A – IED, Milano. Anno accademico 2009-2010
Cattedra di sociologia.
(Esercitazioni)
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Esercitazione numero otto.
LA DERIVA URBANA E LA FLÂNERIE.
Con che occhi guardiamo una città, con quali orecchie l’ascoltiamo, con quale cuore l’amiamo.
Dal cartello stradale che l’annuncia alla saponetta sulla mensola del bagno di una camera d’albergo.
“La forme d’une ville change plus vite, on le sait, que le coeur d’un mortel.”
(Julien Gracq, La forme d’une ville.)
“Non sapersi orientare in una città non vuol dire molto. Ma smarrirsi in essa, come ci si smarrisce in una foresta, è una cosa tutta da imparare.
(Walter Benjamin, Infanzia Berlinese.)
Ci sono molti modi per scoprire ciò che crediamo di conoscere di una città.
Uno lo dobbiamo a Charles Baudelaire e alla sua figura del “flâneur”, di colui che passeggia senza uno scopo, che non sia quello di gustarne l’umore, le tensioni, le ombre, la bellezza. Un altro è quello che Walter Benjamin elaborò a partire da Baudelaire. Usare l’osservazione come strumento di analisi del fenomeno urbano, come rivelatore della dinamica degli stili di vita che l’attraversano disegnandola nell’immaginario collettivo. Un punto di vista che non è mai quello del turista o del viaggiatore, distratto dai suoi scopi, ma di colui che, per parafrasare il titolo di un libro di Alberto Savinio, ascolta della città il cuore, per coglierne le sue inquietudini, le sue passioni, le tensioni culturali e sociali, il loro acquietamento civile, la sua identità estetica.
Abitare una città è tante cose in una, è tesserla, percorrendo le sue strade, è ricamarla, giorno per giorno con la bava dei percorsi abituali. È divenire il filo di Arianna di un pellegrinaggio quotidiano. L’essere “qui” non basta ad orientarsi. Smarrirsi è un processo che in molte culture è carico di significato.
Orientarsi è conoscere. Perdersi per orientarsi è il sentiero che porta all’ambientarsi. Per arrivare “in centro”, nel cuore urbano, ci sono margini e soglie da oltrepassare, cul-de-sacda evitare, direzioni da definire.
In genere i cittadini possono perdersi in due modi. Perché sono in un ambiente urbano che non conoscono o perché lo conoscono troppo bene. Eterni Odissei occorre saper interrogare le strade e le piazze, ascoltare quello che dicono gli edifici sull’identità e i sogni degli uomini che li abitano.
Nei luoghi che ci sono sconosciuti è necessario per prima cosa, orientarsi. Annodare trame, leggere mappe, consultare bussole, adattarsi al sistema di coordinate preesistenti, soprattutto, è essenziale avere una meta.
Lo straniero in una città è costretto ad apprendere a sue spese quali sono le sue relazioni spaziali, le direzioni, i percorsi, i movimenti concepiti, il linguaggio del qui, del giù, del su, dell’avanti, del dietro, di a destra, a sinistra, del nord, del sud, dell’est, dell’ovest.
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Scopo dell’esercitazione è di descrivere, per conoscerla, una città, prima vista da lontano, appena le cime dei suoi edifici più alti la fanno intravvedere e un cartello stradale l’annuncia, per penetrare in essa fino alle sue tracce più segrete e minuscole, quelle che scopriamo sulla mensola davanti allo specchio del bagno in una camera d’albergo.
Questa esercitazione può essere realizzata o con una serie di fotografie in bianco e nero, o con un filmato o con una colonna sonora o, infine, intrecciando queste tecniche in un video.
In via del tutto eccezionale ci saranno due modalità di giudizio per l’aggiudicazione dei tre punti. La prima prenderà in considerazione l’abilità tecnica e la complessità con la quale l’esercitazione è stata realizzata.
L’elaborato dovrà essere presentato su dischetto, accompagnato da una breve relazione esplicativa.
Non sono accettati altri supporti.