fumetto, collage, video, suono, tattilità, rappresentazione elaborata per via elettronica.

L’elaborato dovrà essere consegnato in copia su dischetto, accompagnato da una breve relazione esplicativa. Non sono accettati altri supporti.















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Looking through the breakfast – IED Design – Esercitazione 1 – 2010-11

D – IED, Milano. Anno accademico 2010-2011

Cattedra di sociologia.
Esercitazione numero uno.

24 marzo 2011.
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LOOKING THROUGH THE BREAKFAST.

Foodportrait

L’identità soggettiva nelle scienze sociali è l’insieme delle proprie caratteristiche auto-percepite, costituisce un’identità fluida, difficile da circoscrivere, carica di ombre, con la quale dobbiamo fare in continuazione i conti. Essa, però, è anche tutto ciò che ci caratterizza, ci rende inconfondibili, ci consente di dare un senso all’idea di “Io”. In questo modo l’identità soggettiva serve sia ad identificarci che a discriminarci, producendo spesso degli stereotipi culturali che alimentano il pregiudizio.

Di contro l’identità oggettiva, che non necessariamente coincide con quella soggettiva, è la questione sulla quale convergono almeno tre rappresentazioni di ciò che siamo:

La nostra identità fisica, che si desume principalmente dal volto, dalla postura e dal sesso.

La nostra identità sociale, ovvero l’insieme di alcune caratteristiche quali l’età , lo stato civile, la professione, la classe di reddito.

La nostra identità psicologica, costituita dalla personalità che abbiamo, dalla conoscenza di sé, dallo stile di vita e di comportamento.

Sono identità che variano più o meno rapidamente e coscientemente. Più o meno indipendentemente da quello che noi vogliamo o siamo in grado di volere.

Va anche considerato che queste due rappresentazioni dell’identità, anche se non coincidono, sono profondamene intrecciate tra di loro. Per esempio, il mio modo di vedermi è in larga misura il riflesso della maniera in cui mi guardano gli altri e della maniera in cui io so che gli altri mi vedono, con il risultato che molto spesso i giudizi che esprimiamo o riceviamo sono improntati sulla malafede, sulla cortesia, o godono di una benevolenza parentale ed amicale.

L’identità soggettiva indica anche la capacità degli individui di aver una coscienza dell’esistere e di “permanere” attraverso tutte le fratture dell’esperienza.

In filosofia è stato John Locke (1632-1704), nel Saggio sull’intelligenza umana, ad affrontare alla radice il tema dell’identità soggettiva in un’epoca in cui entra in crisi la vecchia rappresentazione metafisica e religiosa dell’anima intesa come un’ancora che ci tiene legati al senso del mondo e del suo divenire attraverso il tempo.

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È opinione condivisa che gli atti alimentari riflettono la nostra personalità. Se gli alimenti che ingeriamo sono indispensabili alla vita, il nostro gusto, lo stile con cui mangiamo, les nos manières de table ci situano nel mondo e nella società.

La nostra identità, da questo punto di vista, si costruisce attraverso le abitudini dell’infanzia, i modi alimentari della classe alla quale apparteniamo o quella alla quale vorremmo appartenere, dalle nostre relazioni familiari.

Dal “Man ist was Mann isst” a “Dimmi quello che mangi e in che modo mangi e ti dirò chi sei”, il passo è breve, a tal punto che certe teorie psicosomatiche parlano della bulimia, dell’obesità e dell’anoressia come segni di una incapacità ad esprimere i sentimenti, in particolare quelli di ostilità e di collera verso gli altri o verso se stessi

Obiettivo dell’esercitazione è la realizzazione di un autoritratto che esprima – attraverso il posto della prima colazione, come la prepariamo, quello che mangiamo – la nostra “identità soggettiva” o quello che riteniamo sia una rappresentazione di essa.
Utilizzare, come formule espressive, solo se stessi e gli elementi che compongono la propria sfera domestica.

L’autoritratto può essere elaborato con il mezzo espressivo che si ritiene più opportuno, disegno, foto, fumetto, collage, rappresentazione elaborata per via elettronica.

Ogni elaborato dovrà poi essere trasferito su un CD e consegnato alla cattedra dopo averlo illustrato.

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“…il mio modo di vedermi è in larga misura il riflesso della maniera in cui mi vedono gli altri e della maniera in cui io so che mi vedono gli altri: normalmente si “chiede” ad altre persone di dirci chi siamo. A questo punto, però, veniamo a trovarci in una situazione abbastanza spinosa, perché di norma non domandiamo a tutti gli altri di definirci e di illuminarci sul nostro carattere, ma operiamo una selezione tra le persone che reputiamo deputate a tal compito: esse sono essenzialmente i nostri familiari e i nostri amici. In questo modo accade che coloro che dovrebbe farci conoscere le nostre peculiarità caratteriali, sono proprio quelle persone che tendono a presentarci la versione più gradevole e più accettabile della nostra personalità. Di conseguenza, spesso si vengono a creare delle situazioni improntate sulla malafede, perché l’immagine di me stesso che mi sono creato risulta più favorevole dell’immagine che ho delle persone esterne alla cerchia più intima dei miei conoscenti.”

Giovanni Jervis.







































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Quando la cosa diventa idea. Un universo in miniatura. Una miniatura dell’universo – IED – Esercitazione 12 – 2010-2011

IED, Milano. Anno accademico 2010-2011

Cattedra di sociologia.
(Esercitazioni)
Esercitazione numero dodici.

Lunedì 21 marzo 2011.

*Quando la cosa diventa idea.
Un universo in miniatura. Una miniatura dell’universo.


Dapprima dolce e poi acidula, come il veleno, come il peccato, come la tentazione. Una superba miniatura del mondo, un mondo espugnato da Eros e attraversato dai vermi, un contradditorio simbolo della natura che muore.

Questa è la mela, regina di settembre, che i savants medioevali definivano un’opera del demonio, una metafora della jeune fille e dei suoi osceni tesori. Rossa di fuori, come le labbra dell’innamorata, come il sangue, come i tramonti che annunciano il tempo che cambia.

Bianca di dentro, come la neve, il latte, la ricotta che la lama del pastorello tagliando fa arrossare, bianca come i denti con i quali la si morde con voluttà, perché croccante nella sua agreste e sospetta freschezza, ambiguo trofeo che lega alle ali della passione Saffo e Santa Teresa, il godimento e la tragedia.

Con la sostanza di cui sono fatti i sogni gli uomini fabbricano da tempo immemorabile i segni con i quali popolano l’universo. In essi cercano la sua immagine, vicina o lontana, straniera agli occhi o familiare al cuore.

Questi segni aprono o chiudono il senso e aiutano a superare la barriera della parole.

L’Io, lo abbiamo appreso con Sigmund Freud, ha bisogno di referenze per rassicurarsi sulla sua identità, ma questa resta evanescente e spesso illusoria.

Attraverso il segno l’immagine rivela le sue trappole, l’immaginazione con il suo teatro d’ombre e, al tempo stesso, penetra nello spirito della civilisation. Sostituendo l’analogia alla logica il segno disperde ed unisce, s’irrigidisce e si liquefa, crea la “scrittura”, inspira la poesia e fa precipitare nel sacro, serve la tradizione e annuncia la novità, gli ancoraggi, le derive, si evolve.

La mela, dopo quelle verdi di Paul Cézanne, sono diventate la rappresentazione di una rappresentazione.

Un oggetto prezioso che ci accompagna dal tempo del regno di Sumer, con i suoi eccessi allegorici che il Medioevo ha sapientemente coltivato.

Essa ha oltrepassato e coltivato il suo significato simbolico, resistendo alle sventure gastronomiche e commerciali. Riposa sulle spalle di Atlantide con la sua forma, ha il gusto vivo dell’amore con il suo profumo, la sua linfa e la sua carne.

Tra le immagini è la più ricca nella sua semplicità, ha saputo evocare il godimento e il rischio, gli abiti culturali e le credenze popolari, gli inganni del politico e la vertigine dei misticismi.

Essa è oggetto vivo per i segreti del corpo, natura morta per i pittori, vecchio segno biblico, mistero monacale, dono del giardino celeste e utensile moderno al servizio della pubblicità, segno erotico di una sessualità senza ipocrisie, immagine organica e cosmica dell’innocenza vegetale, possessione e dono.

Nel suo ventre i suoi semi resistono alla putrescenza, marcano la specie, sono il germe dell’avvenire, il margine inevitabile di ogni storia.

Obiettivo dell’esercitazione è “di mettere a nudo” un carattere di questo frutto da usare come brand ed icona per una comunicazione sociale rivolta ai giovani allo scopo di combattere l’uso di sostanze stupefacenti.


Ogni gruppo può elaborare il progetto di comunicazione di questa esercitazione con il mezzo espressivo che meglio ritiene opportuno, disegno, foto, fumetto, collage, video, rappresentazione elaborata per via elettronica.

L’elaborato dovrà essere consegnato in copia su dischetto, accompagnato da una breve relazione esplicativa. Non sono accettati altri supporti.











































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