Da Dunbar a Milgram e i sei gradi di separazione

Lezioni monografiche:

Da Dunbar a Milgram e i sei gradi di separazione.

(Traccia)

Il numero di Dunbar.

Robin Ian McDonald Dunbar è un antropologo inglese e uno specialista del comportamento dei primati. Insegna ad Oxford. A lui si deve la formulazione di questa legge empirica che va sotto il nome di Numero di Dunbar.

Che cosa rappresenta questo numero?

Il limite teorico di persone con le quali un qualsiasi soggetto può mantenere e coltivare stabili rapporti sociali.

Oltre questo limite per mantenere stabile una comunità di rapporti occorre che i soggetti siano coinvolti, per esempio, in disposizioni normative di natura restrittiva, come avviene in un esercito.

L’oscillazione di questo numero può sembrare grande perché va da cento a duecentotrenta persone, ma intorno a centocinquanta si ha la frequenza maggiore dei casi.

Dunbar, successivamente, ha ipotizzato che questo numero è direttamente legato alle dimensioni della neocorteccia o, meglio, alla capacità di elaborazione neocorticale dei soggetti.

Se immaginiamo questo numero come un’area vedremo che al centro ci sono le relazioni che abbiamo in questo momento e alla periferia persone che abbiamo perso di vista crescendo o cambiando il nostro modo di vivere.

Come ha fatto Dunbar ad elaborare questa legge empirica?

Osservando il comportamento degli scimpanzé e la loro attività sociale principale, il grooming.

Questo termine inglese indica l’attività per mantenersi puliti, cioè lo spulciarsi reciproco degli scimpanzé.


Costituisce una pratica collettiva che si esegue seguendo precise norme di comportamento condiviso, perché oltre a mantenere il corpo libero dai parassiti rafforza le strutture sociali, facilita la sessualità e concorre alla soluzione delle dispute.

Studiando una colonia di scimpanzé Dunbar s’avvide che all’interno di essa c’erano diversi gruppi che praticavano tra di loro il grooming, ma un fatto lo incuriosì, i membri di ogni gruppo potevano anche cambiare, ma non il loro numero che si manteneva stabile.

Decise di verificare se anche per gli uomini si verificasse qualcosa di simile. Per farlo studiò lo sviluppo della società umana dal neolitico ai nostri giorni e il modo di formarsi delle comunità sociali, soprattutto dal punto di vista della loro grandezza. Ne dedusse che a prescindere dalla circostanze c’era una tendenza in esse ad oscillare intorno ai centocinquanta individui e abbozzò anche una similitudine tra il grooming degli scimpanzé e il linguaggio del gruppo inteso come uno strumento di pulizia sociale. Cioè, come un mezzo per mantenere coesa la comunità riducendo al minimo la necessità di un’intimità fisica e sociale. Un fatto che tra l’altro favorisce lo sviluppo dell’individualità non conflittuale.

In altre parole, il limite di centocinquanta rappresenta la soglia numerica entro la quale è possibile dare spazio e porre in essere rapporti interpersonali e conoscitivi che consentono di conoscere chi è ogni persona e come interagisce socialmente verso ogni altra persona della comunità.

Come ogni legge empirica la si può verificare. Partite da un individuo e dalla sua famiglia, sommate il cerchio dei parenti diretti e indiretti, degli amici, dei conoscenti. Aggiungeteci le persone che incontra con una certa frequenza, il portinaio, il panettiere, il giornalaio, il medico, poi la sfera delle conoscenze passate che sono rimaste vive nella sua memoria ed avrete il suo numero di Dunbar. L’eventuale scarto per arrivare a centocinquanta esprime il numero delle conoscenze con le quali il soggetto svilupperebbe nuovi rapporti di interazione o collaborazione se ne avesse l’occasione. Se il numero è superiore a centocinquanta il soggetto in questione, stante così le cose, difficilmente allargherà le sue conoscenze.

Questo numero sarebbe rimasto confinato nei libri universitari se non fosse che attirò l’attenzione dei programmatori di software sociali che incominciarono a tenerlo presente per valutare la dimensione delle reti sociali. Con quale scopo è facile intuirlo, mantenere e migliorare l’unità del gruppo, la sua coesione e il suo morale. Oggi, per esempio, è tenuto da conto in campo militare, nelle aziende, negli organismi pubblici e nelle università. Viene regolarmente usato nello studio della comunità di Internet, di Facebook e di MySpace.

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Appendice: La prossemica. La prossemica è una disciplina che studia lo spazio e le distanze all’interno di una comunicazione sia verbale che non verbale. Li studia al fine di gestirli.

Questo spazio può essere reale o immaginario, soggettivo o oggettivo, mentre le distanze possono essere fisiche, psicologiche, sociali, funzionali, culturali. L’espressione di prossemica (in inglese, prossemics) per molti è formata da due parole greche, pros presso e sema segno, che rinvia al controllo dello spazio. In questo senso è anche definita una semiologia degli spazi. Definizione che più si adatta ad un’altra versione sull’etimologia del termine, che la fa derivare da prox(imity), prossimità.

In ogni modo il termine fu coniato nel 1963 dall’antropologo americano Edward T. Hall ( 1914-2009) che lo usò nel suo libro La dimensione nascosta. La traduzione italiana è del 1968. Hall è stato per molti versi uno dei protagonisti degli studi culturali.

In breve Edward Hall notò che la distanza tra le persone è sempre correlata alla distanza fisica.

Partendo da questa osservazione definì quattro zone interpersonali.

– La distanza intima che resta confinata entro i cinquanta centimetri.

– La distanza personale compresa tra i cinquanta centimetri e il metro e trenta. È la distanza che sviluppa l’interazione tra gli amici.

– La distanza sociale per la comunicazione tra conoscenti che va da un metro e mezzo ai tre metri e mezzo.

– La distanza pubblica che si estende oltre i tre quattro metri e è quella delle pubbliche relazioni.

Naturalmente non sono misure tassative, ma dipendono da molti fattori culturali, sociali, ambientali.

È ovvio che la distanza alla quale ci sentiamo a nostro agio cambia a seconda se siamo italiani, svedesi o giapponesi.

Qualche curiosità. Gl’arabi tendono a stare molto vicini, quasi gomito a gomito. Gli orientali si sentono più a loro agio se sono oltre l’estensione del braccio. In India il sistema delle caste ha un complicato codice delle distanze che va fino all’intoccabilità. In ogni modo i paria devono stare ad almeno trentanove metri dai bramini. Anche il sesso determina la posizione. Gli uomini tendono a stare uno di fianco all’altro, le donne una di fronte all’altra.

Quando gli europei salgono in un ascensore collettivo si dispongono appoggiandosi alle pareti, gli americani, invece, si mettono uno accanto all’altro con il viso rivolto alla porta.

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La teoria dei sei gradi di separazione. Ovvero, volete conoscere Angelina Jolie o Brad Pitt?

Da alcuni anni a questa parte è la legge empirica che ha sollevato in rete le polemiche più aspre e i dibattiti più strampalati. C’è chi la considera assolutamente attendibile e chi le nega ogni attendibilità, soprattutto ha colpito l’immaginario di matematici, psicologi, scrittori e cineasti a cominciare dal film Six degrees of separation, del 1993, con la regia di Fred Schepisi e la partecipazione di Donald Sutherland. Tratto da una commedia teatrale di John Guare.

Andiamo con ordine.

È stato lo psicologo americano Stanley Milgram (1933-1984) ad elaborare nel 1967 questa teoria detta dei sei gradi di separazione, secondo la quale sulla terra ogni essere umano è separato da un altro essere umano da un massimo di sei passaggi di conoscenza diretta.

In teoria, dunque, conoscere Angelina Jolie, Brad Pitt o Barack Obama è più facile di quanto uno non immagini. Secondo questa teoria se tu conosci qualcuno, che conosce qualcuno, che conosce qualcuno…entro sei contatti arrivi a conoscere chi vuoi. Naturalmente Milgram non si è limitato ad enunciarla, l’ha dimostrata più volte sperimentalmente, anche se molti in passato hanno messo in dubbio i suoi risultati. Le ragioni non sono sempre scientifiche considerato che questo psicologo ebreo in tutta la sua carriera accademica ha sempre cercato di dimostrare le radici oscure e gli intrecci tra ogni forma di potere e di ubbidienza.

In ogni modo, il primo esperimento dimostrò come un gruppo di studenti del Nebraska fosse in grado di venire in contatto con degli sconosciuti, nello stato del Massachusetts, scelti a caso.

Tutto parte da due fatti.

Una tesi elaborata a livello letterario nel 1929 dallo scrittore ungherese Frigyes Karinthy e contenuta nel suo racconto “Catene”. Una ricerca di alcuni ricercatori del MIT degli anni ’50 del secolo scorso tesa ad elaborare una risposta a questa domanda a cavallo tra le scienze sociali e le ricerche di mercato. Dato un insieme di persone qual è la probabilità che ognuna di queste persone sia connessa ad un’altra attraverso un certo numero di collegamenti?

In quegl’anni furono formulate molte ipotesi, ma nessuna soddisfacente.

Nel 1967 Stanley Milgram, che si era interessato a molte ricerche intorno all’interazione sociale, trovò un sistema per verificare una sua teoria che definì “teoria del mondo piccolo”.

Milgram selezionò a caso un gruppo di abitanti del Midwest e chiese a ciascuno di loro di mandare un pacchetto ad un estraneo che abitava nel Massachusetts, a diverse migliaia di chilometri di distanza. Ognuno di costoro conosceva il nome del destinatario, la sua occupazione, e la zona in cui risiedeva, ma non l’indirizzo preciso. In pratica fu spiegato a ciascuno dei partecipanti all’esperimento di spedire il proprio pacchetto a una persona da loro conosciuta, che a loro giudizio avesse il maggior numero di possibilità di conoscere il destinatario finale. Quella persona avrebbe poi fatto lo stesso con un’altra persona di sua conoscenza e così via fino a che il pacchetto non venisse personalmente consegnato al destinatario finale.

Tutti si aspettavano che la catena includesse decine di intermediari, invece ci vollero in media solo tra i cinque e i sette passaggi per far arrivare il pacchetto al destinatario finale.

Questo esperimento di Milgram fu poi pubblicato in Psycology today e da qui nacque l’espressione sei gradi di separazione.

In termini matematici questa teoria non è difficile da spiegare. Se supponete di conoscere diciamo un centinaio di persone che a loro volta ne conoscono un centinaio, e questi un altro centinaio, eccetera, voi vedete che cento alla sesta è un numero molto vicino al numero degli abitanti della terra. Con il diffondersi dell’informatica è divenuta sempre più famosa ed ha trovato numerose applicazioni.

Ma perché questa teoria è importante a parte il riuscire a conoscere Angelina Jolie?

Perché, tralasciando il numero dei passaggi che è puramente convenzionale, questa teoria ci consente di studiare le relazioni tra le persone come se fossero una rete e, dunque, di costruire degli importanti modelli, per esempio nell’ambito delle ricerche epidemiologiche, in particolare nella diffusione delle malattie infettive, così come in campi più frivoli com’è lo studio sulla diffusione dei messaggi pubblicitari.

Una curiosità.

Negli anni scorsi la teoria dei sei gradi di separazione l’abbiamo applicata anche qui allo IED per delle esercitazioni sul giro del mondo in sei contatti ed altre ricerche e i risultati sono stati più che buoni – vedi su questo sito le esercitazioni.

Nel 2003 la Columbia University realizzò il più grande esperimento in rete con la teoria dei sei gradi di separazione. Questo esperimento, condotto dal sociologo Duncan Watts, coinvolse più di sessantamila persone in 166 paesi del mondo. L’obiettivo era rintracciare diciotto persone sconosciute di tredici paesi diversi sorteggiati dagli elenchi telefonici. (Che tipo di persone? Un archivista in Estonia, un veterinario in Norvegia, un consulente informatico in India, un poliziotto in Australia…ecc.). La ricerca dimostrò che sono sufficienti da cinque a sette passaggi in rete per giungere a destinazione con il solo aiuto di amici e conoscenti.

Per chi fosse interessato questa ricerca è stata pubblicata sulla popolare e prestigiosa rivista scientifica “Science” da Peter Sheridan della Columbia University.

Per chi è interessato a questi temi suggerisco la lettura di:

Albert-László Parabasi, Link. La scienza delle reti, Einaudi, 2004.

Mark Buchanan, Nexus, Mondatori, 2003.

Un’ultima osservazione. Tutti conoscete i “social network” e probabilmente molti di voi li frequentano, ma pochi sanno che il primo network, o meglio il primo servizio online a includere la possibilità di creare uno spazio virtuale in cui realizzare il proprio profilo e di poter avere una rete con la quale comunicare, è stato Sixdegrees.com. Sixdegrees venne creato nel 1997 e fu chiuso nel 2001. Quando fu chiuso aveva un milione di utenti, un successo, ma non produceva reddito. L’obiettivo di questo sito era di realizzare un luogo d’incontri facile da usare e non manipolabile, ma aveva un inconveniente, nonostante s’ispirasse alla teoria del piccolo mondo antico di Milgram non consentiva che due soli gradi di separazione, gli amici e gli amici degli amici.

Appendice novembre 2011.

Oggi si dovrebbe dire quattro gradi e cinquanta circa di separazione, se sono corrette le argomentazioni di due professori dell’Università Statale di Milano che lavorano nel laboratorio di Web Algorithmics del Dipartimento di scienze dell’informazione e che hanno collaborato ad una ricerca sul teorema di Milgram con l’università di Palo Alto, in California e con Mark Zuckerberg, che voi conoscete come l’ideatore di Facebook.

Il tema centrale di questa nuova ricerca, che ha interessato sia il web che i mass-media cartacei, è stato quello di verificare come le relazioni interpersonali cambiano con la digitalizzazione.

Come si nota da più parti e da tempo Facebook ha reso il mondo più piccolo ed ha cambiato molti aspetti delle relazioni sociali. I due ricercatori milanesi hanno applicato la teoria del mondo piccolo di Milgram ai settecento milioni e passa di utenti attivi sul social network di Mark Zucherberg per un totale di circa settanta miliardi di relazioni.

Il risultato è stato che la distanza media tra due persone è pari a 4,74.

In altre parole il mondo si è ulteriormente rimpicciolito rispetto alle prime ricerche di Milgram.

Se poi si restringe l’ambito della ricerca ad una sola nazione – che rappresenta mediamente l’84 per cento delle amicizie – si può scendere fino a tre gradi di separazione, cioè a quattro passaggi.

Per concludere, legando questi risultati al numero di Dunbar, si osserva che la maggior parte dei contatti – con persone della nostra età – varia mediamente intorno a 190 anche se per il cinquanta per cento dei casi si attesta intorno a 100.

È un classico paradosso della rete che tecnicamente s’iscrive nell’ambito dei contanti da rimbalzo, ma che è sintetizzato dalla formula: gli amici degli amici sono più dei nostri amici.

Un dato. La ricerca della Statale ha riguardato 721 milioni di utenti attivi su Facebook, cioè più del dieci per cento della popolazione mondiale stimata.

Quando abbiamo cominciato a parlare dei sei gradi di separazione in questa scuola la domanda provocatoria che facevamo agli studenti era: La teoria dei sei gradi di separazione. Ovvero, volete conoscere Angelina Jolie o Brad Pitt?

Oggi in questo nuovo contesto è tutto cambiato.

Se siete seduti al bar di un aeroporto oppure, se siete sul marciapiede di una stazione in attesa di un treno, molto probabilmente una delle persone che vi stanno accanto conosce un vostro amico o un amico di un amico dei vostri amici.

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