LA COMUNICAZIONE NELLA SOCIETA’ MULTIETNICA – 1a lezione

Il numero di Dunbar. (I sei gradi di separazione)

Riassunto provvisorio: Nel 1998 Robin Dunbar pubblicò uno studio “The Social Brain Hypothesis”  nel quale sostenne che l’evoluzione ha progettato la neocorteccia cerebrale in modo da gestire un numero di relazioni sociali non superiore a 150. 

Robin tudiò inizialmente alcuni gruppi di scimpanzè impegnati nell’attività di spulciamento (grooming) e notò che i membri potevano anche cambiare gruppo ma il numero massimo di membri del gruppo non cambiava.  A seguito di questa osservazione studiò la formazione di comunità umane nel Neolitico e ne dedusse che 150 è il numero medio di relazioni in un gruppo che ha un forte incentivo a rimanere unito per motivi di sopravvivenza (come una tribù o un villaggio).
Questo numero, detto ‘numero di dunbar’ non può essere superato a causa del deterioramento dei rapporti esistenti dovuto all’assenza di interazioni. 

Nella cerchia sociale di ogni individuo esistono vari gruppi con diversi gradi di intimità e di frequenza di contatto: dal gruppo più intimo a quello più allargato dei semplici conoscenti.
Secondo Dunbar l’espansione delle cerchie avviene secondo un multiplo di 3-3,5: se il primo gruppo è composto di 5 persone (i  familiari più stretti) il secondo gruppo sarà composto di altre 10 persone (che sommate alle precedenti fa 15) e così via. Ecco un’ipotesi di composizione di un gruppo sociale:
1° gruppo: max 5 persone con rapporti quotidiani (nucleo familiare)
2° gruppo max 15 persone (compreso il gruppo precedente) con rapporti settimanali (parenti di 2°grado e amici)
3° gruppo max 50 persone  (compreso il gruppo precedente) con rapporti mensili (amici)
4° gruppo max 150 persone (compreso il gruppo precedente) con rapporti annuali (amici e conoscenti)

Robin Ian McDonald Dunbar è un antropologo inglese, specialista di psicologia evolutiva e studioso del comportamento dei primati.  Insegna ad Oxford. 

A lui si deve la formulazione di questa legge empirica (che pubblicò nel 1990) conosciuta con il nome di Numero di Dunbar

Che cosa rappresenta questo numero?

Il limite teorico di persone con le quali un qualsiasi soggetto può mantenere e coltivare stabili rapporti sociali.  

Oltre questo limite per mantenere stabile una comunità di rapporti occorre che i soggetti siano coinvolti tra di loro, per esempio, da disposizioni normative di natura restrittiva, come avviene nelle forze armate o nei collegi.   

L’oscillazione di questo numero può sembrare grande perché va da cento a duecentotrenta persone, tuttavia è intorno a centocinquanta che si ha il picco dei casi. 

Dunbar, successivamente, ipotizzò che questo numero è direttamente legato alle dimensioni della neocorteccia o, meglio, alla capacità di elaborazione neocorticale dei soggetti. 

Se immaginassimo questo numero come un’area vedremmo che al centro ci sono le relazioni che abbiamo in questo momento e alla periferia le persone che abbiamo perso di vista crescendo o cambiando il nostro modo di vivere. 

Come ha fatto Dunbar ad elaborare questa legge empirica? 

Studiando il comportamento degli scimpanzé e la loro attività sociale principale, il grooming, un termine inglese che indica l’attività per mantenersi puliti, cioè, lo spulciarsi reciproco degli scimpanzé.

Il grooming rappresenta una pratica collettiva che si realizza seguendo precise norme di comportamento condiviso, perché, oltre a mantenere il corpo libero dai parassiti, rafforza le strutture sociali, facilita la sessualità e concorre alla soluzione delle dispute.  

Lavorando sul campo con una colonia di scimpanzé Dunbar si rese conto che all’interno di essa c’erano diversi gruppi che praticavano tra di loro il grooming, ma un fatto lo incuriosì, i membri di ogni gruppo potevano anche cambiare, ma non il loro numero che si manteneva stabile

Decise di verificare se anche per gli uomini si verificasse qualcosa di simile. 

Per farlo studiò lo sviluppo della società umana dal neolitico ai nostri giorni e il modo di formarsi delle comunità sociali, soprattutto dal punto di vista della loro grandezza.  

Ne dedusse che a prescindere dalla circostanze c’era una tendenza in esse ad oscillare intorno ai centocinquanta individui e abbozzò anche una similitudine tra il grooming degli scimpanzé e il linguaggio dei gruppi umani inteso come uno strumento di pulizia sociale

Vale a dire come un mezzo per mantenere coesa la comunità riducendo al minimo la necessità di un’intimità fisica e sociale. 

Una circostanza che tra l’altro favorisce lo sviluppo dell’individualità non conflittuale. 

In altre parole, il limite di centocinquanta rappresenta la soglia numerica entro la quale è possibile dare spazio e porre in essere rapporti interpersonali e conoscitivi che consentano di conoscere chi è una data persona e come interagisce socialmente verso ogni altra persona della comunità.

Come ogni legge empirica la si può verificare. 

Partite da un individuo e dalla sua famiglia, sommate il cerchio dei parenti diretti e indiretti, degli amici, dei conoscenti.  Aggiungeteci le persone che incontra con una certa frequenza, il portinaio, il panettiere, il giornalaio, il medico, il dentista, poi la sfera delle conoscenze passate che sono rimaste vive nella sua memoria ed avrete il suo numero di Dunbar. 

L’eventuale scarto per arrivare a centocinquanta esprime il numero delle conoscenze con le quali il soggetto svilupperebbe nuovi rapporti di interazione o di collaborazione se ne avesse l’occasione. 

Se invece il numero è superiore a centocinquanta il soggetto in questione, stante così le cose, difficilmente tenderà ad allargare le sue conoscenze.  

Questa ricerca sarebbe rimasta confinata nei testi universitari se non fosse che attirò l’attenzione dei programmatori di software sociali, che incominciarono a tenerlo presente per valutare la dimensione delle reti sociali

Oggi, per esempio, è tenuto in considerazione in campo militare, nelle aziende, negli organismi pubblici, negli studi epidemiologici e nelle università. 

Viene regolarmente usato nello studio della comunità di Internet, di Facebook e di MySpace

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Una nota sulla  prossemica

Riassunto provvisorio:  Il termine inglese proxemics, derivato di proximity, “prossimità”, è stato introdotto dall’antropologo americano E.T. Hall negli anni Sessanta del 20° secolo per indicare lo studio dello spazio umano e della distanza interpersonale nella loro natura di segno. La prossemica indaga il significato che viene assunto, nel comportamento sociale dell’uomo, dalla distanza che questi interpone tra sé e gli altri, tra sé e gli oggetti, e, più in generale, il valore che viene attribuito da gruppi culturalmente o storicamente diversi al modo di porsi nello spazio e di organizzarlo, su cui influiscono elementi di carattere etnologico e psicosociologico. Nell’impostazione filosofica della fenomenologia, il riconoscimento dell’intenzionalità della coscienza conduce alla nozione di una spazialità umana non geometrica ma vissuta, che non può essere esplorata al di fuori del rapporto costitutivo con il mondo.

La prossemica è una disciplina che studia lo spazio e le distanze all’interno di una comunicazione sia verbale che non verbale. 

Li studia al fine di gestirli. 

Questo spazio può essere reale o immaginario, soggettivo o oggettivo, mentre le distanze possono essere fisiche, psicologiche, sociali, funzionali, culturali. 

Il termine di prossemica (in inglese, proxemics) per alcuni è formata da due parole greche, pros presso e sema segno, che rinvia al controllo dello spazio.  In questo senso è anche definita una semiologia degli spazi

Definizione che si adatta anche a un’altra versione sull’etimologia del termine, che la fa derivare da prox(imity), prossimità.

In ogni modo, il termine fu coniato nel 1963 dall’antropologo americano Edward  Hall che la impiegò nel suo libro La dimensione nascosta.  . 

Hall è stato uno dei protagonisti degli studi culturali (cultural studies). 

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Edward Twitchell Hall (1914-2009) è stato uno studioso di antropologia che si è occupato prevalentemente di prossemica.  Ha scritto The hidden dimension nel 1966 (prima edizione Doubleday & Co. Inc., New York), edito in Italia dalla casa editrice Bompiani nel 1968, con il titolo La dimensione nascosta. In questo libro, un’introduzione alla prossemica, osserva come i comportamenti degli animali e delle persone rispondano a regole socio-culturali precise e ne elabora alcune deduzioni.   Un altro suo titolo è Il linguaggio silenzioso.

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Per venire alla prossemica, Hall notò che la distanza tra le persone è sempre correlata alla distanza fisica.

Partendo da questa osservazione definì quattro zone interpersonali. 

– La distanza intima che resta confinata entro i cinquanta centimetri. 

– La distanza personale compresa tra i cinquanta centimetri e il metro e trenta.  È la distanza più favorevole allo sviluppo dell’interazione tra gli amici.

– La distanza sociale per la comunicazione tra conoscenti che va da un metro e mezzo ai tre metri e mezzo.  

– La distanza pubblica, che si estende oltre i tre quattro metri, è quella delle pubbliche relazioni. 

Naturalmente non sono misure tassative perché dipendono da molti fattori culturali, sociali e ambientali. 

È ovvio che la distanza alla quale ci sentiamo a nostro agio cambia a seconda se siamo italiani, svedesi o giapponesi.  

Qualche curiosità. 

Gl’arabi tendono a stare molto vicini, quasi gomito a gomito. 

Gli orientali si sentono più a loro agio se sono oltre l’estensione del braccio. 

In India il sistema delle caste ha un complicato codice delle distanze che va fino all’intoccabilità.  In ogni modo i paria devono stare ad almeno trentanove metri dai bramini. 

Anche il sesso determina la posizione. 

Gli uomini tendono a stare uno di fianco all’altro, le donne una di fronte all’altra. 

Quando gli europei salgono in un ascensore collettivo si dispongono appoggiandosi alle pareti, gli americani, invece, si mettono uno accanto all’altro con il viso rivolto alla porta…chissà perché?

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La teoria dei sei gradi di separazione.

Riassunto provvisorio:  Con l’espressione di grado di separazione viene definita l’unità che indica il numero di passi minimi che in media si devono fare per raggiungere un nodo qualsiasi di una rete (informatica o sociale) partendo da un qualunque altro nodo. 

Il problema insito in questa operazione è costituito dalla difficoltà di misurare tutte le traiettorie. Così, se i primi esperimenti si sono attuati negli anni Sessanta del secolo scorso con strumenti rudimentali (quando lo psicologo statunitense Stanley Milgram valutava che servivano in media sei gradi di separazione per collegare due sconosciuti tra loro), è soltanto negli ultimi anni che si è arrivati a definire matematicamente l’indicatore grazie ai dati accumulati dalle reti informatiche e alla crescita della capacità di calcolo. 

I gradi di separazione  sono espressi da uno dei due parametri chiave delle reti, la lunghezza caratteristica che, insieme al coefficiente di aggregazione, permette di valutarne le peculiarità strutturali. 

Sono stati fatti numerosi esperimenti per calcolare i gradi di separazione: nel 2001 una ricerca di Duncan Watts, della Columbia University, effettuata utilizzando il movimento di un messaggio di posta elettronica, ha ottenuto come risultato un valore medio di 6.  Nel 2006 ricercatori della Microsoft, analizzando le conversazioni su MSN Messenger, hanno ottenuto in media 6,6.  Nel 2011 informatici dell’università degli studi di Milano hanno calcolato i gradi di separazione tra tutte le coppie di individui su Facebook, ottenendo in media 3,74.

Da alcuni anni a questa parte è la legge empirica che ha sollevato in rete molte polemiche così come  i dibattiti più strampalati. 

C’è chi la considera assolutamente attendibile e chi le nega ogni attendibilità, soprattutto ha colpito l’immaginario di matematici, psicologi, scrittori e cineasti a cominciare dal film Six degrees of separation, del 1993, con la regia di Fred Schepisi e la partecipazione di Donald Sutherland.  Tratto da una commedia teatrale di John Guare. 

Procediamo con ordine. 

È stato lo psicologo americano Stanley Milgram (1933-1984) ad elaborare nel 1967 questa teoria detta dei sei gradi di separazione, secondo la quale sulla terra ogni essere umano è separato da un altro essere umano da un massimo di sei passaggi di conoscenza diretta. 

In teoria conoscere Angelina Jolie, Brad Pitt o Donald Trump è più facile di quanto uno non immagini. 

Secondo Milgram se tu conosci qualcuno, che conosce qualcuno, che conosce qualcuno…entro sei contatti arrivi a conoscere chi vuoi. 

Naturalmente Milgram non si è limitato ad enunciarla, l’ha dimostrata più volte sperimentalmente, anche se molti in passato hanno messo in dubbio i suoi risultati. 

Le ragioni del dubbio non sono sempre scientifiche considerato che questo psicologo, di origine ebraica, in tutta la sua carriera universitaria ha sempre cercato di dimostrare le radici oscure e gli intrecci perversi tra ogni forma di potere e di ubbidienza.   

In ogni modo, il primo esperimento dimostrò come un gruppo di studenti del Nebraska fosse in grado di venire in contatto con degli sconosciuti, nello stato del Massachusetts, scelti a caso. 

Tutto ha inizio a partire da due circostanze.   

– Una tesi elaborata a livello letterario nel 1929 dallo scrittore ungherese Frigyes Karinthy e contenuta nel suo racconto “Catene”. 

– Una ricerca di alcuni ricercatori del MIT, degli anni ’50 del secolo scorso tesa ad elaborare una risposta a questa domanda a cavallo tra le scienze sociali e le ricerche di mercato: Dato un insieme di persone qual è la probabilità che ognuna di queste persone sia connessa ad un’altra attraverso un certo numero di collegamenti? 

In quegli anni furono avanzate molte ipotesi, ma nessuna soddisfacente. 

Nel 1967, Milgram, che si era interessato a molte ricerche intorno al tema dell’interazione sociale, trovò un sistema per verificare una sua teoria che definì “teoria del mondo piccolo”

Milgram selezionò a caso un gruppo di abitanti del Midwest e chiese a ciascuno di loro di mandare un pacchetto ad un estraneo che abitava nel Massachusetts, vale a dire a diverse migliaia di chilometri di distanza. 

Ognuno di costoro conosceva il nome del destinatario, la sua occupazione, e la zona in cui risiedeva, ma non l’indirizzo preciso. 

In pratica fu spiegato a ciascuno dei partecipanti all’esperimento di spedire il proprio pacchetto a una persona conosciuta, che a loro giudizio avesse il maggior numero di possibilità di conoscere il destinatario finale. 

Quella persona avrebbe poi fatto lo stesso con un’altra persona di sua conoscenza e così via fino a che il pacchetto non venisse personalmente consegnato al destinatario finale.

Tutti si aspettavano che la catena dovesse includere decine di intermediari, invece ci vollero in media solo tra i cinque e i sette passaggi per far arrivare il pacchetto al destinatario finale. 

Questo esperimento di Milgram fu poi pubblicato in Psycology today e da qui nacque l’espressione di sei gradi di separazione.

In termini matematici questa teoria non è difficile da spiegare. 

Se supponete di conoscere diciamo un centinaio di persone che a loro volta ne conoscono un centinaio, e questi un altro centinaio, eccetera, voi vedete che cento alla sesta è un numero molto vicino al numero degli abitanti della terra. 

Poi, con il diffondersi dell’informatica questa teoria è divenuta sempre più famosa ed ha trovato numerose applicazioni. 

Ma perché questa teoria è importante a parte riuscire a conoscere Angelina Jolie?   

Perché, tralasciando il numero dei passaggi, che è puramente convenzionale, questa teoria ci consente di studiare le relazioni tra le persone come se fossero una rete e, dunque, di costruire degli importanti modelli, per esempio nell’ambito delle ricerche epidemiologiche, in particolare nella diffusione delle malattie infettive, così come in campi più frivoli com’è lo studio sulla diffusione dei messaggi pubblicitari.  

Una curiosità.

Cinque o sei anni fala teoria dei sei gradi di separazione l’abbiamo applicata anche allo IED per delle esercitazioni sul giro del mondo in sei contatti, i risultati sono stati più che buoni, potete vedere l’esercitazioni sul sito in cui metteremo gli appunti.      

Nel 2003 la Columbia University realizzò il più grande esperimento in rete con la teoria dei sei gradi di separazione. 

Questo esperimento, condotto dal sociologo Duncan Watts, coinvolse più di sessantamila persone in 166 paesi del mondo. 

L’obiettivo era rintracciare diciotto persone sconosciute di tredici paesi diversi sorteggiati dagli elenchi telefonici. 

(Che tipo di persone? Un archivista in Estonia, un veterinario in Norvegia, un consulente informatico in India, un poliziotto in Australia…ecc.). 

La ricerca dimostrò che sono sufficienti da cinque a sette passaggi in rete per giungere a destinazione con il solo aiuto di amici e conoscenti. 

Questa ricerca è stata pubblicata sulla popolare e prestigiosa rivista scientifica “Science” da Peter Sheridan della Columbia University.   

Per chi è interessato ad approfondire questi temi suggeriamo la lettura di: Albert-László Parabasi, Link. La scienza delle reti, Torino, 2004.  E di Mark Buchanan, Nexus, Milano, 2003. 

Un ultima osservazione. 

Molti di voi frequentano i “social network”, ma pochi sanno che il primo network, o meglio il primo servizio online a includere la possibilità di creare uno spazio virtuale in cui realizzare il proprio profilo e di poter avere una rete con la quale comunicare, è stato Sixdegrees.com., creato nel 1997 e chiuso nel 2001. 

Quando fu chiuso aveva un milione di utenti, un successo, ma non produceva reddito. 

L’obiettivo di questo sito era di realizzare un luogo d’incontri facile da usare e non manipolabile, ma aveva un inconveniente nonostante s’ispirasse alla teoria del piccolo mondo di Milgram non consentiva che due soli gradi di separazione,  gli amici e gli amici degli amici. 

Oggi si dovrebbe dire quattro gradi e cinquanta circa di separazione, se sono corrette le argomentazioni di due professori dell’Università Statale di Milano che lavorano nel laboratorio di Web Algorithmics del Dipartimento di scienze dell’informazione, che hanno collaborato ad una ricerca sul teorema di Milgram con l’università di Palo Alto, in California e con Mark Zuckerberg, l’ideatore di Facebook

Il tema centrale di questa nuova ricerca, che ha interessato sia il web che i mass-media cartacei, è stato quello di verificare come le relazioni interpersonali cambiano con la digitalizzazione.  

Come è oramai risaputo da tempo Facebook ha reso il mondo più piccolo ed ha cambiato molti aspetti delle relazioni sociali. 

I due ricercatori milanesi hanno applicato la teoria del mondo piccolo di Milgram ai settecento milioni e passa di utenti attivi sul social network di Mark Zuckerberg  per un totale di circa settanta miliardi di relazioni. 

Il risultato è stato che la distanza media tra due persone è pari a 4,74 e tende a scendere. 

In altre parole il mondo si è ulteriormente rimpicciolito rispetto alle prime ricerche di Milgram

Se poi si restringe l’ambito della ricerca ad una sola nazione – che rappresenta mediamente l’84 per cento delle amicizie – si può scendere fino a tre gradi di separazione, cioè a quattro passaggi

Per concludere, legando questi risultati al numero di Dunbar, si osserva che la maggior parte dei contatti in Facebook e con persone della nostra età anche se mediamente il numero di amici è intorno a 190 per il cinquanta per cento degli utenti si ferma intorno a 100.   

È un classico paradosso della rete che tecnicamente s’iscrive nell’ambito dei contanti da rimbalzo, ma che è sintetizzato dalla formula: gli amici degli amici sono più dei nostri amici.

Un dato.  La ricerca della Statale ha riguardato 721 milioni di utenti attivi su Facebook, cioè più del dieci per cento della popolazione mondiale stimata. 

Quando un tempo si parlava dei sei gradi di separazione la domanda provocatoria che veniva rivolta agli studenti era: Volete conoscere Angelina Jolie o Brad Pitt? 

Oggi in questo contesto è tutto cambiato. 

Se siete seduti in bar di un aeroporto oppure, se siete sul marciapiede di una stazione in attesa di un treno, molto probabilmente una delle persone che vi stanno accanto conosce un vostro amico o un amico di un amico dei vostri amici.  

(Settembre 2018)

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ISTRUZIONI PER IL WORKSHOP

ISTRUZIONI PER IL WORKSHOP

Là dove c’è pericolo la vita anche matura.

Friedrich Hölderlin

Lo stato di eccezione che stiamo attraversando ci ha obbligato a rivedere e cambiare molte delle nostre abitudini.  A riconsiderare comportamenti e routine.  A ripensare l’ovvio. 

Un workshop, nel nostro caso, è un’avventura di studio che si costruisce a partire da alcune linee guida, ma che si inventa lezione dopo lezione, nella relazione docente-studenti, che – con occhio critico – coglie nella storia degli uomini, delle cose e delle passioni ciò che li accomuna nella diversità e ciò che li divide nelle affinità, evitando il semplicismo della trappola di amico/nemico. 

Il workshop si compone di dieci lezioni, per realizzarlo procederemo in questo modo. 

Nelle date indicate per queste lezioni vi sarà messo in rete il corrispettivo testo monografico, le eventuali glosse a margine, l’eventuale esercitazione e i contributi visuali.

Per superare il workshop lo studente dovrà portare a termine un’esercitazione a sua scelta e una fissa di fine corso, stabilita del docente. 

Il tema dell’esercitazione a scelta dovrà essere selezionato all’interno di una delle prime otto lezioni e svolto nel modo più efficacie utilizzando gli strumenti della comunicazione visuale.  L’esercitazione dovrà poi essere trasmessa nei modi e nei tempi indicati. 

Il tema dell’esercitazione finale sarà scelto dal docente e comunicato per tempo. 

Il docente – tramite la e-mail del sito – è a vostra disposizione.  A tutti sarà risposto. 

gesmos@gmail.com

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L’argomento del workshop è: LA COMUNICAZIONE NELLA SOCIETA’ MULTIETNICA. 

Una premessa.

I processi di globalizzazione e di urbanizzazione accompagnati da un aumento significativo della desertificazione e da un forte incremento dei flussi migratori hanno prodotto due effetti che ci interessano:

– da un lato la necessità/opportunità di confrontarsi con popolazioni (e in sub ordine con mercati, us e abitudini) in passato “lontani”

– dall’altro lo sviluppo e la coesistenza sullo stesso territorio, coesistenza più o meno integrata, di comunità di origine ed etnia diverse.

In particolare, nelle società “nord-occidentali”, che occupano la fascia temperata del pianeta, persone dalle provenienze più disparate condividono spazi, servizi, bisogni, aspettative in una grande mescolanza di tradizioni, abitudini, linguaggi, religioni, convinzioni politiche.

In questo modo, colori, immagini fotografiche, simboli e segni grafici, parole, concetti, nomi, comportamenti individuali e collettivi assumono significati differenti (talvolta opposti) come nel caso di un designer europeo, un commerciante cinese, un operaio nordafricano, un programmatore indiano, un profugo medio-orientale, una badante ucraina.

Questo workshop vuole affrontare, con un taglio antropologico, il tema della comunicazione tra individui di etnia, storia, cultura, religione, lingua differenti, fornendo agli studenti le conoscenze e gli strumenti concettuali di base per comprendere queste differenze e confrontarsi – progettando comunicazione – con maggior consapevolezza in una collettività sempre più multi-etnica e multi-culturale.

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SOGNANDO UNA NUOVA ALLEANZA! – IED – Esercitazione 17 dicembre 2012

IED, Milano. Anno accademico 2012-2013

Cattedra di sociologia.

Esercitazione – 17 Dicembre 2012.

SOGNANDO UNA NUOVA ALLEANZA!

Nell’estate del 2012 una ventina di attivisti “animalisti” radicali degli Stati Uniti e del Canada hanno dato vita a un TOUR multidisciplinare che ha toccato dodici città della West Coast, portandovi musica, notizie e denunce della vivisezione. Per l’occasione è stato proiettato il  film del regista canadese Karol Orzechowski intitolato  MTD – Maximum Tolerated Dose.

La MTD è la dose massima di una sostanza chimica che può essere assorbita da un organismo vivente senza che questo incorra nella morte o in altri effetti nocivi

E’ un inizio. Nel corso del 2013 l’Open the Cages Tour conta di ripetere l’operazione con le prigioni della morte sulla East Coast.

Non esistono animali superiori e inferiori, così come non esistono razze umane
superiori e inferiori, ma esistono esseri viventi dotati di peculiarità uniche ecome tali rispettabili e inviolabili.

“Il problema non è: Possono ragionare?, né: Possono parlare?, ma: Possono soffrire?”
Jeremy Bentham.

Con l’invenzione della voce e l’abilità acquisita dalla mano nell’impugnare una pietra
resa tagliente dall’arguzia il
pan sapiens divenne un lupo per se stesso e
gli altri esseri viventi condannandosi ad un mondo che gli si è rivelato sempre più ostile.

Bernard Rosenthal.

Premessa. La Chiamano antropocene. È la prima era geologica in cui una sola specie ha la possibilità di governare l’evoluzione, ma non ha abbastanza saggezza per gestirne il cambiamento, da qui le minacce che incombono sul clima, sull’ambiente e sulle specie viventi sopravvissute alla modernità.

Tuttavia, da qualche tempo a questa parte è sempre più condivisa nell’ambito degli studi umanistici l’idea di una crisi irreversibile delle ragioni che per secoli hanno giustificato lo specismo e con esso il fondamento antropocentrico della tradizione prima religiosa e poi filosofica occidentale.

Questa crisi ha superato il punto di guardia della “questione etica” – che il riformatore Jeremy Bentham affrontò con sensibilità e autorevolezza nei primi anni dell’800 – diventando un nuovo modo per riconsiderare il nostro essere uomini e donne e dunque il nostro essere umani di fronte all’animalità.

In una prospettiva ontologica troppo sangue, dolore e violenza c’inducono a ritenere che l’antica distinzione – umano/animale – non sia più sostenibile e che è arbitrario pensare l’Altro da noi a partire dal volto dell’uomo, almeno da quando la nozione di umanità è sparita dal registro della com.passione.

L’antispecismo è un movimento di riscatto della dignità dell’esserci (Dasein) che ha profonde radici culturali e politiche, diffuso dappertutto nel mondo, soprattutto tra i giovani.

In particolare l’antispecismo rifiuta la discriminazione arbitraria fondata sui presunti valori “metafisici” della specie umana. Esso sostiene che la sola appartenenza biologica ad una specie diversa da quella umana non giustifica moralmente o eticamente il diritto di disporre della sua vita, della sua libertà e del suo lavoro di essere senziente o ridotto in schiavitù.

In questo senso gli antispecisti si battono affinché gli interessi degli “animali non umani” vengano considerati fondamentali in sé tanto quanto quelli degli umani, cercando di destrutturare i luoghi comuni di effimere certezze millenarie e di ricomporre la società umana in base a criteri di equità che non causino sofferenze inutili, e quindi evitabili, alle altre specie viventi e danni al pianeta.

Le capacità di sviluppare il sentire, di provare sensazioni, come il piacere o il dolore, di interagire con l’ambiente, di manifestare una volontà e dei desideri, di intrattenere rapporti sociali, non sono mai state, se non ricorrendo ad un interessato autoinganno, prerogative esclusive della specie umana.

Pertanto queste capacità negli animali (per la Bibbia sono anime viventi) suggeriscono e impongono da tempo immemorabile una revisione del loro status. Semplicemente essi dovrebbero essere definiti “persone non umane” a cominciare da subito dalla famiglia Hominidae e decretando una moratoria per tutti gli altri già condannati dalla ferocia degli interessi economici dell’uomo.

Né deriverebbe una trasformazione profonda dei rapporti tra le specie tale da prefigurare un rapido e radicale ripensamento della società così come oggi la viviamo trasformandola in una reale comunità di esseri viventi più giusta, solidale, libera e compassionevole.

In questo senso l’antispecismo si oppone allo specismo (°) inteso come un pensiero unico dominante della modernità basata sulla legge del diritto del più forte e sulla repressione del più debole, orientata alla difesa dell’interesse personale e del patrimonio, a discapito dei diritti, dell’uguaglianza e della solidarietà nei confronti dei più deboli tra gli animali umani e non umani.

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Gli studenti possono partecipare a questa esercitazione in due modi.

Primo. Progettare un manifesto, una spilla e una t-shirt per una giornata di riconciliazione dell’uomo con gli animali e l’ambiente fondata non sulla pietà, ma sulla ragione, non sull’orrore da mascherare, ma sul riconoscimento dei valori della vita nella convinzione che una sola morte ancora è una morte di troppo.

Secondo. Realizzare un breve filmato (max. 5 minuti) che contenga questo messaggio: no all’uso della vita, della sofferenza e della libertà degli animali per la sperimentazione, la produzione e la ricerca. Sì al riconoscimento degli animali come “persone non umane”.

Di ognuna delle lezioni (arte) – del lunedì, del martedì e del mercoledì – che riunisce più classi possono partecipare a questa esercitazione i primi dieci studenti o coppie di studenti che s’iscriveranno inviando i loro dati ( nome cognome, classe, numero di matricola) all’e-mail: gesmos@gmail.com. Fa testo per l’iscrizione l’ordine di ricevimento, per ogni chiarimento contattare l’arch. Giulia Tacchini.

Ai primi tre elaborati sarà riconosciuto un punteggio di quattro punti da aggiungere al voto finale. Se il voto finale è superiore al ventotto vale la lode. Al quarto e quinto elaborato saranno riconosciuti due punti da aggiungere al voto finale.

A giudizio del docente altri punti saranno eventualmente assegnati agli elaborati particolarmente significativi.

(Questa esercitazione è realizzata con la collaborazione di Vanna Brocca, direttore responsabile del giornale della LEAL – Lega Antivivisezionista.)

, (°) – Lo specismo è un pensiero discriminatorio fondato sull’idea che gli animali appartenenti alla specie umana abbiano diritti superiori a quelli appartenenti alle specie non-umane.

Alla base dello specismo vi è una visione antropocentrica della natura che affonda le proprie radici sia in una errata interpretazione del darwinismo, che nella religione (Dio avrebbe creato gli animali non-umani per porli al servizio degli animali umani) o, semplicemente, nell’ignoranza.

Il termine specismo è stato coniato nel 1970 da Richard Ryder, uno psicologo inglese animalista, e successivamente delineato, soprattutto da un punto di vista etico, da Peter Singer, un filosofo di origine australiana, che lo ha definito:“Un pregiudizio o atteggiamento di prevenzione a favore degli interessi dei membri della propria specie e a sfavore di quelli dei membri di altre specie”.

Non si nasce specisti ma lo si diventa per ragioni culturali. Fin dall’infanzia ci viene detto che è “naturale” pensare che gli esseri umani hanno diritti (alla vita, alla felicità, alla libertà, all’autonomia) che le altre specie viventi invece non hanno. E’ specista il linguaggio, sono speciste le leggi, sono specisti il pensiero dominante e quello non-dominante, le forme del pensiero politico e del pensiero religioso (salvo il giainismo e alcune componenti del buddhismo).

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