IED – Materiali del corso VI (2011-12)

Secondo le più recenti ricerche sociologiche la connessione deve essere considerata oramai come un presupposto originario della vita collettiva che influenza con le proprie dotazioni – cioè, con tutti i congegni e le loro periferiche – sia il campo di efficacia delle organizzazioni umane, sia l’ambito dei rapporti sociali.

Di fatto i congegni di connessione favoriscono, insieme ai saperi, la circolazione delle ideologie, dei valori, delle norme e degli stili di vita che sono divulgati e spesso promossi come nuovi modelli d’interazione sociale.   

Qui va notato come l’espressione di connessione ha una dimensione più ampia dell’espressione di comunicazione, perché la connessione comprende anche i sistemi di trasporto che muovono i supporti materiali dell’informazione e i modelli di circolazione delle conoscenze. 

Il concetto di connessione è stato mutuato dalla biologia nella quale definisce un rapporto tra gli elementi di un organismo.  

Proviamo ora a definire l’espressione di comunicazioneSotto il profilo delle scienze sociali l’espressione di comunicazione identifica il complesso delle operazioni – coordinate tra di loro – che sono indirizzate a connettere in modo regolato e continuativo degli individui o dei gruppi.     Per meglio comprendere questa definizione va ricordato che, da un punto di vista funzionale, la forma di comunicazione è sempre esistita e precede, di fatto, lo stesso linguaggio orale.  

Nei processi di comunicazione un altro concetto chiave è quello che riguarda le modalità di connessione. In sintesi gli elementi che consentono di definire una modalità di connessione sono cinque.  Il primo elemento è rappresentato dalle forme convenzionali che permettono di rendere pubblici –in altri termini, di rendere manifesti – determinati contenuti mentali condivisibili o che possono essere compresi.   Il secondo elemento è formato dalle tecniche adottate che hanno lo scopo di accelerare i modi di connessione e/o di facilitarli.  Il terzo elemento è costituito dai criteri che regolano gli scambi e la circolazione della connessione. 

Questi criteri possono essere economici, politici, culturali, morali, come è facile constatare navigando in rete.   Il quarto elemento è costituito dalle strutture formali che consentono la produzione e la circolazione dei contenuti di pensiero.

Queste strutture sono costituite dalle scuole, dalla stampa, dai teatri, dal cinema, dai sistemi di rete.  Il quinto elemento è rappresentato dalle pratiche, vale a dire, dagli usi, dalle abitudini e dai costumi

che formano e consolidano il contesto sociale della comunicazione. 

Da questi cinque elementi che definiscono il modo di connessione possiamo dedurre il primo assioma della sociologia della comunicazione:  Le forme o,meglio, i paradigmi che concorrono a “costruire” la comunicazione e le relative tecnologie modellano in modo specifico l’aspetto che assume la connessione.  

Utilizzando il concetto di modo di connessione si può anche procedere ad una lettura storica del fenomeno della comunicazione che struttura e favorisce l’autonomia delle forme simboliche cioè delle forme che mettono insieme il senso del mondoVedremo più avanti nello specifico che cosa sono le forme simboliche.

 

Sotto l’aspetto della struttura possiamo esaminare la comunicazione attraverso gli elementi che la compongono.  Essi sono: – La fonte dell’informazione – vale a dire l’attore che elabora il messaggio da trasmettere. – Il trasmettitore – che emette il segnale da trasmettere.   – L’eventuale fonte del rumore di fondo – altrimenti detto noise/disturbo/interferenza.   – Il ricevitore – che riceve il segnale o verso cui il messaggio è indirizzato. – Il destinatario del messaggio – vale a dire l’attore che riceve il messaggio trasmesso.  

Va sottolineato che il messaggio che si vuole comunicare, per essere operativo, richiede che sia compatibile con un contesto condiviso.  In pratica, questo contesto – che possiamo anche definire come un frame o come una cornice argomentativa – dev essere conosciuto da tutti i soggetti che compongono la struttura della comunicazione. 

Per le scienze sociali il contesto è l’insieme delle circostanze storiche, psicologiche, culturali, eccetera, che consentono di codificare o di decodificare il messaggio   

In secondo luogo è necessario un codice condiviso che consenta di accedere al significato del messaggio o di produrlo com’è il caso dei cosiddetti codice sorgente.  I segnali che formano questo codice possono essere di tipo linguistico, iconico, sonoro, gestuale, luminoso, eccetera, e possono anche combinarsi tra di loro.

Un esempio elementare è costituito dal semaforo dove compaiono sia un segnale luminoso che un segnale iconico costituito dall’omino che aspetta o commina. 

In terzo luogo è richiesta la presenza di un mezzo di contatto, vale a dire di un canale di trasmissione.  Il messaggio, infatti, viaggia in un canale che connette la fonte e il destinatario o, meglio, chi codifica e chi decodifica. 

Sul piano operativo, va da sé, i segnali che corrono in un canale di comunicazione, possono essere discreti o continuiIndipendentemente da questo si definisce come capacità di un canale la quantità d’informazione che i segnali consentono di trasmettere. 

Un canale di trasmissione, in pratica, è spesso disturbato da distorsioni, perdite d’informazioni trasmesse, interferenze, disturbi, fenomeni che possono essere imputati ad una sorgente di rumore di fondo (noise, per usare la terminologia più diffusa).  Il noise, in questo contesto, può essere definito come un disturbo che altera il messaggio e rende più difficile, rallenta o impedisce la sua decodificazione.  Uno dei problemi classici nei processi informativi sta nell’adeguare il codice al canale, in modo da rendere ottimale la velocità di trasmissione e, allo stesso tempo, accrescere la sua attendibilità.  Nei processi comunicativi si definisce la ridondanza come una sovrabbondanza d’informazioni che riduce i rischi delle interferenze ma che inevitabilmente rallenta la velocità di comunicazione. 

Com’è intuitivo ogni linguaggio, che non sia quello delle macchine che comunicano tra di loro, non si limita ad usare un numero esatto di bit, cioè, di unità d’informazione indispensabili alla semplice trasmissione del messaggio, ma mira alla sua comprensione caricando questo messaggio di un sovrappiù di bit (cioè, d‘informazioni) culturalmente determinato.  

Così facendo, però, si corre il rischio di confondere o di oscurare la comprensione del messaggio o di parte di esso, un po’ come succede quando definiamo un testo o un racconto prolisso.   Quando questo avviene si dice che la comunicazione è ridondante.   

Nella teoria dell’informazione il significato di ridondanza anche se è simile non collima con quello del linguaggi orale, ma soprattutto è associato ad un altro importante concetto, quello di entropia   Quando un sistema comunicativo, per ragioni sue proprie, degenera verso il massimo disordine, verso il caos, siamo in presenza di un collasso entropico, cioè, come dice l’etimo greco, di un rivolgimento interno.   L’entropia, di fatto, esprime lenergia degradata di un sistema comunicativo

Il concetto di entropia va tenuto separato anche da un altro fenomeno che abbiamo definito rumore di fondo.  Perché?

Il rumore di fondo esprime un disordine che si manifesta all’esterno del sistema comunicativo, l’entropia, invece, esprime il disordine che si genera all’ interno del sistema comunicativo.   In questo senso, i virus informatici possono essere definiti dei disordini entropici

A cosa serve tutto questo in sociologia?  Diciamo che ci aiuta a comprendere come un sistema sociale, che vive in competizione con il suo ambiente, naturale, umano, politico, spazio-temporale, può generare un disordine tale che, nonostante gli sforzi per eliminarlo, questo disordine finisce per ricadere sul sistema in forme sempre più degradate, distruggendolo.    L’esempio classico è la guerra. Ma lo sono anche la violenza sui deboli, gli autoritarismi, i razzismi, le intolleranze tra le culture o le etnie

In questo contesto un rimedio è costituito dallo sviluppo dinamico delle forme di sciabilità.

Ritorniamo ad un punto di vista più sociologico. 

Dobbiamo a questo punto distinguere la comunicazione – caratterizzata dall’intenzione della fonte di rendere il ricevente consapevole di qualcosa, vale a dire, del contenuto del messaggio – dall’informazione, dove questa intenzione è assente.  Nell’informazione, infatti, ciò che conta è solo il valore o il significato che il ricevente attribuisce al messaggio. 

In generale il fine della comunicazione è di connettere in modo coordinato e continuo degli individui.  Per realizzare questo fine occorrono delle specifiche istituzioni sociali, tali da consentire di superare la provvisorietà ambientale e permettere che la comunicazione diventi un processo sistematico in grado di assicurare, a soglie crescenti di efficacia, quella essenziale prestazione evolutiva che è costantemente richiesta dagli individui e dal progresso della società.

Perché nel corso del tempo sono diventate così necessarie le istituzioni sociali? 

Perché gli individui, che sono il frutto naturale dell’evoluzione sociale, tendono a distinguersi sempre di più gli uni dagli altri.  In questo modo, più essi si distinguono in quanto individui più devono essere rappresentati e connessi dalle istituzioni sociali che hanno costruito, pena il disordine sociale.  

Se pensate alla storia dell’umanità, per un tempo lunghissimo, valutato in centinaia di migliaia di anni, la connessione tra gli esseri viventi è stata soprattutto il risultato dall’uniformità del loro programma genetico.    Va da sé che più questa uniformità è totalizzante e meno importanza hanno gli artifici comunicativi.  Più questa uniformità è ridotta e più cresce la necessità di possedere degli artifici

comunicativi.  

Vediamo adesso velocemente il ruolo che gioca l’uniformità del programma genetico nell’evoluzione della società.  Per considerare meglio questo percorso evolutivo vediamolo coinvolgendo, oltre agli uomini, tutti gli organismi viventi.  In questa evoluzione si possono individuare due tappe significative.  La prima tappa si ebbe intorno a 200milioni di anni fa, quando il crescere dei vertebrati, che popolavano la terra, fece si che essi, per sopravvivere, furono costretti a disperdersi nell’ecosistema e ad adattarsi a situazioni sempre più diverse da quelle del loro habitat originario.   Con quali conseguenze?  Una sopratutte le altre. Che per potersi adattare agli ambienti diversi da quelli nativi si dovettero differenziare

Di contro, quella che è stata la forma primitiva di un programma genetico condiviso la possiamo vedere ancora oggi nel comportamento dei banchi di pesci o degli stormi di uccelli, che sanno muoversi all’unisono davanti al pericolo e con una certa efficacia, visto che continuano a sopravvivere a coloro che li predano.  

Una seconda tappa evolutiva, ancora più significativa, si ebbe circa 50milioni di anni fa.  Corrisponde a quando nei mammiferi, tra i quali va annoverato anche l’uomo, il comportamento degli esemplari della stessa specie per poter sopravvivere in habitat diversi raggiunse soglie estremamente significative di ricchezza e varietà.  Questa ricchezza acquisita di comportamenti individuali ebbe come conseguenza la diminuzione dell’uniformità delle primitive azioni comandate per via genetica e l’aumento, corrispondente, delle  divergenze operative, vale a dire, di quelle scelte e di quelle opzioni, legate alla biodiversità, sempre più ampia, in cui questi mammiferi vivevano. 

In breve, per le specie animali più evolute e in particolare per l’uomo, si restrinse il campo della connessione assicurata dal programma genetico e cominciarono a formarsi dei modi convenzionali di esprimere il pensiero e le intenzioni (di conseguenza, i comportamenti) derivati dalla diversità ambientale e individuale. 

In breve, diciamo che ad un certo punto dell’evoluzione, accanto alla connessione per via genetica, comparve una forma embrionale di comunicazione per via culturale che, molto rapidamente, estese il suo campo operativo fino a sviluppare delle forme rudimentali di trasmissione delle conoscenze per mezzo dell’emulazione e dell’insegnamento.  

Nei primati, per esempio, la comunicazione è molto evoluta, tanto che possiamo dire che si compone di veri e propri atti di comunicazione molto simili a quelli degli uomini primitivi, anche se sono episodici e non coordinati. 

Notiamo, en passant, che l’uomo condivide con molti animali la capacità di costruire strumenti, ma l’uomo è l’unico, tra di essi, che sa costruire strumenti per costruire altri strumenti, in altre parole, possiede un’elevata capacità progettuale. 

Se torniamo alle due tappe epocali, per quanto riguarda l’evoluzione, possiamo dire che per i mammiferi e per l’uomo in particolare esse hanno significato un’importante riduzione dell’efficacia della primitiva connessione per via genetica e, allo stesso tempo, hanno provocato, di riflesso, le condizioni per lo sviluppo di una connessione per via culturale, in pratica, di una connessione cosciente e voluta.     

Cos’era essenziale a questa situazione evolutiva?  Soprattutto tre condizioni:    Una esatta determinazione dei membri che compongono la specie, in quanto individui.  Un certo grado di socialità sviluppatasi e strutturatasi all’interno della specie.  Una certa varietà e complessità del comportamento per poter sopravvivere.  In questo modo più una società è complessa e più l’ambiente è artificiale, più la comunicazione tende ad evolversi.   Rispetto alla connessione per via genetica, la connessione culturale, infatti, è una connessione costruita e modellata soprattutto sulle circostanze

C’è poi un’altra considerazione importante. Rispetto alla connessione per via genetica, sostanzialmente stabile, la connessione per via culturale ha un enorme vantaggio evolutivo.  Vale a dire, si adatta bene alle circostanze ed è efficace per strutturare tra gli individui risorse, energie e capacità e, di riflesso, a sviluppare forme di aggregazioni sempre più complesse. 

Possiamo a questo punto concludere che la connessione e l’organizzazione sociale procedono di pari passo e, in questo modo, accrescono l’efficacia dell’agire sociale e individuale. 

Dobbiamo anche notare che per poter beneficare dei vantaggi della connessione per via culturale, non occorre solo volerlo, ma serve una competenza condivisa che si trasformi in un patrimonio diffuso in grado di guidare le azioni di tutti

Ritorniamo, ora, all’analisi delle forme di comunicazione da un punto di vista più mirato ai temi delle scienze sociali.  Come hanno dimostrato gli etologi gli scimpanzé e i bonobo, in particolare, hanno una vita sociale molto intensa e complessa. 

Hanno e riconoscono le gerarchie, intrecciano tra di loro accordi ed alleanze per modificare i rapporti sociali, sono capaci di mettere in scena inganni e tranelli.   

Proviamo a vedere meglio le caratteristiche del loro modo di comunicare.  La prima caratteristica è la presenza tra di loro di numerose sequenze di azioni svolte in condizioni di elevata contingenza, vale a dire di azioni che dipendono soprattutto dalle circostanza o dal caso. 

La seconda caratteristica è la forte socialità che sono capaci di sviluppare e che va oltre le mere condizioni biologiche dettate dalla necessità. 

La terza caratteristica è il possesso di un congegno di comunicazione, fatto di gesti e suoni molto evoluti, che consente loro di superare l’incertezza ambientale e di gestire la complessità e la varietà dei comportamenti. 

C’è però qualcosa di molto importante che va considerato, la loro comunicazione manca di un requisito importante, la sistematicità.     Per gli scimpanzé e i bonobo la comunicazione è sempre confinata alle situazioni che stanno di volta in volta vivendo, ma questa comunicazione il più delle volte, non si accumula in un capitale organico di competenze. 

In altre parole, la sequenza delle loro azioni non si coagula in una memoria consapevole o, per meglio dire, il loro coordinamento operativo, cioè, il loro comportamento tende a riformarsi, di volta in volta, attingendo al loro serbatoio di capacità innate.    si ritiene che questa incapacità delle scimmie ad accumulare regole e competenze per lo scambio di informazioni ha in qualche modo rallentato fino a farlo restare molto povero lo sviluppo del coordinamento delle loro capacità operative.  La differenza che ha prodotto l’uomo deriva, dunque, da fattori accidentali che a oggi non siamo in grado di valutare.   Possiamo forse dire che è stata la debolezza della condizione umana a sviluppare nell’uomo l’astuzia di vivere.

I fossili, cioè il materiale, le impronte, i prodotti conservati nel suolo per tempi relativamente lunghi e imputabili all’uomo, spiegano in modo abbastanza accurato i vari stadi di sviluppo della tecnica nell’evoluzione umana e, indirettamente, il grado di efficacia raggiunto nell’uso delle risorse. 

Sia lo studio del livello della tecnica che del controllo delle risorse sono oggi in grado di fornirci dei dati sulle forme dello sviluppo organizzato e sull’evoluzione della cooperazione e del coordinamento.  Perché tutto ciò è importante?  Perché l’organizzazione sociale è correlata con la comunicazione sociale.

Fino a che punto?

Fino al punto che possiamo affermare come l’organizzazione sociale è una specie di comunicazione sociale materializzata. 

Seguendo lo sviluppo della condizione umana si possono poi constatare alcune cose, come:   – Il sorgere di esiti evolutivi che presuppongono sequenze di azione organizzate e distribuite nel tempo.  – Lo strutturarsi di una partecipazione coordinata tra individui.  – Lo sviluppo di una facoltà, di riuscire a pensare in anticipo il risultato finale a cui s’intende pervenire con l’azione.   

Questo significa, tra l’altro, che la tecnica – nel suo significato originario di téchne – implica la capacità di pensare e di sviluppare l’idea di progetto. 

Alla corretta valutazione del passato consegue poi la capacità di fare tesoro dell’esperienza

che si sta vivendo. 

In termini sociologici possiamo dunque concludere che, nella società umana, tecnologia, organizzazione e comunicazione si sviluppano insieme è costituiscono un pacchetto evolutivo.    

La tesi che afferma che queste capacità dell’uomo hanno determinato un salto di qualità nei suoi rapporti con la realtà che viveva trova un’importante verifica nel modo in cui si è sviluppato il linguaggio

Esso appare al termine di un lungo processo evolutivo che gli esperti collocano intorno a 300mila anni fa.  Compare come una conquista dell’uomo sulla sua stessa condizione animale, una conquista che si è dipanata in un tempo lunghissimo, valutato in circa due milioni di anni

Da un punto di vista fisiologico si realizza con il definitivo abbassamento della laringe per dare spazio alla faringe cioè alla cassa di risonanza dei suoni. 

Questo abbassamento, indotto dalle circostanze in cui gli uomini vivevano, ha permesso di riprodurre e modulare i suoni in modo ampio ed articolato, a differenza del resto dei primati che hanno la laringe molto in alto nella gola.  

Due milioni di anni è un tempo incalcolabile, ma significativo della complessità del passaggio che porta da una comunicazione episodica e rozza ad una comunicazione coordinata su vasta scala.    Diciamo che la specie umana per arrivare a comunicare ha dovuto addirittura vincere, ostacoli di natura anatomici di una certa consistenza.  Essa è riuscita a superare la restrizione e la lentezza degli apparati comunicativi ereditati forgiando un proprio apparato vocale via, via, sempre più complesso e articolato. 

In termini di antropologia culturale il linguaggio orale è stato il primo vantaggio che l’uomo ha contratto sul resto del mondo animale.   Questo perché, il congegno, che chiamiamo voce, consente di concentrare in poche operazioni, un’ampia gamma di contenuti cognitivi, di idee e, dunque, di registrare un incremento effettivo nella potenza operativa dell’agire.  

L’uomo, però, non si è accontentato d’impadronirsi dell’esperienza della voce come mezzo di comunicazione, anche perché, ad un certo punto, la connessione basata sul linguaggio orale cominciò a mostrare i suoi limiti.  

Gli studiosi di linguistica dicono che questo linguaggio ha un elevato potere di sincronia.  La sincronia è un concetto elaborato da Ferdinand de Saussure ( 1857-1913) indica la capacità di un linguaggio di costruire un senso.  I cani abbaino, si fanno capire, ma non costruiscono dei significati abbaiando. 

Di contro al suo potere di sincronia il linguaggio, però, mostra una scarsa capacità di condizionamento.  Cioè, una scarsa capacità di agire sull’individuo con i convincimenti che maturano nel gruppo a misura che questo s’ingrandisce fino a formare una comunità. 

In breve, con l’espandersi delle comunità umane e con lo svilupparsi di forme sempre più complesse d’interazione sociale la comunicazione orale diventò sempre meno omogenea e il potere persuasivo della parola non consentì più di stabilire orientamenti comuni. 

In altri termini il linguaggio orale tende, a ragione della sua stessa natura, a diventare insufficiente quando i nessi sociali diventano complessi e si affievolisce l’unità del sentire comune. 

Proviamo a considerare quello che abbiamo detto dal punto di vista dell’evoluzione della specie.  Nelle centinaia di migliaia di anni in cui il sapere umano si è andato espandendo, gli uomini hanno appreso: – a configurarsi stati o rappresentazioni del mondo da cui derivano, tra l’altro, le prime credenze sul sacro. – hanno cominciato ad analizzarlo e ad interpretarlo.  – hanno cominciato ad elaborare su di esso delle opinioni che prima non esistevano.  In una, hanno iniziato a formulare ipotesi sul significato delle loro esperienze o, come dice la filosofia, ad interrogarsi sul loro essere-nel-mondo.  In particolare, gli uomini sono stati capaci d’introdurre una dimensione temporale nelle loro elaborazioni mentali.

 Ancora, attraverso l’esercizio dell’esperienza e dell’immaginazione gli uomini hanno poi sviluppato una capacità autoriflessiva.

Hanno appreso, cioè, a fare progetti sempre più complessi e a costruire ipotesi su come realizzare i loro progetti. 

Tutti questi aspetti della personalità umana hanno consentito lo sviluppo di un carattere della condizione del vivente di valore incommensurabile, la coscienza della propria specifica singolarità, o, in altre parole, dell’identità personale

La consapevolezza dell’identità è importante perché non solo costituisce una dimensione della soggettività, ma rappresenta anche  il fondamento della coscienza di gruppo.  Questa consapevolezza dell’identità ha poi la capacità di estendersi nel tempo. 

Si estende verso il passato, attraverso i meccanismi del rito o l’elaborazione dei miti, come sono quelli religiosi, relativi soprattutto all’origine del gruppo. 

Si estende verso il futuro, con la consapevolezza dell’ineluttabile verificarsi di certi avvenimenti, cioè, con la coscienza che inevitabilmente qualcosa può o non può succedere. 

In sostanza l’uomo ha sviluppato un potere endogeno della conoscenza. 

Un potere che ha origine anche e soprattutto da fattori interni all’individuo, vale a dire che derivano dalla sua stessa coscienza, e non solo da fattori esogeni, cioè, esterni ad essa  Questo potere endogeno superata una certa soglia dimensionale, ha poi cominciato a generare idee e visioni, che hanno, in qualche modo, coinvolto dei campi di esperienza sempre più vasti. 

Da un punto di vista sociologico questa proliferazione cognitiva ha prodotto un indebolimento della coesione sociale naturale, con il risultato che le nostre esperienze soggettive, frutto della nostra specifica singolarità, sono divenute sempre meno confrontabili, così come sono diventate sempre più complesse le attività collettive.  

In altri termini, la comunicazione comincia a trasformarsi in uno strumento che stabilizza, tra individuo ed individuo e, tra gruppo e gruppo, contenuti cognitivi omogenei.   

Questa evoluzione della comunicazione ci consente di affermare anche che ad un certo stadio dell’evoluzione dell’uomo hanno cominciato ad essere elaborati contenuti del sapere e dell’esperienza che non erano destinati all’immediato scambio o a fronteggiare la contingenza del qui-ora, ma miravano a porsi come delle aree cognitive durevoli capaci di migliorare le elaborazioni cognitive ulteriori.   

Il pensato, così, ha cominciato ad essere uno strumento per produrre altro pensato. 

In pratica, dei nuovi elementi di natura visiva e tattile si sono aggiunti alla dimensione della voce nella forma di una base di sostegno per l’oggettivazione del pensiero. 

Ma in che consiste questo uso simbolico degli oggetti?  Ce lo rivela la natura del simbolo. È un’espressione che deriva dalla lingua greca, composta da due parole che stanno per “mettere insieme”, confrontare, comparare.  In semiologia il simbolo è una rappresentazione portatrice di un senso.  In qualche modo agisce come un’analogia.  Cioè, appare come una realtà visibile che ci guida a scoprire delle realtà invisibili.  Naturalmente il simbolo ha una sua unità, rappresenta un tutt’uno tanto che le due parti che lo compongono non possono essere comprese separatamente.  Dal nostro punto di vista il simbolo è una realtà che ne evoca un’altra, assente o astratta. 

Lo possiamo definire il segno figurativo o concreto di un’idea astratta.     

Per tornare al nostro discorso, contemporaneamente al nascere dei simboli si sono venuti a formare anche i primi rituali.  Un tempo questi erano esclusivamente sacri – legati alla magia – e religiosi, poi progressivamente si estesero anche alle cerimonie della vita sociale.    Questi rituali utilizzavano spesso degli oggetti particolari. Utilizzandoli ne promuovevano la fattura

Come possiamo definire i rituali?  Come dei congegni comunicativi non materiali.  

O, per usare la definizione che ne da l’antropologia culturale, i rituali sono delle configurazioni sociali che connettono, in un movimento coordinato, ripetibile, ed orientato ad un fine preordinato, una pluralità d’individui.   

Vediamo adesso di esaminare la funzione delle immagini.  Le immagini all’origine sono state promosse soprattutto dalle forme rituali.  Esse rappresentano il primo congegno di comunicazione che è stato capace di superare la dimensione temporale, cioè, di durare nel tempo, di andare oltre il momento della loro esecuzione.  Occorre tener conto del fatti che i loro contenuti iconografici, quando sono fissati su un materiale durevole, permangono a lungo e configurano due forme di sviluppo dei fatti sociali. 

– La prima forma di sviluppo è una conseguenza del fatto che gli artefatti durevoli tendono a debordare con facilità dal campo materiale a quello simbolico, cioè a diventare delle espressioni simboliche.   In questo modo gli uomini hanno finito per acquisire una certa familiarità anche con quegli oggetti che non hanno un uso pratico immediato, vale a dire, che possiedono una dimensione simbolica.   

La seconda forma di sviluppo è consistita nel fatto che, nel corso dell’evoluzione, sempre più spesso le idee hanno acquisito una vita separata da chi le ha pensate e realizzate.  In altri termini, le idee si sono staccate dal loro pensatore, hanno smesso di essere in simbiosi con lui e hanno cominciato a circolare da sole.  Questa seconda forma di sviluppo dei fatti sociali riveste una notevole importanza.  Infatti, nel momento in cui compare una stabile materializzazione simbolica, le idee acquistano una sorta d’impulso verticale, vale a dire, si dispiegano nel tempo

La prima forma di oggettivazione delle immagini sfrutta l’efficacia visuale per riprodurre sezioni dell’esperienza che sono, di fatto, inaccessibili alla voce. 

È il caso delle emozioni e delle sensazioni che si comprendono solo se sono visibili,se hanno una dimensione visuale.  Queste emozioni e queste sensazioni possiedono in genere anche una grande intensità di contenuti.  Sono delle percezioni in cui è molto debole il vincolo convenzionale di senso tra l’immagine e il contenuto che essa trasmette.  Ne consegue che per condividere l’intensità dei loro contenuti deve essere condiviso il processo simbolico che le ha generate. 

In genere nelle scene dipinte – anche in virtù dello sviluppo soggettivo della complessità pittorica – si altera – soprattutto nella modernità – la rappresentazione.  In altri termini, la rappresentazione si struttura su ciò che noi chiamiamo il sentire e, così facendo, si attenua il nesso diretto tra l’immagine e il contenuto che si vuole trasmettere.      In termini linguistici questo corrisponde ad un allentamento della cogenza semantica dell’immagine, vale a dire di quei vincoli che fanno aderire l’immagine al suo contenuto formale. 

Nota bene:

La cogenza semantica indica il carattere restrittivo del significato, in questo caso dell’immagine.

In questo senso possiamo dire che le ragioni per le quali qualcuno non riesce a capire il lavoro pittorico di Jackson Pollock dipendono dall’eccessiva separazione tra l’immagine e la sua cogenza semantica e questa incomprensione è esclusivamente culturale!

La seconda forma di oggettivazione del contenuto delle immagini rovescia il rapporto esistente tra la cogenza convenzionale – cioè il significato convenzionale – e l’intensità emozionale del contenuto.     In queste immagini, c’è una spinta nel tempo al rafforzamento del significato convenzionale a spese dell’intensità emozionale del contenuto.  

Questa seconda struttura di oggettivazione del contenuto delle immagini è costituita soprattutto da quegli oggetti e da quei segni che vengono, in un qualche modo, considerati i precursori della scrittura o che, in molti casi, soprattutto nel passato, la sostituiscono.  

In genere sono i congegni per numerare, indicare una località, esprimere un comando, registrare un evento, segnalare un divieto, eccetera…     

In genere in questi congegni comunicativo-visuali il nesso tra il contenuto e la marca figurativa, vale a dire l’impronta visiva che designa questo contenuto, è stabilito con molta precisione.  Ne consegue che le immagini di questi congegni non hanno margini interpretativi e sono povere d’intensità emotiva.  Che cosa significa che le immagini di questa struttura di oggettivazione del senso non hanno margini interpretativi?  Che le immagini in questione non riproducono segmenti significativi dell’esperienza, ma circoscrivono un evento o una sequenza di eventi e ne fissano stabilmente i tratti salienti.  Il cartello che indica un divieto di sosta non ha nulla di emotivo e molto di impositivo, non tenerne conto significa essere sanzionati, ma per tenerne conto occorre conoscere il codice stradale! 

Facciamo un passo avanti.  La scrittura vera e propria – da cui derivano molte delle scritture moderne – si perfeziona in Grecia intorno all’ottavo secolo prima dell’era comune, tuttavia, strumenti di registrazione, come sono quelli impiegati per trascrivere le fasi lunari, risalgono a circa 25mila anni fa. 

Li troviamo dapprima in Mesopotamia, quella terra tra i fiumi, la culla di importanti civiltà.

È la regione che oggi corrisponde pressappoco all’Iraq. Qui sono stati anche rinvenuti gettoni e piccole sfere utilizzati per fare di conto che risalgono ad oltre 12mila anni fa. 

In ogni modo, già con il neolitico, alla lettera, l’età della pietra più vicina a noi nel tempo – un’importante stagione dell’evoluzione umana caratterizzata dalla nascita dell’agricoltura e delle prime attività artigianali – l’uomo è stato in grado di rendere pubblici i suoi pensieri con tre modalità di rappresentazione, diverse sia per i materiali usati, che per i principi d’uso.  Esse sono:  Il linguaggio, che non dura nel tempo ed è circoscritto nello spazio.  Le immagini, che spesso hanno un debole vincolo convenzionale e quindi possono risultare equivoche alla ricezione.  Le registrazioni che pur avendo un campo di applicazione specifico, sono molto precise ed utili. 

In seguito, con l’evolversi dell’agricoltura e dell’artigianato, in una della condizione stanziale, la società cominciò a crescere e le registrazioni (questi abbozzi di scrittura) subirono una rivoluzione e cominciarono ad agganciarsi sempre di più al linguaggio verbale. 

Si tratta di un passaggio fondamentale nei quali i segni scritturali primitivi abbandonarono sempre di più la loro indipendenza convenzionale e cominciarono a seguire gli schemi della lingua parlata. 

La scrittura, perfezionandosi, rese possibile la costruzione di congegni sociali sempre più complessi dal punto di vista organizzativo e finì con il potenziare soprattutto quelle istituzioni sociali che hanno la caratteristica di migliorare la loro efficacia e la loro potenza se sono connesse, come sono l’attività legislativa, l’organizzazione militare, l’istruzione pubblica, i commerci. 

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