Looking through the breakfast – IED Design – Esercitazione 1 – 2010-11

D – IED, Milano. Anno accademico 2010-2011

Cattedra di sociologia.
Esercitazione numero uno.

24 marzo 2011.
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LOOKING THROUGH THE BREAKFAST.

Foodportrait

L’identità soggettiva nelle scienze sociali è l’insieme delle proprie caratteristiche auto-percepite, costituisce un’identità fluida, difficile da circoscrivere, carica di ombre, con la quale dobbiamo fare in continuazione i conti. Essa, però, è anche tutto ciò che ci caratterizza, ci rende inconfondibili, ci consente di dare un senso all’idea di “Io”. In questo modo l’identità soggettiva serve sia ad identificarci che a discriminarci, producendo spesso degli stereotipi culturali che alimentano il pregiudizio.

Di contro l’identità oggettiva, che non necessariamente coincide con quella soggettiva, è la questione sulla quale convergono almeno tre rappresentazioni di ciò che siamo:

La nostra identità fisica, che si desume principalmente dal volto, dalla postura e dal sesso.

La nostra identità sociale, ovvero l’insieme di alcune caratteristiche quali l’età , lo stato civile, la professione, la classe di reddito.

La nostra identità psicologica, costituita dalla personalità che abbiamo, dalla conoscenza di sé, dallo stile di vita e di comportamento.

Sono identità che variano più o meno rapidamente e coscientemente. Più o meno indipendentemente da quello che noi vogliamo o siamo in grado di volere.

Va anche considerato che queste due rappresentazioni dell’identità, anche se non coincidono, sono profondamene intrecciate tra di loro. Per esempio, il mio modo di vedermi è in larga misura il riflesso della maniera in cui mi guardano gli altri e della maniera in cui io so che gli altri mi vedono, con il risultato che molto spesso i giudizi che esprimiamo o riceviamo sono improntati sulla malafede, sulla cortesia, o godono di una benevolenza parentale ed amicale.

L’identità soggettiva indica anche la capacità degli individui di aver una coscienza dell’esistere e di “permanere” attraverso tutte le fratture dell’esperienza.

In filosofia è stato John Locke (1632-1704), nel Saggio sull’intelligenza umana, ad affrontare alla radice il tema dell’identità soggettiva in un’epoca in cui entra in crisi la vecchia rappresentazione metafisica e religiosa dell’anima intesa come un’ancora che ci tiene legati al senso del mondo e del suo divenire attraverso il tempo.

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È opinione condivisa che gli atti alimentari riflettono la nostra personalità. Se gli alimenti che ingeriamo sono indispensabili alla vita, il nostro gusto, lo stile con cui mangiamo, les nos manières de table ci situano nel mondo e nella società.

La nostra identità, da questo punto di vista, si costruisce attraverso le abitudini dell’infanzia, i modi alimentari della classe alla quale apparteniamo o quella alla quale vorremmo appartenere, dalle nostre relazioni familiari.

Dal “Man ist was Mann isst” a “Dimmi quello che mangi e in che modo mangi e ti dirò chi sei”, il passo è breve, a tal punto che certe teorie psicosomatiche parlano della bulimia, dell’obesità e dell’anoressia come segni di una incapacità ad esprimere i sentimenti, in particolare quelli di ostilità e di collera verso gli altri o verso se stessi

Obiettivo dell’esercitazione è la realizzazione di un autoritratto che esprima – attraverso il posto della prima colazione, come la prepariamo, quello che mangiamo – la nostra “identità soggettiva” o quello che riteniamo sia una rappresentazione di essa.
Utilizzare, come formule espressive, solo se stessi e gli elementi che compongono la propria sfera domestica.

L’autoritratto può essere elaborato con il mezzo espressivo che si ritiene più opportuno, disegno, foto, fumetto, collage, rappresentazione elaborata per via elettronica.

Ogni elaborato dovrà poi essere trasferito su un CD e consegnato alla cattedra dopo averlo illustrato.

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“…il mio modo di vedermi è in larga misura il riflesso della maniera in cui mi vedono gli altri e della maniera in cui io so che mi vedono gli altri: normalmente si “chiede” ad altre persone di dirci chi siamo. A questo punto, però, veniamo a trovarci in una situazione abbastanza spinosa, perché di norma non domandiamo a tutti gli altri di definirci e di illuminarci sul nostro carattere, ma operiamo una selezione tra le persone che reputiamo deputate a tal compito: esse sono essenzialmente i nostri familiari e i nostri amici. In questo modo accade che coloro che dovrebbe farci conoscere le nostre peculiarità caratteriali, sono proprio quelle persone che tendono a presentarci la versione più gradevole e più accettabile della nostra personalità. Di conseguenza, spesso si vengono a creare delle situazioni improntate sulla malafede, perché l’immagine di me stesso che mi sono creato risulta più favorevole dell’immagine che ho delle persone esterne alla cerchia più intima dei miei conoscenti.”

Giovanni Jervis.







































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