“Hic sunt leones, i non-luoghi” – IED Design – Esercitazione 9 – 2010-11

D – IED, Milano. Anno accademico 2010-2011

Cattedra di sociologia.

Esercitazione numero nove.

Giovedì 26 maggio 2011

***

Hic sunt leones, i non-luoghi”.

I neoluoghi ereditano dall’urbs l’aurea di luogo sacro dove, come nell’induismo, sgocciola l’ambrosia delle merci materiali e immateriali. Recinti consacrati ai riti dell’alienazione mercantile, cortili che hanno per frontiera la desolazione. Essi riflettono alla lettera la violenza fondativa che dal fratricida Caino arriva alle benne dello scraper. Una violenza che ricorda a chi la subisce come non ci sia nella modernità appropriazione senza espropriazione celebrata un tempo con il versamento di sangue sulle fondamenta degli edifici. Al pari dei nidi i neoluoghi danno sicurezza nel momento in cui la tolgono, come rêverie. La sicurezza è qui nella forma di un’aspettativa che conosciamo già, perché i neoluoghi non sono mai completamente sconosciuti, essa è
un accento che diviene conforto.

(Bernard Rosenthal)

***

Il neologismo di non-luogo (o di neoluogo) definisce due concetti complementari quali sono il luogo fisico – costruito con una destinazione d’uso specifica – e la relazione che viene ad instaurarsi con chi ci transita, con i suoi utenti, con coloro che lo attraversano. In questo senso l’espressione di nonluogo si distingue dai luoghi antropologizzati in senso classico, come sono i luoghi vissuti dagli uomini, le agorà, le piazze di paese, i mercati contadini.

I non-luoghi, nella realtà metropolitana, rappresentano un congegno importante per la circolazione accelerata delle persone, dei beni e delle merci (come sono i centri commerciali, le stazioni ferroviarie, gli aeroporti, i raccordi e gli svincoli stradali, le autostrade).

Per analogia sono considerati non-luoghi anche i mezzi di trasporto, i campi profughi, le grandi esposizioni campionarie, i megastore, eccetera.

In sostanza sono gli spazi in cui le singole persone, con i loro problemi e la loro solitudine, s’incrociano senza mai entrare in relazione, il più delle volte sospinti dal desiderio di muoversi, mostrarsi, consumare, accelerare le operazioni della vita quotidiana.

Come afferma Marc Augé, che per primo li ha evidenziati nei suoi studi, questi non-luoghi sono una importante espressione della “neomodernità” dominata dalle leggi dello spettacolo. Vale a dire, non solo non sono in grado d’integrarsi con i luoghi storici della città, ma spesso e facilmente entrano in conflitto con essi banalizzandoli, cioè de-valorizzandoli alla stregua di curiosità per studiosi, come sempre più di sovente avviene per i musei, i palazzi antichi, le vestigia.

Luoghi che non sono in grado di fronteggiare la logica dello spettacolo che domina la modernità perché la “neomodernità” è l’effetto combinato di una accelerazione del tempo e degli avvenimenti che spesso finiscono per sovrapporsi o contraddirsi, così come di una banalizzazione dello spazio percepito con il suo rimpicciolimento psicologico derivato dalla velocità con il quale lo si percorre. In questo contesto c’è anche da notare un irrigidimento dell’identità soggettiva degli utenti dei non-luoghi in un ruolo preformato.

In questa prospettiva la “neomodernità” appare come un eccesso di senso paradossalmente reso evidente da un caos diffuso.

L’obiettivo di questa esercitazione è di cogliere i caratteri di un non-luogo tali da svelarne la loro natura di artificio culturale e funzionale. Ogni gruppo può elaborare le immagini di questa esercitazione con il mezzo espressivo che meglio ritiene opportuno, disegno, foto, fumetto, collage, rappresentazione elaborata per via elettronica.

L’elaborato dovrà essere presentato su dischetto, accompagnato da una breve relazione esplicativa.

Non sono accettati altri supporti.

***

Pubblicato in IED - Esercitazioni 2010-11 | Commenti disabilitati su “Hic sunt leones, i non-luoghi” – IED Design – Esercitazione 9 – 2010-11

Selva oscura o cammino della conoscenza? – IED Design – Esercitazione 8 – 2010-11

D – IED, Milano. Anno accademico 2010-2011

Cattedra di sociologia.
Esercitazione numero otto.

Giovedì 26 maggio 2011
***
IL LABIRINTO.

Selva oscura o cammino della conoscenza?

Che cos’è un labirinto?

Il primo labirinto, dice Platone, è stato il labirinto di Atlantide. Al di là della sua forma architettonica spiegarlo è più complicato di come appare, anche perché da tempo questa espressione si usa in numerosi contesti, con i significati più diversi. Possiamo dire che il labirinto è presente, come immagine, a partire dalle sue implicazioni oniriche e magico-rituali, sin dagli albori dell’umanità, tanto da poter essere definita un’espressione archetipica.

I labirinti non sono tutti uguali. In alcuni si deve trovare la maniera di uscirne, in altri di attraversarli, in altri ancora è importante il modo in cui si percorrono.

Possono assumere le forme più diverse. Di fatto, possono essere naturali, artificiali o misti.

Secondo la morfologia del tracciato sono geometrici o irregolari. Secondo la forma del percorso il labirinto può dipanarsi con svolte rettangolari, curvilinee o miste. Dal punto di vista della loro struttura possono essere rettangolari, circolari o irregolari, e poi, simmetrici o asimmetrici. Il loro centro può rappresentare un punto di arrivo o essere solo un passaggio per l’altrove. I labirinti possono essere centripeti o centrifughi, a seconda che il loro tracciato inizi dal centro o finisca in esso. Anche se rari, ci sono labirinti tridimensionali, come i sacrari megalitici dell’isola di Malta. Infine, le biforcazioni possono essere semplici o complesse, avere degli snodi obbligatori, perché non si può non passare da essi, o vessatori, che riportano sempre allo stesso punto.

Alcuni studiosi hanno avanzato l’ipotesi che sono figure legate alla condizione umana, insieme al cerchio, al quadrato, al triangolo. Figure, in sintesi, che servirebbero ad organizzare e a concepire un’idea di mondo, a rappresentare il tortuoso cammino della conoscenza. (Chi entra in un labirinto è costretto ad affrontare uno dei dilemmi più importanti dell’esistenza, quello della scelta. Soltanto una, delle due o più vie che si aprono di fronte a chi lo percorre, è quella giusta, l’altra o le altre lo inducono in errore. Da qui l’idea medioevale del labirinto come luogo di perdizione. Come è facile constatare prima di essere una fantasia architettonica il labirinto è un simbolo possente.

La sua esistenza materiale non è che una parte della sua storia e il suo potere evocativo risale all’origine dei tempi, non per caso è uno tra gli oggetti culturali onnipresente in ogni epoca e in numerose culture. Spesso è stato il campo di battaglia dei sentimenti dell’uomo e la sua lunga marcia attraverso i secoli lo ha reso polisemico. Più di un sapere si è impadronita dei suoi simbolismi per separare l’alto dal basso, il bene dal male, il corpo dallo spirito, il piacere dal dolore, così come per rappresentare la relazione della madre con il figlio, degli dei con l’uomo.

Per la chiesa il labirinto è il percorso della redenzione, per il buddismo è una immagine del mandala. Il processo di formazione del cosmo, la via verso il tutto. Per la massoneria è l’immagine della ricerca interiore. Sui pavimenti delle cattedrali è un invito a riporre fiducia nel divino, un cammino per Gerusalemme. Un invito al viaggio salvifico. Nella tradizione della Cabala – ripresa dalla tradizione alchemica – il labirinto è il lavoro dell’Opera, cioè della grande trasmutazione delle cose. Infine, non è raro trovare il labirinto nei sogni come annuncio di una rivelazione, come avventura interiore che si può accettare o perdere.

L’obiettivo dell’esercitazione è quello di interpretare nella forma di un labirinto un’emozione, una sensazione, un vizio o una virtù.

Ogni gruppo può elaborare l’immagine di questa esercitazione con il mezzo espressivo che meglio ritiene opportuno, disegno, foto, fumetto, collage, video, elaborazione elettronica.

L’elaborato dovrà essere presentato su dischetto, accompagnato da una breve relazione esplicativa. Non sono accettati altri supporti.

******

Pubblicato in IED - Esercitazioni 2010-11 | Commenti disabilitati su Selva oscura o cammino della conoscenza? – IED Design – Esercitazione 8 – 2010-11

La mistica delle piccole cose. Il ‘design narrativo’. – IED Design – Esercitazione 7 – 2010-11

D – IED, Milano. Anno accademico 2010-2011

Cattedra di sociologia.
Esercitazione numero
sette.
Giovedì 19 maggio 2011

***

La mistica delle piccole cose.
Il “design narrativo”

L’arte è l’imposizione di un modello all’esperienza, e il nostro piacere estetico è rappresentato dal riconoscimento di tale modello”.
(Alfred North Whitehead)

Sebbene non abbiano la densità del legno laccato, e il suo carico d’ombra, i servizi da tavola in porcellana non sono da buttar via. Tuttavia, chi tiene fra le mani una stoviglia di porcellana, la sente fredda e pesante. Temibile conduttrice del calore, è scomoda da maneggiare, se la si riempie di cibi caldi. Urtata, rintocca sinistramente. Al contrario, i servizi di legno laccato sono leggeri, gradevoli al tatto, delicati, non rumorosi. Amo il legno laccato soprattutto quando tengo in mano una ciotola di brodo caldo. Ne amo il peso, ne amo il tepore. Così tenera è la sensazione, che mi sembra di sostenere il corpicino di un neonato.

Non è un caso che la minestra si serva ancora nelle ciotole di legno laccato: esse hanno virtù che mancano a quelle di ceramica o porcellana. Troppo presto il brodo servito in una tazza di porcellana bianca svela i suoi segreti. Sollevato il coperchietto si sa subito che colore ha il liquido e che cosa contiene. È cosa straordinariamente bella, invece, sollevare il coperchio di una ciotola in legno laccato, mentre ci accingiamo ad accostarla alla bocca, contempliamo per un istante il brodo, che ha una sfumatura non diversa da quella del recipiente, stagnare nell’oscurità impenetrabile del fondo. Difficile capire cosa si trovi laggiù. Le mani che tengono la ciotola sentono l’agitarsi quasi impercettibile del liquido. Gocciole minutissime imperlano l’orlo del recipiente. Attraverso il vapore, abbiamo un vago presentimento del cibo: esso si annuncia a noi, prima di toccare il palato. Una emozione così profonda, e intima, certo non può essere paragonata a ciò che si prova davanti a un brodo servito in un piatto di bianca porcellana occidentale. V’è, in essa, qualcosa di mistico e, forse, un zinzino di Zen.”

Junichiro Tanizaki, Libro d’ombra (In’ei raisan) 1933, Traduzione italiana, Milano 1982.

(谷崎 潤一郎, Tanizaki Jun’ichirō?) Tokio 1886 – Atami 1965.)


Obiettivo dell’esercitazione è di interpretare visivamente l’atmosfera di questo passo di Junichiro Tanizaki con il mezzo espressivo che si ritiene più opportuno (disegno, foto, fumetto, collage, video, rappresentazione elaborata per via elettronica), utilizzando ESCLUSIVAMENTE luci, ombre, colori, nebbie, gocce di liquidi diversi.

L’elaborato dovrà essere consegnato in copia su dischetto, accompagnato da una breve relazione esplicativa. Non sono accettati altri supporti.

***

Per meglio comprendere l’opera di questo importante scrittore si consiglia di consultare anche altri suoi libri come, Sasame Yuki (Neve sottile) del 1948, Kagi (La chiave) del 1956, Futen rojin nikki (Diario di un vecchio pazzo) del 1962.

Tutte le opere citate di Tanizaki sono tradotte in italiano, inglese, francese.

Come l’ombra fugge coloro che la/ inseguono, così sta sempre unita a /coloro che la fuggono,

L’ombra compagna senza dubbio unita /ai corpi, Così il premio di una lode immeritata

fugge coloro che cercano di afferrarlo, compagna al contrario [e] gloria unita a

coloro che sono umili. E tuttavia, soppesata attraverso un /esame non ingannevole, che cosa mai

sarà tutta questa lode? Nient’altro che /un’ombra inconsistente.

Théodore de Bèze, Icones 1580.

***

Pubblicato in IED - Esercitazioni 2010-11 | Commenti disabilitati su La mistica delle piccole cose. Il ‘design narrativo’. – IED Design – Esercitazione 7 – 2010-11