IED, Milano. Anno accademico 2010-2011
Cattedra di sociologia.
(Esercitazioni)
Esercitazione numero quattro – (prima parte)
Lunedì 20 dicembre 2010
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LA CITTÁ E IL RIZOMA.
(Dal cartello stradale che ne annuncia l’inizio amministrativo alla piccola saponetta sulla mensola del lavandino di una camera d’albergo.)
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“Non sapersi orientare in una città non vuol dire molto. Ma smarrirsi in essa, come ci si smarrisce in una foresta, è una cosa tutta da imparare.”
(Walter Benjamin, Infanzia Berlinese.)
“Ciò che è noto proprio perche è noto non è conosciuto.”
(Georg Wilhelm Friedrich Hegel, Fenomenologia dello spirito.)
Spazio, evento e movimento sono le nuove dimensioni della città post-moderna che ha esaurito il suo antico assetto monolitico, ma si articola sempre più per avvenimenti e situazioni che la compongono in una serie di enclave – o, zoning funzionali – e la strutturano in una sorta di congegno teatrale che ha l’obiettivo di fluidificare la sua architettura. Un congegno in cui la vita corrente s’intreccia con le sue mappe e i suoi sentieri “psicogeografici”, le sue ossessioni di mobilità meccanica, di separazioni funzionali, di flussi di informazione, di mode e di tendenze culturali, di folle. Una città che invita l’immaginazione sociologica a perdersi per ritrovarsi, ad intrecciare progetto e rete, a preconizzare nuove formule di un labirinto – di una strategia cartografica – dominato dalle ossessioni mercantili. Un luogo che può spaesare, che mescola stili di vita globali con retaggi di conoscenze antiche, che spinge il viaggiatore a riflettersi nelle sue ansie e nella sua aggressività, a contenere il suo disorientamento in un crogiolo di stimoli ed esperienze inedite, ad attraversare nuove frontiere e rompere nuove barriere. Questo luogo panoramico è la “città del vedere” di cui si possono apprezzare i bordi che si stagliano sul visibile, ma di cui si fatica a cogliere l’insieme, le sue quotidiane relazioni spaziali e sociali.
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Ci sono due modi per scoprire ciò che crediamo di conoscere di una città, di vederla all’improvviso con nuovi occhi. Il primo lo dobbiamo a Charles Baudelaire e alla sua figura del “flâneur”, di colui che passeggia senza uno scopo, che non sia quello di gustarne l’umore, le tensioni, le ombre, la bellezza. Il secondo è quello che Walter Benjamin elaborò a partire da Baudelaire: usare l’osservazione come strumento di analisi del fenomeno urbano, come rivelatore della dinamica degli stili di vita che l’attraversano disegnandola nell’immaginario collettivo. Un punto di vista che non è assolutamente quello del turista o del viaggiatore, distratto dai suoi scopi, ma di colui che, per parafrasare il titolo di un libro di Alberto Savinio, ascolta della città il cuore e ne fa sue le inquietudini, le passioni, le tensioni culturali e sociali, il loro acquietamento civile, l’identità estetica.
Orientarsi, in breve, è conoscere. Per arrivare “in centro” ci sono margini e soglie da oltrepassare, cul-de-sac da evitare, direzioni da definire.
In genere i cittadini possono perdersi in due modi. Perché sono in un ambiente urbano che non conoscono o perché lo conoscono troppo bene. Per questo occorre saper interrogare le strade, le piazze, i suoni, i colori, gli odori, ascoltare quello che dicono gli edifici sull’identità e i sogni degli uomini che li abitano.
Nei luoghi che ci sono sconosciuti occorre annodare trame, leggere mappe, consultare bussole, adattarsi al sistema di coordinate preesistenti, soprattutto, è necessario avere una meta, anche se provvisoria, un punto di approdo dopo una deriva.
Scopo dell’esercitazione è di descrivere, per conoscerla, una città, prima vista da lontano, appena le cime dei suoi edifici più alti la fanno intravvedere per penetrare in essa fino alla sua più minuscola traccia, quella che scopriamo sulla mensola davanti allo specchio del lavandino in una camere d’albergo.
Questa esercitazione può essere realizzata o con una serie di disegni o di fotografie (in bianco e nero o a colori), oppure con un filmato o con una colonna sonora o, infine, montando queste tecniche in un video.
L’elaborato dovrà essere presentato su dischetto, accompagnato da una breve relazione esplicativa.
Non sono accettati altri supporti.
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